Suor Lucia Ciaccio (Termini Imerese, 1567 – ivi, 1640), asceta e mistica termitana, è misconosciuta alla stragrande maggioranza dei suoi concittadini. Tutto ciò nonostante Enzo Giunta, nel suo Profili di Termitani illustri meno illustri e misconosciuti (GASM, Termini Imerese 2002, p. 31), abbia dedicato alla mistica dei brevi cenni biografici.
A nostro giudizio, lo studio della figura di suor Lucia Ciaccio, vissuta in fama di santità in una cittadina demaniale, può contribuire a fornire un importante spaccato del mondo spirituale femminile tra Cinque e Seicento in ambito siciliano e, nello specifico, termitano.
Nel Cinquecento, si ebbe la risoluta riaffermazione dogmatica effettuata dal concilio di Trento (1545-63), che poneva l’accento sia sulla Ecclesia militans, sia sul ruolo delle opere in vista della salvezza eterna. In tale contesto, la spiritualità cattolica romana, appare fortemente orientata verso forme di elevata e severa ascesi, con l’imitatio Christi, meditazione sulla vita, passione, morte e risurrezione di Cristo, strumento necessario per ottenere la vittoria nel sano “combattimento spirituale” contro le insidie del maligno.
Il cardinale Federico Borromeo (1564-1631), fu autore dell’opera De ecstaticis mulieribus, et illusis libri quatuor, edita a Milano nel 1616 [nella Stamperia di Sig(no).ria Ill(ustrissi).ma il Cardinale, presso Giorgio Rolla in Camposanto, Mediolani, 272 pp.], strettamente legata al suo ufficio pastorale ed episcopale, nella quale egli si prefiggeva di fornire gli indispensabili strumenti necessari e le direttive utili a chi avesse cura d’anime o si trovasse a trattare con persone che sostenevano di andare incontro a fenomeni straordinari, quali visioni mistiche e manifestazioni estatiche, al fine di poter attentamente discernere, cum grano salis, i fenomeni puramente naturali, le autosuggestioni, le mistificazioni, e gli inganni malefici, dalle manifestazioni autentiche alle quali egli attribuiva grande importanza ed il massimo apprezzamento.
Relativamente alla vita ed alle opere di suor Lucia Ciaccio, sinora l’unica fonte a nostra disposizione, era quella dello storico locale sac. Vincenzo Solìto, Protonotaro Apostolico, Arciprete e Commissario del Sant’Uffizio (cfr. Appendice documentaria), mancando del tutto ulteriori contributi.
Effettuando delle lunghe ed approfondite ricerche d’archivio sui fondi notarili dell’Archivio di Stato di Palermo – Sezione di Termini Imerese e sui registri dell’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, per la prima volta abbiamo potuto effettuare una ricostruzione assolutamente inedita del contesto familiare a cui appartenne la mistica termitana.
Dal sacerdote Solìto, era noto che Lucia Ciaccio era figlia di Giuseppe Ciaccio e di Caterina. Di quest’ultima, allo stato attuale delle ricerche, si ignora il cognome.
La famiglia Ciaccio (grafia antica del cognome: Chiachius o Chachius o Chachus), già documentata a Termini Imerese agli inizi del Quattrocento, appartenne al locale patriziato con il titolo di nobilis.
Il nobilis Aldoynus Chachius nella terra di Termini fu giudice nel 1413-14, nel 1419-20 e nel 1426, mentre ricoprì la carica di giurato nel 1417-18 (cfr. R. M. Dentici Buccellato, Masserie e salari in Sicilia nel XV secolo (il territorio di Termini Imerese), Atti dell’Accademia di Scienze Lettere e Arti di Palermo. 2. Lettere, ser. 4, vol. 39, Palermo 1982, pp. 155-210, in particolare, p. 160). Aldoynus risulta già morto il 15 (25 secondo il vigente calendario gregoriano, d’ora in poi cg) maggio 1439 come appare da un rogito in detto notar Bonafede nel quale la moglie, la nobile Bartolomea, è ricordata nello stato vedovile (cfr. Archivio di Stato di Palermo – Sezione di Termini Imerese, d’ora in poi ASPT, atti notar Giuliano Bonafede di Termini Imerese, vol. 12833, anno indizionale 1438-39, f. 77r).
