Coronavirus, la preoccupazione del medico di Sciara: “siamo stati poco avveduti, a dircelo sono i nostri comportamenti”

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Nelle ultime settimane a Sciara si è registrato un incremento dei casi di contagio di coronavirus, a dirlo sono i numeri, un rialzo causato probabilmente dai comportamenti sbagliati.

Abbiamo parlato con il Dott. Salvatore Antonio Cavera, ex sindaco di Sciara e attualmente medico di famiglia il quale ci inviato questa lettera che volentieri pubblichiamo.

Carissimi concittadini o se preferite carissimi miei assistiti,

è da venerdì 8 gennaio che, trovandomi nel chiuso del mio ambulatorio a riempire schede su schede di miei pazienti positivi al coronavirus o che avevano avuto contatti stretti con altri positivi, mi sovviene alla mente un vecchio detto che credo rappresenti e al meglio questa nostra Sciara in tempi di coronavirus. Lo ripeto ancora una volta a me stesso, lo ripeto a voi: “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.” Ed in questo mio ripetere mi accompagna sempre e credo accompagnerà anche voi un inevitabile interrogativo: “in tutto questo quanto vi è di ineluttabile e quanto invece è da ascrivere alle nostre responsabilità a tutti i livelli, nessuno escluso?” Ognuno dia la risposta che vuole. La mia l’ho trovata tra le pagine di un quotidiano, sapete tutti che io leggo “La Repubblica”. Ebbene, in prima pagina v’era una vignetta con su scritto, ripeto testualmente “sono indeciso se ammalarmi o no.” Vedete, per noi “Sciarioti” questo interrogativo da mesi non è esistito. Tutti, dico tutti, abbiamo deciso di ammalarci, per pochi mesi siamo stati cauti perché ci è stato imposto poi abbiamo cominciato a dare segni di insofferenza, come se tutto fosse un lontano ricordo. La vita di sempre ha ripreso il sopravvento, meno controlli, meno accortezze. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, il risultato sono le file mai viste presso il laboratorio della Dott.ssa Passafiume o a Termini Imerese dal Dott. Aiello, il risultato è il chiacchierio di turno: “quanti positivi oggi?” oppure “anche quella è positiva” o ancora “Dottore ho preso la comunione in chiesa, rischio.?” Spiace dirlo ma siamo stati poco avveduti, lo dico non per il mio essere polemico su tutti e tutto, lo dico perché a testimoniarcelo, testardi come muli sono i fatti, a dircelo sono i nostri comportamenti, i tanti non senso con cui molte volte riempiamo la nostra quotidianità. Tanti non senso di cui è inutile negarlo e negarcelo, ne siamo tutti a conoscenza ma forse val la pena ritornarci. Sono del resto questi che mi hanno spinto a scrivere queste righe, non altro. Non pensate, come certo qualcuno farà, ad una mia spudorata ricerca di visibilità, sarebbe un altro non senso.
E allora, certo che queste righe saranno lette per quelle che sono, non un atto di accusa ma un  invito a riconsiderare il nostro quotidiano in tempi così difficili, raccontiamola questa Sciara ai tempi del coronavirus, parliamo di questi suoi tanti non senso. Una mascherina appesa al collo senza curarsi minimamente che questa non è un monile ma un dispositivo di protezione per noi e per gli altri e quindi deve coprire e bene naso e bocca. A Sciara questo comportamento per troppi è divenuta una prassi consolidata. Siamo attenti a indossarla se ci rechiamo in farmacia, dal medico, all’ufficio postale ma soltanto perché ci viene imposto ma poi altrove, prima di entrare in questi ambienti o ritrovarci negli angoli delle nostre strade, nelle nostre case a parlare con i vicini, quando ci affolliamo attorno ad un ambulante, quando vendiamo i nostri carciofi al commerciante di turno dove sono le nostre care mascherine? In mano, in tasca, o in una borsetta. Che senso ha tenere una mascherina per giorni e giorni sapendo che, essendo monouso, il loro continuo utilizzo o il frequente lavaggio ne riduce o addirittura ne annulla l’efficacia? A Sciara per alcuni tenere per giorni la stessa mascherina è prassi ormai consolidata. Lo si evince dal colore dei bordi di talune di esse. Che senso ha andare avanti e indietro in Piazza Castelreale o stazionare a gruppetti in un angolo della stessa? Lo si è fatto da sempre ma ora no, non vi è motivo di continuare a farlo. Che senso hanno, ed è inutile nasconderlo, le festicciole con parenti e amici quando a più riprese ci è stato consigliato di evitarle? Che senso hanno, tanti e tanti altri comportamenti assurdi che riguardano tutti e sui quali non mi soffermo perché già risaputi e farne cenno scatenerebbe un mare di polemiche. Qualcuno di voi obietterà che succede ovunque ma non è così, non deve essere così. Ripensare al detto tanto caro al Sig. Azzara: “aver compagno al duol scema la pena” non giustifica questo nostro modo di essere, questo nostro modo di fare perché a continuar così non faremo altro che aggiungere positivi ad altri positivi che oggi, magari, con beata noncuranza continuano a girare nelle nostre case, nelle nostre strade e noi, incoscienti come mai, siamo lì ad ascoltarli, quasi quasi a pendere dalle loro labbra, senza addosso un dispositivo di protezione o peggio senza l’accortezza di starcene a distanza. “Tanto tuonò che piovve.” “È stata emanata un’ordinanza sindacale,” era tempo che la si emanasse”, a più riprese la si è suggerita, il caro Presidente del consiglio comunale potrà testimoniarlo. Dal 13 gennaio al 26 gennaio sono vietati: assembramenti, visite ecc.ecc. Il Presidente della regione ne ha emanata un’altra che va dal 17 al 31 gennaio. E l’indomani del 26? E l’indomani del 31 gennaio? Qualcuno dirà che domani è un altro giorno. No, quel domani non sarà un altro giorno, quel domani sarà un’altra serie di schede di positivi o di contatti stretti, che io, il Dott. Patti e la Dott.ssa Militello invieremo al dipartimento. Quel domani sarà un altro elenco di tamponi positivi che la Dott.ssa Passafiume trasmetterà sui nostri portali se non si ha piena contezza della gravità del momento e dell’urgenza di adottare misure che possano limitare quanto più possibile il diffondersi del virus. Perché, spiace dirlo, molta gente oggi non ha capito nulla di questo Covid-19. Molta gente pensa che una volta eseguito questo benedetto tampone, un referto negativo equivale a un certificato di immunità. “Sa dottore, non abbia timore a farmi entrare in ambulatorio ho fatto il tampone ed è negativo.” Non sa che dopo il tampone eseguito, anche se questo risultasse negativo, non è certo del tutto che anche lui lo sia veramente. Non immaginate quanti tamponi negativi il lunedì diventino positivi il mercoledì. L’esito del tampone non è una patente per la vita, comprendiamolo prima che sia troppo tardi. Quanto sarebbe stato utile un tavolo di concertazione, amministrazione comunale, forze dell’ordine, associazioni di categoria, associazioni di volontariato, medici, insegnanti.

