Cefalù, Enrico Piranio barone di Mandralisca: archeologo, benefattore, politico, collezionista

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Probabilmente la memoria del barone Enrico Piranio di Mandralisca (Cefalù 1809 – ivi 1864) sarebbe rimasta a quanto offrono i preziosi suoi lasciti e l’intero museo che gli è dedicato nella città natale, se non fosse intervenuta autonoma,

a metà anni 1970, la curiosità di Leonardo Sciascia per il negromante Alister Crowley, che a Cefalù aveva sostato per qualche tempo. Sia chiaro la figura e lo slancio umanitario del Piranio nonché le sue scelte di mantenersi dalla parte dei poveri fino a pagare gli studi per quanti dimostravano volontà e valore sarebbero – come tuttavia sono – elemento ineludibile di meriti da aggiungere alle sue imprese di archeologo, malacheologo, collezionista di monete antiche, e imperterrito patrocinatore di scavi sia nel territorio di Cefalù sia a Lipari. Insomma Enrico Piraino è stato un benemerito della operosità su vari fronti come usava nel tempo in cui visse, tra studi enciclopedici, ricerche archeologiche e impegno sociale e, come vedremo, parlamentare. Ma i suoi più eccelsi meriti sono stati consegnati alla storia per la straordinaria generosità umana nei confronti dei poveri, delle classi indigenti.
Ed è questo aspetto che metterà in risalto Vincenzo Consolo nel suo romanzo Il sorriso dell’ignoto marinaio. È noto che lo scrittore di Sant’Agata di Militello, scartabellando tra vecchie carte del Museo Mandralisca per fornire a Leonardo Sciascia informazioni sulla sopra menzionata residenza a Cefalù del chiacchieratissimo Crowleiy, si è imbattuto in carteggi e atti pubblici del barone Enrico Piraino, traendone spunti sia di storia per il suo romanzo, sia di storie, cioè di quel tipo di informazioni per lo più tramandate oralmente, che definite al plurale negano verità storica al loro contenuto. Ed ecco riesumata la vicenda del famoso dipinto che in seguito sarebbe stato accertato come opera di Antonello di Messina, con tutta la sua curiosa fama di essere stato proprietà del farmacista di Lipari.
Questi aveva una figlia per la quale non si  riusciva a trovare marito. Le varie occasioni che erano state procurate a tal fine, si destinavano a non maturare con le nozze perché venivano interrotte improvvisamente e misteriosamente. Ebbene? Tale mistero la giovane delusa aveva immaginato responsabilità del quadro con il ghigno ironico del marinaio sorridente che il padre teneva appeso a una parete di casa. La giovane convinta di tale influsso malefico emanato da quel sorriso aveva ripetutamente infierito con graffi da unghiate e impeti di coltellate sulla tela. Tela che il barone Enrico di Mandralisca finirà con l’acquistare e portare a Cefalù in arricchimento delle sue molteplici e preziose collezioni.
Già questo episodio ci fa intrattenere per parlare del personaggio più di quanto non ci attrae la intera storia della sua vita non sempre del tutto felice. Infatti aveva perduto ancora adolescente sia l’unico fratello (Liborio) che l’unica sorella (Giuseppina Enrica). Poi, dalla moglie liparitana che aveva sposato ancora diciassettenne non nacque alcun erede. Con la conseguenza di rassegnarsi a non aver prole e quindi a impiegare le proprie ricchezze in opere di ricerca scientifica e di beneficenza. La parentesi dei suoi impegni antiborbonici lo portarono in parlamento. E lo portano anche a prendere definitiva conoscenza dello stato di arretratezza della Sicilia rispetto alle altre regioni del Nord Italia. Altri stimoli di forte incisività sulla sensibilità umana che il barone di Mandralisca si portava nell’indole fin da ragazzo.
Mandralisca, un esteso e fruttuoso feudo che la generazione degli antenati di Enrico aveva acquistato in momenti non proprio di limpida realtà economica. E non si può escludere che la consapevolezza della non del tutto trasparente potenza di possedimenti agricoli acquistati approfittanto  di contingenze  dettate dal bisogno di chi era stato costretto a vendere lavorasse nell’intimo subliminale del giovane barone che si batteva per i diritti dei diseredati e degli oppressi, in misura moralmente e materialmente maggiore di quanto abbia poi dimostrato l’entusiasmo del Consolo che rievoca la parte avuto dal barone nei moti rivoluzionari.    
Siamo al concetto assunto in apertura di questo “Medaglione” per uno dei personaggi che restano nella storia della Sicilia come momenti e punti di riferimento che additano a una classe civile illuminata e anticipatrice. Il resto lo racconta il Museo intestato al personaggio. E lo racconta quanto è custodito in altro museo, quello isolano liparitano delle Eolie, dove Enrico andava a trovare la nonna e dove aveva sposato Maria Francesca Pasisi discendete dei baroni di San Bartolomeo di Lipari, città nel cui territorio fece attuare scavi con importantissimi esiti di recuperi.
Lascia stupiti la quantità e qualità di relazioni che Enrico Piranio ebbe a intrattenere con ricercatori e intellettuali europei suoi contemporanei. Relazioni che vennero a infittirsi contemporaneamente e dopo il periodo della sua presenza in Parlamento. Era una consuetudine propria delle famiglie importanti intrattenere corrispondenze con i più noti personaggi della cultura europea. Altra interessante occasione di mantenersi informati e consapevoli nonché confrontare gli esiti delle ricerche. Particolare che fu caro a Enrico di Mandralisca il quale non risulta che abbia trascurato altrettanti momenti di confronto con i conterranei  specialmente con operatori del territorio madonita.
La città di Cefalù che vanta a dimostrazione di proprie linee culturali la istituzione di un albo d’oro dei suoi cittadini (cento) illustri, esemplare dimostrazione che non tutte le città della stessa Sicilia seguono, al fine non solo di esibire più o meno legittimi  orgogli, ma di testimoniare ai posteri modelli di vita e di eroismo, quanto non solo di generosità e illuminazione, ha riservato al barone Enrico Piranio di Mandralisca persino il privilegio di una sontuosa sepoltura in un sarcofago marmoreo collocato nella chiesa del Purgatorio.
Concludiamo con una citazione d’esaustiva ulteriore informazione tratta da una biografia ufficiale del personaggio: “(…) l’impegno concreto e quotidiano di Enrico a favore della sua comunità: quell’impegno che lo aveva indotto a mantenere agli studi, a Palermo, molti popolani capaci e meritevoli; ad ampliare l’ospedale civico, dotandolo a proprie spese di strumentazioni e mezzi a vantaggio soprattutto degli ammalati poveri; a curare la progettazione del porto di Cefalù pagando di tasca propria gli ingegneri; ad impegnarsi nel restauro dei mosaici del Duomo ruggeriano; ad introdurre innovazioni e metodi moderni in agricoltura; ad adoperarsi per il libero commercio, la libera pesca (combattendo i privilegi dei padroni delle tonnare) e la libera industria; e, quale atto culminante di un’esistenza interamente dedicata al sapere, alla sua città e alla sua gente, a redigere, nel 1853, il testamento con il quale destinava i suoi beni alla fondazione e al mantenimento di un liceo nella sua città natale, affinché istruzione e cultura non fossero più patrimonio esclusivo del singolo o appannaggio di pochi privilegiati, ma divenissero bene di tutti, risorsa della collettività rivolta a fini di progresso civile.(…)”.  
Mario Grasso