Carabinieri confiscano i beni del boss Capizzi. Tra questi una villa a Campofelice di Roccella

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L’attività investigativa dei Carabinieri di Palermo, che aveva già portato al sequestro di beni per un valore complessivo di circa 5 milioni di euro, ha consentito l’emissione, da parte del Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, del provvedimento di confisca a carico di Benedetto Capizzi, in carcere dopo l’arresto durante l’operazione Perseo.

 

Tra i beni sequestrati una villa a Palermo, residente dell’arrestato e della propria famiglia oltre a una macchina, due capannoni per attività commerciali a Palermo e una villa unifamiliare a Campofelice di Roccella. Sequestrati inoltre l’impresa “Tafuri Maria”, attività di movimento merci relativo a trasporti terrestri e il relativo complesso di beni aziendali, con sede in Palermo; la “Capizzi Maria Rita”, una attività di sbancamento terra, demolizione di edifici e il relativo complesso di beni aziendali, con sede ad Altofonte; la Capizzi Antonino Gioacchino, attività di sbancamento terra, demolizione di edifici con sede in Altofonte e l’intero capitale sociale della società “Meditin di Capizzi Antonino & C. snc” con sede in Palermo.
Le indagini patrimoniali hanno avuto inizio a seguito dell’operazione denominata “Perseo”. Dagli accertamenti che hanno portato all’emissione, nel dicembre del 2008, del citato provvedimento restrittivo, emerge come il Capizzi nonostante fosse detenuto alla pena dell’ergastolo, a seguito di due condanne rispettivamente del 2006 e del 2008, non solo continuava ad essere il reggente del mandamento di Villagrazia – Santa Maria di Gesù, ma aveva anche in animo, dopo gli arresti di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, di ricostituire la Commissione Provinciale di Cosa Nostra e di porsi al suo vertice.
A tal proposito, emblematiche risultano le conversazioni con il figlio, tramite il quale Benedetto Capizzi impartiva le direttive per la gestione della consorteria e al quale perentoriamente raccomandava: “Se qualcuno vuole alzare la “cricchia” se la cali perché ci lascia la pelle, chiaro?…Pugno duro, hai capito? Pugno duro con tutti!”.
Inoltre in una conversazione durante una riunione di mafia tra Giovanni Adelfio, Giuseppe Scaduto e Sandro Capizzi, secondo gli accordi presi da Scaduto con Capizzi, venivano definiti alcuni tra gli aspetti salienti della Commissione Provinciale di “Cosa Nostra”: “…all’ultimo ci sediamo e cerchiamo di fare una specie di Commissione all’antica…cinque, sei, otto cristiani come si faceva una volta e quindi la responsabilità se dobbiamo fare una cosa ce l’assumiamo tutti”.