Particolarmente illuminante è l’inventario testamentario del nobile Paolo Ciaccio (Paulus Chachius), habitator terre Thermarum, del giorno 8 (18 cg) 1431 (cfr. ASPT, atti notar Giuliano Bonafede di Termini Imerese, vol. 12833, f. 8r.-14v). Egli nominò suo erede il figlio naturale Giovanni (Johannes) avuto da Ysmiralda de Leone e, nel caso che ciò non fosse stato giuridicamente possibile, in alternativa dispose in favore della sorella, la nobile Bartolomeo de Creone, indicata nel rogito con il cognome del marito, nonché di suo nipote, il nobile Johannes de Ventimiglia.
Da questo atto traspaiono i rapporti di parentela dei Ciaccio, che sicuramente meriterebbero di essere approfonditi attraverso ulteriori indagini archivistiche, con due importanti casate feudali delle Madonie: i Craon di origine francese (dall’omonima località nel dipartimento della Mayenne dell’Angiò), a sia volta legati da vincoli di sangue con la dinastia normanna degli Altavilla, ed i Ventimiglia di origine ligure.
Paolo Ciaccio dispose di voler essere sepolto nella chiesa di S. Maria de Annuntiata e stabilì un legato in favore dell’omonimo edificio di culto di Palermo, sito presso la Porta S. Giorgio. Quest’ultima porta civica, che esistette sin dal 1194, prese il nome dalla chiesetta e tonnara omonima, entrambe distrutte per la posa in opera del Molo di Palermo (iniziato nel 1566 e completato nel 1590, cfr. F. M. Emanuele e Gaetani, Marchese di Villabianca, Notizia storica del Molo di Palermo, ms. Biblioteca Comunale di Palermo ai segni Qq F 18). La porta esibiva la medesima configurazione architettonica della Porta di S. Agata (tuttora visibile in Corso Tüköry) e fu distrutta nel 1724, essendo sostituita da quella di Santa Rosolia e di S. Giorgio, a sua volta rasa al suolo nel corso dei lavori di demolizione delle fortificazioni cinquecentesche, negli anni 1853-55 (cfr. R. La Duca, I bastioni e le porte di Palermo ieri e oggi, a cura di F. Armetta, Sciascia, Caltanissetta 2014, ad vocem).
Questo lascito del termitano Paolo Ciaccio alla chiesa palermitana dell’Annunziata di Porta S. Giorgio, è particolarmente interessante perché attesta che l’edificio di culto era già esistente nella prima metà del Quattrocento. L’edificio di culto, che era sito a breve distanza da S. Giorgio dei Genovesi, fu devastato dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale e si salvò solo la torre campanaria (cfr. M. Cannella, La perduta Chiesa dell’Annunziata presso Porta san Giorgio a Palermo: ipotesi e ricostruzioni virtuali, in A. Arena, M. Arena, R. G. Brandolino, D. Colistra, G. Ginex, D. Mediati, et al., eds., 42° Convegno Internazionale dei Docenti delle Discipline della Rappresentazione. Congresso della Unione Italiana per il Disegn, Angeli, Milano 2020. pp. 1842-1859).
