“Si Termini avissi u portu, Palermu fussi mortu”: riflessione a margine del dibattito sul futuro del porto di Termini Imerese

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La mancanza di  un porto a Termini Imerese, nonostante la lunga tradizione di approdo sin dall’epoca romana, era l’ambizione più grande per  una città che a partire dalla posizione strategica nella costa settentrionale dell’isola,

non poteva non dotarsi di una nuova e moderna struttura portuale che potesse addirittura competere con Palermo.
L’essere sbocco naturale di un ampio entroterra, certi delle potenzialità produttive del comprensorio madonita si aveva chiaro il successo che una tale struttura avrebbe conseguito.  E così fu.
Già a partire dal1863 le deliberazioni del Consiglio comunale per la progettazione e la realizzazione del porto si susseguono incalzanti. Il porto fu realizzato con soldi pubblici, ma anche con il contributo dei termitani con tassazioni comunali, tanto era la determinazione affinchè questa importante opera pubblica si concretizzasse. Il risultato c’è lo ha raccontato fotograficamente Michele Salvo nei suoi splendidi scatti che ne evidenziano la piena attività, lasciandoci la possibilità di immaginare l’operosità vivace e creativa di una città ricca, accogliente, bella.
E si perché il porto serviva alla città, serviva ad un ampio comprensorio. Era il punto di arrivo di attività economiche sorte tutte dalla creatività e dalle  capacità imprenditoriali di un popolo conscio delle proprie risorse. E di risorse Termini Imerese ne ha sempre avute tante.
Dal punto di vista fisico, non esiste luogo della costa siciliana dove il mare e la montagna sono così vicini, dove la pianura si alternava alle colline degradanti verso il mare.
Ma al contempo dove l’attività peschereccia coesisteva con una agricoltura intensiva nella piana di Buonfornello e nelle colline attivate ad uliveto, dove alle attività commerciali si univano le attività industriali legate alle trasformazioni dei prodotti agricoli, in particolare il grano, proveniente dalle Madonie. E così nascevano mulini, e poi pastifici.
Ma la città per la sua posizione strategica non poteva non essere sede di importanti uffici pubblici di interesse sovracomunale, il tribunale, uffici periferici dello Stato (Ufficio Registro, Agenzia delle entrate etc) il carcere, e poi le scuole. E infine ma non ultima quella risorsa che affonda nel mito la sua presenza: le acque termali.
Per valorizzare adeguatamente tale risorsa l’Amministrazione di quel tempo si impegnò in un’opera impensabile oggi, la cui presenza segnerà per sempre il paesaggio urbano di Termini.
Ecco, Termini era tutte queste risorse, che esistevano in un delicato equilibrio il cui risultato è stato quello di una città costruita e voluta dignitosa nella sua edilizia, scenografica nel suo impianto urbanistico e per la sua giacitura su un promontorio a picco sul mare, rispettosa del suo patrimonio storico-artistico, i suoi monumenti, le chiese le aree verdi. Risorse, equilibrio, bellezza.
Tutto ciò è durato per tutta la prima metà del Novecento. Poi si insedia, la Tifeo e in seguito la Fiat. Tutti diventano operai. Giovani agricoltori, pescatori, artigiani si trasferiscono all’interno di quel grande stabilimento, eldorado, per tutto il comprensorio.
Ai termitani viene spento il cervello. Azzerata la creatività, quella che aveva fatto nascere i mulini, i pastifici, gli opifici che trasformavano lo zolfo, le attività di trasformazione del pescato, l’esportazione dei prodotti agricoli.
Le terme crollano e lontani sono i fasti  della Belle Epoque dei Florio con la loro Targa. La Fiat azzera non solo la creatività, ma annulla totalmente diverse risorse. L’agricoltura distrutta la piana di Buonfornello  diventa marginale, il porto peschereccio perde centralità, le attività commerciali riducono i confini del loro mercato, i mulini ed i pastifici chiudono.
La crisi della Fiat, l’area industriale mai decollata, le promesse di rilancio mai attuate questa è la città di adesso.
Quella che una volta era una città a cui accorrevano intere famiglie, considerata come “l’Americanica”, adesso vede i suoi giovani cercare altrove la speranza di un lavoro.
Eppure il mare c’è sempre, il territorio nonostante le scelte fatte può essere recuperato, le acque termali ancora sgorgano. In una parola, le risorse ci sono ancora, manca la coscienza di tali risorse, manca la creatività, soprattutto manca una politica che sappia avere una visione e soprattutto sappia mettere insieme questi “cocci” in una prospettiva di sviluppo, in equlibrio fra le varie componenti.
Continuo ad usare la parola equilibrio perché mi sembra quella su cui impiantare la riflessione sul porto.
Dall’analisi sin qui fatta, emerge in maniera forte di come l’esperienza Fiat abbia stravolto la modalità con cui storicamente questa città aveva governato le proprie risorse e/o potenzialità raggiungendo un benessere inequivocabile.
Veniamo alla ipotesi di porto presentata dall’Autorità Portuale e  per la quale si è acceso un ampio dibattito, mettendo a confronto la progettualità attuale con quella del PRP del 2004.