Tutti insieme, ognuno per la parte che le compete a spiegare il perché di taluni accorgimenti, il perché di taluni divieti, il cosa significhi la parola covid-19 che da mesi ci viene urlata continuamente addosso. Cosa significhi tampone molecolare e tampone rapido, cosa significhi avere avuto un contatto stretto, il come comportarsi una volta finita la quarantena o l’isolamento dopo un contato stretto o una positività al virus. Non pensate che siano concetti chiari a tutti. Per tanti è materia sconosciuta e se ciò è comprensibile per tanti nostri anziani, di certo non lo è per altri. Per cui senza voler fare i maestrini, sforziamoci di spiegare tutto e bene agli altri. Le nostre vecchie insegnanti, quando i nostri comportamenti non erano quelli dovuti, non si limitavano a metterci dietro la lavagna , ci ripetevano mille e mille volte quello che andava fatto e quello che non si poteva fare, fino allo sfinimento. E’ quello che dobbiamo fare. E da subito non aspettiamo un’ altra morte per covid. Che pena quella salma sola, senza il conforto di alcuno, nemmeno quello dei figli costretti a piangerla dalla lontana Germania.

Tutti insieme perché il problema ”salute” non è un problema di pertinenza di noi soli medici ma lo è di tutti, è un problema a più livelli di intervento. Dobbiamo fare questo, dobbiamo fare altro. Dobbiamo comprendere che se è cambiato tutto attorno a noi, nel nostro piccolo, dobbiamo cambiare anche noi. La vecchia normalità, la routine delle nostre frequentazioni, il modo di riempire la nostra quotidianità, mettiamoli nella soffitta dei nostri ricordi. Iniziamo e da subito a inventarci una nuova socialità privilegiando più che la quantità delle nostre relazioni, la qualità di queste. Piccoli gesti che fanno a pugni col passato ma che oggi rappresentano un qualcosa di imprescindibile per arginare il diffondersi del virus, a dimostrare che ognuno di noi c’è, che questo paese è casa, come ho avuto modo di scrivervi, di mille e mille colibrì pronti a fare e bene la propria parte. Certo, poi potrà succedere che nonostante tutto si legga la parola positivo su di un referto ma non è dipeso dalla propria volontà. Lo faccio io, invito gli altri non solo a farlo ma a proporlo ad altri ed altri ancora, una vera e propria azione pedagogica tutti insieme. “Questo è tempo di costruttori” ha ribadito il nostro amato Presidente Sergio Mattarella nel suo discorso di fine anno. Si, è vero, questo è tempo di costruttori ma di nuove coscienze, di nuove consapevolezze, di nuovi modi di essere, di nuovi modi di fare come chi si affaccia ad una nuova vita. Del resto, quella di oggi, per certi versi è una nuova vita. Solo così potremo uscire dal letargo, a riveder le stelle come scrive Dante nell’ultimo verso dell’inferno.

Con speranza, tanta speranza

Nino Cavera