Asu e Lsu: il precariato storico alla conta

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Ancora loro, i precari da decenni, al centro dell’agenda politica regionale. Un problema o una risorsa? Su questo si divide l’opinione pubblica e in base all’angolo visuale, mutano i giudizi e le analisi. Ciò che resta, tuttavia, è il bacino di donne e di uomini con il carico dei problemi personali e familiari. Precari che reggono interi uffici nelle ipotesi migliori, senza i quali poco o nulla l’ente riuscirebbe a fare.

Ebbene, l’assessorato regionale del lavoro, in una nota, comunica di aver avviato il programma di fuoriuscita dal precariato per Asu e Lsu, specificando però subito che gli enti che occupano questi lavoratori hanno trenta giorni di tempo per «favorire la stabilizzazione». E l’assessore al ramo, Gianluca Miccichè, rincara la dose: «A breve una soluzione per il precariato da discutere in finanziaria». E continua: «Abbiamo ritenuto utile dare questo termine di trenta giorni – precisa l’assessore regionale – e insieme agli Uffici stiamo predisponendo una norma che dovrà passare al vaglio del Parlamento nella prossima finanziaria, per favorire percorsi di stabilizzazione del bacino dei precari Asu e Lsu».

Uno spiraglio, insomma? Per Miccichè «in considerazione del fatto che sono state abrogate tutte le norme che disciplinavano i contratti a tempo determinato e che gli stessi vanno trasformati a tempo indeterminato – aggiunge l’assessore regionale –, abbiamo ritenuto opportuno dare a tutti gli enti utilizzatori, pubblici e privati, che utilizzano personale Asu e Lsu, il termine di 30 giorni, per aggiornare il programma di fuoriuscita dal bacino del precariato. Una platea che, nel complesso, conta circa 6 mila soggetti impiegati in oltre 300 enti utilizzatori fra comuni, società cooperative, asp, case di accoglienza, consorzi di bonifica e Caritas».

Un esercito al centro della vita organizzativa di parecchi enti e che, da panacea politico-elettoralistica, con il tempo è diventato sempre più un macigno trasferito di legislatura in legislatura. Per il quale, è inevitabile, la politica stessa dovrà trovare una soluzione la cui assenza si trascina stancamente di anno in anno. Oggi, quel che si respira, nel pieno di una crisi economica senza precedenti, con alti tassi di migrazione giovanile e non solo, di disoccupati e di interi settori al collasso, è anche una sottile e strisciante tensione sociale tra questi lavoratori, giunti in questa condizione loro malgrado (molti ricordano «quanto non sia affatto facile ritrovarsi dopo decenni precari dentro un ufficio che non può fare più a meno di te») e i tanti giovani disoccupati, titolati, che vedono sempre più nella pubblica amministrazione uno sbocco alla stagnazione lavorativa per ricoprire un ruolo attendendo una selezione concorsuale.

«Tale piano – continua Miccichè – avrà un valore importante per il proseguimento dell’obiettivo di stabilizzazione di questo bacino, stante che non si limiterà ad un mero aggiornamento della misura di stabilizzazione ma sarà utilissimo per radiografare la platea dei precari sotto il profilo delle professionalità e delle competenze, nonché delle effettive esigenze di personale negli enti utilizzatori e delle reali capacità di spesa.» Vedremo, quindi.

Intanto, conclude la nota, «gli enti, al fine di pianificare al meglio, specialmente sotto il profilo normativo, il percorso di stabilizzazione del personale precario dovranno fornire, su apposito format redatto dall’assessorato al Lavoro e scaricabile dal sito internet del Dipartimento, dettagliate notizie sui processi di stabilizzazione in itinere, sulle eventuali procedure di mobilità verso altri enti pubblici, sui possibili titoli di studio o attestati di qualifica diversi da quelli di assegnazione ai progetti originari e sulla necessità di prosecuzione delle attività socialmente utili in ragione del fabbisogno organizzativo e delle comprovate esigenze istituzionali, volte ad assicurare i servizi già erogati.»