Il problema sembra si incentri sulla collocazione del porto turistico, se vicino al centro storico o spostato verso sud prossimo alla foce del Barratina.
Porto commerciale o porto turistico? Non esistono ostacoli. Il depuratore si può spostare. Il torrente Barratina, (la cui copertura in ambito urbano mai è stata autorizzata), non sarà più pericoloso. Qualcuno finalmente ha deciso cosa fare di questo porto. Tutti i problemi si possono risolvere.
Abbiamo assistito per anni, silenziosi alla realizzazione di ampi piazzali interrando migliaia di metri quadrati di mare. Di contro un traffico commerciale molto modesto. Le amministrazione che si sono succedute in questi anni non sembra abbiano avuto una attiva interlocuzione con chi lo gestiva. L’averlo consegnato all’Autorità Portuale è stato un atto “liberatorio”.
Di questa politica liberatoria sembra siamo stati contaggiati.
Ci stiamo “liberando” del Servizio idrico, e come non augurarsi  di “liberarci” di queste due ingombranti strutture termali, magari con l’aiuto di qualche giudice. Ce la stiamo mettendo tutta.
Torniamo al porto. Non mi intendo di porti, ma come ogni cittadino, credo che affacciarmi dal Belvedere e vedere sotto un porto turistico, con gente che passeggia lungo il molo non è certamente la stessa cosa che vedere, nel migliore dei casi piazzali di containers, auto o altro. O no? Opporsi al mantenimento del PRP del 2004 rivela palesemente le intenzioni ed i possibili scenari futuri.
Il porto non potrà che essere solamente ed esclusivamente commerciale. Così è stato deciso altrove, come altrove si è deciso per la industrializzazione della piana di Buonfornello.
I risultati sono sotto i nostri occhi.
Quella identità, oggi tanto sbandierata, quella appartenenza ad una storia che ha reso “splendida” la nostra citta, sono oggi parole vuote, ed il protagonismo che una città da sempre unita tra il popolo e la sua classe dirigente, sembra oggi un blando ricordo. Ed è così che chiunque si erge a risolutore dei nostri “problemi”. Cinquant’anni fa la Fiat, oggi l’Autorità Portuale.
Ho iniziato questa mia riflessione parlando di risorse di questo territorio. Fra queste il mare e quindi il porto. E’ innegabile la sua presenza e la positività di questa presenza.
Termini nella sua lunga storia deve la sua ricchezza economica e culturale al porto. Ma ho parlato anche di armonia e di capacità decisionali che miravano sempre ad un equilibrio fra le varie componenti.
L’idea di Porto che viene prospettata dall’A.P. di Palermo, sembra sproporzionata e sbilanciata per la nostra città. Di contro mi si potrà obiettare che il piano di investimento sul porto di Termini Imerese non può essere ridimensionato nell’ambito di una progettualità che interessa l’intera Sicilia occidentale.
Ma Le potenzialità di un porto si vedono dai metri quadrati di banchine che si realizzano o dal numero di navi che attraccano in una settimana? E per non dimenticare: una zona industriale si valuta nelle sue effettive potenzialità dai metri quadrati di infrastrutture che si realizzano, strade, parcheggi centri direzionali etc o dal numero di fabbriche operanti?
Il territorio è una risorsa di questa collettività. Abbiamo il diritto  e ancor di più il dovere di tutelare tali risorse? Possiamo esprimere delle riserve su un modus operandi molto spesso teso a sprecare risorse, soldi compresi, per creare cattedrali nel deserto. Ecco non vogliamo che ciò avvenga.
Ma riflettiamo. In fondo spostare il porto turistico vicino il centro storico è oltre che naturale  anche conseguenziale, con la valorizzazione delle minimali risorse nel settore turistico-alberghiero. Perché allora tale scelta osta?
E’ chiaro che tale collocazione inficierebbe eventuali prospettive del porto commerciale e le reali sue dimensioni in un divenire. Il porto turistico in quel posto sarebbe un ostacolo enorme.
Vi ricordate come siamo riusciti a mantenere l’attuale “spiaggetta”? Bloccando  a furor di popolo la costruzione di una enorme banchina che sarebbe arrivata fino alla Capitaneria.
Qualora il Porto Commerciale decollasse e di fatto necessiterebbe di altre aree di stoccaggio, pensate poi abbia senso fare le barricate per mantenere la spiaggetta, o le attuali promesse di impossibili spiagge verso la foce del S. Leonardo, con l’utilizzo magari della sabbia dragata, già promessa a Campofelice di Roccella, fra l’altro.
E pensate che la marginalità in cui si vuole collocare il porto turistico, possa reggere ad un eventuale spostamento di tutto il traffico commerciale di Palermo su Termini? E vogliamo parlare quali materiali si andrebbero a stoccare nel nostro Porto?
Ancora una volta, ci affidiamo, da smemorati quali siamo e da cortigiani dei poteri forti, all’Imperatore?
Occorre rivedere la nostra appartenenza a questa storia, per porre dei paletti necessari, affinchè questa città e questo territorio violentemente stuprato nel passato possa risalire la china. Insieme si può.

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