“Inventio crucis”, il SS. Crocifisso è da 185 anni patrono di Montemaggiore Belsito: ecco il perché

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Questo è il centottantacinquesimo anno che il SS. Crocifisso fu eletto compatrono di Montemaggiore Belsito, secondo una tradizione ottocentesca.

Riguardo l’Invenzione della Croce – Ilaria Sabatini scrive: «Il 3 maggio il calendario liturgico celebra la festa dell’“inventio crucis”, il ritrovamento della croce da parte della madre dell’imperatore Costantino (†337). Elena (†329) è venerata dai cattolici come santa Elena Imperatrice.

Il “lignum crucis”, il legno della croce di Cristo che così tanta importanza riveste non solo nel culto cristiano ma nell’intero immaginario occidentale, è una reliquia strettamente legata al fenomeno dei pellegrinaggi in Terrasanta. La tradizione della sua leggenda ha un’origine ben precisa che si colloca nel pieno del medioevo latino. La storia è narrata dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine che, come egli stesso afferma, la raccoglie da altri autori precedenti.

Elena, madre dell’imperatore Costantino, giunta a Gerusalemme, chiese alle autorità se conoscessero il luogo nel quale si trovava la Croce della Passione di Cristo. Solo un tale di nome Giuda lo sapeva e dopo che fu costretto a rivelarlo si scavò nel luogo da lui indicato dove vennero fuori tre croci che furono consegnate all’imperatrice. A quel punto, continua la Legenda, non sapendo come distinguere la croce di Cristo da quelle dei ladroni, le misero tutte in mezzo alla piazza di Gerusalemme aspettando che si manifestasse la gloria del Signore. Ed ecco che venne portato un giovane morto: furono posate sul corpo senza vita prima una croce, poi un’altra e il giovane non risorse ma appena gli fu avvicinata la terza croce il morto tornò in vita.»

Ma qual è l’origine della celebrazione solenne a Montemaggiore di questo culto religioso che ancora trova forte devozione e attaccamento nell’animo dei tantissimi fedeli? Anno 1837, siamo nel pontificato di Papa Gregorio XVI; il 10 luglio la Comunità di Montemaggiore fa promessa ufficiale al SS. Crocifisso di tributargli solenni celebrazioni da quel momento in poi, qualora si fosse scampati ai fatali danni del colera.

Nel 1837, muoiono a Termini Imerese il patriota, storico ed economista siciliano Nicolò Palmeri (n. 1778) e a Palermo il fisico e storico, anch’esso siciliano, Domenico Scinà (n. 1765). La causa del loro decesso è la medesima: il colera, che, nell’estate, si era diffuso nella città di Palermo e nella sua provincia, mietendo numerose vittime.

A Montemaggiore – e in altri paesi dell’Isola – si attendeva con angoscia, gravava la cappa di piombo del verificarsi inesorabile del contagio, era solo questione di tempo.  Occorre fare per un momento una breve digressione, dicendo che il colera è una malattia batterica intestinale che causa progressiva disidratazione e perdita di sali minerali. Senza scendere in eccessivi particolari, si può dire che è causato dal “Vibrio colera” identificato per la prima volta nel 1859 dall’anatomista italiano Filippo Pacini e poi ampiamente studiato dal Dr Robert Koch. Quindi, anche se a quel tempo alcuni tipi batteri erano già identificati, il vibrione del colera era sconosciuto. Ma i montemaggioresi intendevano, comunque, sfidare proprio quegli eventi. Dato che il nemico era sconosciuto e gli antibiotici che avrebbero potuto debellarlo sarebbero stati scoperti solo un secolo dopo, né al momento si conosceva alcuna la terapia risolutiva; decisero di tentare di cambiare le proprie sorti rivolgendosi al Soprannaturale, ricorrendo alla religiosità tramandata dai loro padri.

Nel testo del Voto al SS. Crocifisso è scritto così: «Il fiero [terribile] contagio della malattia così detto “Cholera morbus”, che per molti anni trasportato dall’Asia in Europa ha crudelmente flagellato i popoli, dopo la strage fatta in Italia scoppiò in Palermo, Capitale del Regno di Sicilia, immette positivo [incute serio] timore che voglia introdursi nei comuni del regno, che Dio non permetta!».

