Riapre il museo etnografico “Giuseppe Pitrè”: la storia delle classi subalterne raccontata dagli oggetti

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La riapertura del museo delle tradizioni popolari siciliane, uno dei luoghi più amati dai palermitani, è senz’altro un evento di grande rilevanza.

Dopo una lunga chiusura durata più di cinque anni, il museo ha riaperto al pubblico, offrendo nuovi allestimenti corredati da ottimi apparati didattici. Tra i primi al mondo nel suo genere, il museo etnografico nasce nel 1909 grazie all’intenso lavoro di ricerca dello studioso palermitano Giuseppe Pitrè (1841-1916). Medico e instancabile ricercatore, il Pitrè è oggi riconosciuto come il padre dello studio delle tradizioni popolari e delle scienze folkloriche, grazie all’approccio innovativo da lui introdotto alle indagini sul campo e alla costante applicazione di metodo, rigore, ordine e sistematicità.
Di umili origini e nato in un quartiere popolare di Palermo, il Pitrè si distinse per l’attenzione verso i più poveri nell’esercizio della sua professione medica, cui spesso prestava le proprie cure senza alcun compenso. Il Pitrè teorizzò una nuova disciplina, da lui  denominata “demopsicologia”, ovvero “scienza del popolo”; la nuova materia di studio fondeva insieme antropologia ed etnologia, la psiche collettiva e quella individuale, e la loro evoluzione storica in relazione all’ambiente ed al territorio. L’Università di Palermo istituì la cattedra per l’insegnamento di questa disciplina, allora considerata davvero innovativa. Il Pitrè mantenne la cattedra di Demopsicologia dal 1910 fino al 1916, anno della sua morte.
Il fondatore dell’omonimo museo fu inoltre autore di opere di estrema rilevanza tra cui gli Studi di poesia popolare e la monumentale Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, venticinque volumi che raccontano usi, costumi e credenze in Sicilia. Pubblicata tra il 1871 ed il 1913, l’opera presenta un’inedita concezione unitaria delle tradizioni popolari: vengono raccolte e presentate fiabe, novelle, danze, canti, giochi fanciulleschi, passatempi, spettacoli, medicina e rimedi di uso comune. Nella Avvertenza all’ultimo volume, l’autore enuncia il suo pensiero: Il tempo vola, ed il progresso, ogni dì incalzante, spazza istituzioni e costumi. La scomparsa è fatalmente necessaria nel corso degli eventi: onde urge che si fissi il ricordo di questa vita vissuta in migliaia d’anni da milioni e milioni di persone semplici (…).
L’appassionata opera di collezionismo di testimonianze della cultura popolare siciliana, consentì al Pitrè di raccogliere migliaia di oggetti, dapprima esposti in mostre temporanee, la più importante delle quali fu senza dubbio l’Esposizione universale svoltasi a Palermo nel 1891. Alla sua morte, la collezione venne donata al Comune di Palermo che, nel 1934, decise di sistemarla nei locali adiacenti la Casina alla Cinese, residenza reale borbonica all’interno del parco della Favorita. L’incarico di curare l’allestimento museale venne affidato a Giuseppe Cocchiara, antropologo, etnologo e studioso di tradizioni popolari, considerato ”allievo ideale” del Pitrè.
Dopo oltre cinque anni di chiusura, il museo etnografico di Palermo si mostra rinnovato negli arredi e nella disposizione, secondo un progetto di Giuseppe Pagnano che nel frattempo è morto. I lavori sono quindi proseguiti con la direzione di Carmelo Russo. Le sezioni museali sono sedici: la prima è dedicata a Giuseppe Pitrè e Giuseppe Cocchiara. Sono in esposizione la scrivania, alcuni oggetti personali ed il ritratto del fondatore. Il percorso museale si snoda tra oggetti un tempo di uso comune, segni tangibili di una cultura fortemente ancorata ad una società prevalentemente agro-pastorale. Il visitatore viene condotto alla riscoperta di una concezione del mondo spesso dimenticata, un viaggio nella memoria collettiva. Il vasto repertorio di oggetti proposti è organizzato in ambienti che, in successione, consentono di rivivere usi, costumi e atmosfere di un tempo. Alla prima sala si succedono le sezioni dedicate alla filatura e tessitura, agli abiti tradizionali, alla caccia e pesca, all’agricoltura e alla pastorizia, alle arti e mestieri, alla magia, agli ex-voto, a pani, dolci e confraternite, alle carrozze senatorie, alla ceramica, cucine ed utensili, agli strumenti musicali e giochi fanciulleschi, agli arredi sacri. Nell’ultimo ambiente del percorso di visita, la Cappella, è esposto il presepe di Giovanni Matera (fine sec. XVII).
A quasi un secolo dal suo primo allestimento, il museo etnografico siciliano “G. Pitrè” può ancora adesso rivendicare il ruolo assegnatogli dallo stesso Pitrè, ovvero il compito di custode di quella “parte della storia che i dotti non hanno scritta, ma che il popolo ha lasciato nei suoi costumi, nelle sue usanze, nelle sue credenze, nei suoi riti”.
Anna Maria Alaimo