Montemaggiore Belsito, pani e dolci della festa tra tradizione e modernità

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I dolci si preparano in famiglia, ma ormai, se ne producono in gran quantità nei panifici del paese. I principali sono: i “cucciddata” (ripieni di fichi o mandorle), i Taitù e Catalani, i dolci a base di mandorle, la pignoccata (strufoli), le chiacchiere.

Il Pane di Sant’Antonio Abate «era il pane che le famiglie agiate, ogni martedì, portavano alla chiesa per farlo benedire e distribuire ai poveri e ai parenti per devozione».
Anche Sant’Antonio da Padova, la cui festa cade il 13 giugno, è il santo del pane: non solo perché protegge le messi e aiuta le ragazze a trovare marito, preferibilmente capace di assicurare il pane alla famiglia, ma anche perché in suo onore tuttora si preparano devozioni in vari comuni dell’Isola. Si confezionano «un panuzzu rotondo dal peso di circa 100 grammi, talvolta ricoperto di sesamo che, portato in chiesa nei giorni della “tredicina” di giugno dedicata al Santo, all’interno di ceste, si fa benedire e distribuire a tutti i presenti»
Nel giorno di San Martino si mangiano ‘i viscotta di San Martinu: che hanno la forma di un piccolo pane, la cui parte appariscente è alla roccocò.
Il giorno della festa di Santa Lucia nel palermitano e in buona parte della Sicilia non si mangia né pane né qualsiasi altro prodotto ottenuto con farina di frumento. All’origine di questa devozione c’è una leggenda, secondo la quale, durante una carestia, il 13 dicembre di un anno imprecisato sarebbe sbarcata in Sicilia una nave carica di grano. In segno di ringraziamento alla Santa misericordiosa, di cui ricorreva la festa, i Siciliani avrebbero deciso di astenersi per quel giorno dal consumo del pane e di cibarsi di una minestra di grano, detta cuccìa.
Per la ricorrenza di San Biagio, protettore della gola, si preparano i cudduredda ’i San Brasi pani a forma di ciambella e modellati con decori.
Sant’Agata è la Patrona di Montemaggiore Belsito. Per Sant’Agata c’è stata un’antica disputa fra palermitani e catanesi che si contesero a lungo il protettorato della Santa. La vicenda si terminò con un compromesso: nativa di Palermo, Agata sarebbe stata martirizzata a Catania, città di cui divenne indiscussa protettrice. Ma la disputa non è mai terminata del tutto, poiché i catanesi sostengono che la Martire sia loro concittadina fin dalla nascita. Su una cosa però tutti i devoti di Sant’Agata sono stati sempre d’accordo: alla gloriosa martire furono strappati entrambi i seni e perciò nessun’altra santa poteva assolvere meglio di lei al ruolo di guaritrice delle malattie mammarie. Da qui la tradizione, tuttora onorata in molte parti della Sicilia, di preparare nei primi giorni di febbraio dei pasticcini tipici, detti minni di Virgini, «cassate ripiene, a imitazione del seno femminile, ricoperte con glassa di zucchero e decorate a volte con una ciliegia candita».
Le feste di San Giuseppe non sono le stesse in tutta la Sicilia. La sola cosa che hanno in comune è la presenza del pane benedetto che in certi paesi si distribuisce al popolo senza la presenza dei santi, virgineddi, o vicchiareddi che dir si voglia. Lo stesso nome del banchetto cambia da realtà a realtà (tavulata, mensa, tavula). Ma qualunque sia il suo nome, il banchetto è generalmente preparato per iniziativa di privati che hanno fatto un voto. Ogni altare è decorato con spighe di grano, mirto, alloro, agrumi e piccoli pani dalle più svariate forme.
Le mense di San Giuseppe sono state assimilate all’agape cristiana, «cioè al pasto comunitario che i primi cristiani compivano per ricordare l’Ultima Cena». La tesi è almeno discutibile: «Nell’agape il cibo si sostanzia nel corpo di Dio e i fedeli nel consumarlo entrano con esso in comunione. Nelle mense di San Giuseppe, di contro, emerge una concezione del rapporto uomo-dio più arcaico, poiché i personaggi raffiguranti la Sacra Famiglia che sono invitati a mangiare consumano i cibi proprio perché essi sono la divinità e mostrano il loro gradimento rispetto all’offerta fatta in cambio di una grazia. In Sicilia, dunque, l’uso d’imbandire mense alla Sacra Famiglia sottende ancora oggi una rappresentazione molto antropomorfica della divinità e richiama non l’idea de sacrificio del dio, piuttosto quella del sacrificio al dio». Si è, insomma, in presenza di un rito d’origine pre-misterica con chiare connotazioni agrario-ctonie.
Già una settimana prima si cominciano a confezionare alcuni cibi da disporre nella lunga tavola: per ogni voto bisogna eseguire tre grandi ciambelle di pasta, dette ucciddati, di circa sette o otto chili ciascuna, destinate ai tre poveri che rappresentano Gesù, Giuseppe e Maria.
Le sfincie e la “ghiotta” sono pietanze che affondano le loro radici nella tradizione culinaria montemaggiorese e nello specifico delle tavolate dei “virgineddi” allestite in occasione dei festeggiamenti di san Giuseppe e che ricordano, come detto, le mense per i poveri che devoti del patriarca allestivano per i meno abbienti due volte l’anno: il 19 marzo e il 1° maggio ricorrenze di San Giuseppe.
Le sfincie a base di uova e farina, o a base di farina e patate quelli meno raffinati, sono preparati riferendosi a ricette antiche e tradizionali.
La “ghiotta” per intenderci è una sorta di pietanza che somiglia alla “caponata siciliana” ma la “ghiotta” è preparata con una procedura più elaborata e contiene tipicamente molti più ingredienti. Dietro la preparazione c’è una maestria in cucina e di procedure manuali molto specifiche perché la produzione richiede tempi lunghi e anticipati perché si possa sfornare la squisita pietanza.
I dolci pasquali, divenuti ormai in molti Comuni capolavori di pasticceria tipica, erano un tempo pani. Ma le innovazioni non sempre riescono a nascondere le differenti stratificazioni culturali e gli originari significati. «Così, al simbolismo originario della Pasqua come rito di rinascita della natura si riconnettono i dolci che contengono l’uovo, elemento centrale delle rappresentazioni cosmogoniche; alla sua matrice semitica sono da riportare, invece, quelli che raffigurano l’agnello, mentre all’iconografia cristiana sembrano rinviare i dolci a forma di colomba».
Tipico pani ri Pasqua che «ha forma rotonda e reca in mezzo una crocetta rilevata nella stessa pasta: è di grano duro, pesa circa due chili, è consumato il giorno di Pasqua.
Montemaggiore Belsito fa parte dell’area di pupu cull’ovu. Abbraccia buona parte della provincia di Palermo sfiorando i centri madoniti settentrionali e quelli messinesi più occidentali
Per Natale si preparano: i cucciddata dolci ripieni di fichi o mandorle lesse macinati.
Ricordiamo, ancora, ’u pani cunzatu, umile prelibatezza contadina che non manca mai nelle sagre paesane e segnatamente in quelle dell’olio e del vino.
Santi Licata