Quella malattia infettiva, in alcuni casi può non manifestare sintomi, era veramente ritenuta un evento in concreto misterioso e dall’origine inspiegabile, come si legge più avanti nel testo: «Or ogni fedele cristiano restando pienamente convinto, che la Divinità in castigo delle colpe comanda agli elementi di esprimere il suo sdegno, dee [affinché si possa] ricorrere alla penitenza per placare l’ira di Dio, e implorare il patrocinio di quei santi, che per i loro meriti possono ottenere la grazia». E la Vittima sacrificale era proprio il SS. Crocifisso, l’”Agnus Dei”. Come si comprende leggendo il testo – tramandato da Lucio Drago Salemi – nella motivazione del Voto: «Or quale maggiore ed efficace interesse può trovarsi presso Iddio, che il suo figlio stesso, che assume la forma umana, divenne possibile, e morì per la salute dell’uomo quindi noi, avendo avuto la felicità di possedere per ’più di due secoli’ un’immagine del Santissimo Crocifisso, che nella propria chiesa si conserva, e da cui i nostri padri ottennero sempre portentosi prodigi nelle loro calamità, a Lei ci rifugiamo in quest’orribile circostanza ed è a questo soggetto che noi infrascritti [sottoscrittori del documento] capi Ecclesiastici, Clero e Corpo Amministrativo Laicale, essendoci processionalmente dipartiti dalla Basilica Chiesa pronunciando le solite preci efficaci [preghiere che portano beneficio sicuro] della Chiesa».  Quindi anche in nome di tutto i montemaggioresi, i sottoscrittori dell’attestazione, mettono nero su bianco: «Oggi, il dieci luglio del milleottocentotrentasette ci troviamo radunati in questa venerabile Chiesa del SS. Crocifisso, e alla presenza del popolo penitente imploriamo con tutto l’impeto delle nostre anime da questa Sacra Immagine a ciò che ci renda esenti dal menomo [minimo dall’entità di fatti immateriali] velenoso alito di detta pestilenziale malattia. E in rendimento di grazie del miracolo che saremo per ottenere, ci obblighiamo et emettiamo con vero cuore “Pubblico Voto” a questo Venerabile Crocifisso che in ogni anno nei giorni undici, dodici e tredici settembre, ritrovandoci in questo Comune, partendoci processionalmente dalla Basilica nostra Madre, e cantando le solite litanie di preghiera recarci in questa Venerabile Chiesa, compiere il Rito Romano in riguardo alle preghiere, e celebrare Messa solenne in onore di detta Immagine». Poi si rende concreto, per iscritto l’impegno assunto solennemente verso la sacra immagine: «E in questo punto a voti unanimi eleggiamo il suddetto prodigioso Crocifisso per principale Patrono di questo comune sotto il proprio Titolo». Per non subordinare al primo la Patrona, che da tempi immemorabili proteggeva Montemaggiore, si aggiunge: «E celebrare ogni anno il diciassette agosto, una messa solenne e condurla in processione nelle principali strade del Comune». È bene sottolineare come oggi il 5 febbraio Sant’Agata si celebra proprio in questa maniera. Il culto risale almeno al 1595 quando Mariano II Migliaccio erige la chiesa Madre intitolandola proprio a Sant’Agata.  Maria Stelladoro in “Agata la Martire” afferma: «S. Agata è una delle figure della santità femminile in Sicilia nei primi secoli del cristianesimo e, assieme ad altre eroine dell’isola (Lucia, Rosalia, Oliva, Ninfa, ecc.), attesta come sia preponderante in Sicilia la prevalenza della santità femminile su quella maschile».

Riprendendo il filo del discorso conosciamo come l’epilogo della vicenda non fu in realtà quello tanto auspicato da tutti. Amaramente Lucio Drago scrive nel suo “Gioia e Lacrime”: «Ma le preghiere di tutta quella moltitudine non valse a commuovere il Crocifisso, e, dopo 40 giorni da quel voto solenne, il morbo si presentò alle porte del paese per dar principio alla sua strage. Il 20 agosto (data memoranda per Montemaggiore) del 1837, il colera fece le prime vittime […] fra le quali […] il Rev.mo Sac. D. Filippo Muscarella Arciprete di Montemaggiore. […] Per buona sorte le vittime furono limitatissime, e i decessi ammontarono a quindici». Il colera in Sicilia fu feroce, causò 70 mila vittime e però – scrive Drago – «non lo fu a Montemaggiore». Ritengo che l’appellativo “Belsito” riassuma benissimo, sia la favorevole disposizione del paese nel luogo e sia la salubrità dell’aria, condizioni che spiegano, secondo Lucio Drago quanto accadde: «perché l’aria pura o ossigenata, e la bella posizione del paese non permisero il dominio di quel maledetto morbo, che poche vittime lasciò e sparve». Oggi sappiamo che quest’affermazione è sostanzialmente corretta: le larghe vie rettilinee, ventilate dalla brezza e la loro disposizione ottimale a favore dei raggi solari, contribuirono in quell’occasione a ridurre le conseguenze negative del contagio, piuttosto che l’attuazione delle possibili procedure igienico-sanitarie se pur tempestive e rigorose.

Dopo oltre due anni di pandemia di SARS-CoV-2 e dalla quale ancora non siamo usciti, parlare di eventi analoghi del passato ci fa comprendere quanto completamente differenti siano oggi i rimedi possibili ed attuabili e le conseguenze che ne derivano, nel bene e nel male.

Santi Licata