L’inventario ereditario di Paolo Ciaccio è stato parzialmente pubblicato dagli storici francesi, Geneviève Bresc-Bautier ed Henri Bresc (cfr. G. Bresc-Bautier, H. Bresc, Une maison de mots. Inventaires de maisons, de boutiques, d’ateliers et de châteaux de Sicile, XIIIe-XVe siècles, Associazione Mediterranea, Palermo 2014. tome III, pp. 846-847, doc. cccixc). Il testatore possedeva a Termini diversi beni immobili: una casa solerata (a due vani sovrapposti separati da un solaio, di cui uno a piano terra), nonché un tenimento di case prospettante su un cortile, tutti posti nel Quartiere Vecchio, un’altra casa solerata ed una bottega, siti nel borgo entro le mura, un magazzino alla marina (in maritima), nel borgo sul lido fuori le mura nonchè un fondaco ed una vigna in contrada Balata. Inoltre, il Ciaccio deteneva la metà del territorio chiamato «lu Phegu de misser Verardu alias di la Cubba di la Gebbia» (confinante con i feudi di S. Onofrio e Pergola), mentre teneva in locazione per ventinove anni il feudo «de la Petra di la Palumba» (la Rocca che sovrasta l’attuale comune di Roccapalumba), di proprietà del Magnifico Messer Giovanni Valguarnera (Johannes de Valguarnerio). Nel periodo in cui il Ciaccio gestì questo feudo vi furono diverse usurpazioni, come quella attuata con la forza dal secreto di Caccamo nel 1431 (cfr. R. M. Dentici Buccellato, Masserie e salari in Sicilia…cit., in particolare, p. 161).
Agli inizi del Cinquecento, il nobile termitano Giovanni de Napoli, nel suo testamento agli atti di notar Giovanni Tommaso Tranchida di Palermo del 7 (17 cg) febbraio 1518 e relativo inventario ereditario del 23 maggio (2 giugno cg) 1521, trasuntato agli atti di notar Tommaso Antonio Vecellio di Termini del 5 (15 cg) ottobre 1563, tra i suoi eredi e legatari rammenta la moglie Caterina, la suocera Garita (Margherita) Salimbeni, nonché i nipoti Giovanello de Napoli, Domenica Graffeo, Lucia Ciaccio (quest’ultima potrebbe essere la nonna paterna della nostra mistica). Del resto, nella prima metà del Cinquecento, la casata dei Ciaccio, manteneva ancora un certo prestigio, tanto che un Giovanni aveva il titolo di Magnifico, mentre un Bartolo appare senza alcuna distinzione.
Le nostre ricerche archivistiche permettono di stabilire che il padre di Suor Lucia Ciaccio, Giuseppe, ebbe almeno due fratelli, il notaio Luigi (Aloisi) ed il Venerabile sacerdote Don Giovanni Luca (cfr. Libro II di Contratti e Scritture, ms. dell’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, d’ora in poi AME, sec. XVI-XVIII, ai segni A ε 1 b, f. 248 e segg.). Giuseppe Ciaccio, nell’anno indizionale 1608-1609, ricoprì la carica di Maestro di Piazza, cioè ufficiale dell’annona dell’universitas di Termini (cfr. Atti dei Magnifici Giurati della Splendidissima e Fedele Città di Termini, anno indizionale 1608-1609, ms. della Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese).
Luigi Ciaccio, notaio (documentato tra il 1563 ed il 1603), giudice e poeta, fu autore del Breve ristretto di sentenze cristiane e documenti utili ad ognuno, fatto in versi distici con loro espressione in lingua siciliana, pubblicato in 8°, s. n. di stampa [eredi di Giovanni Matteo Mayda?] a Palermo, nel 1582 (cfr. C. Pàstena, A. Anselmo, M. C. Zimmardi, a cura di, Bibliografia delle edizioni palermitane antiche: BEPA, 1, Edizioni del 16. secolo, presentazione di Adele Mormino, Regione siciliana, Assessorato regionale dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione, 1998). Il sac. Don Giovanni Luca della Maggior Chiesa di Termini Imerese, è documentato soprattutto negli anni 1570-1572.
Come accennato, l’opera di storia locale del sac. Vincenzo Solìto, contiene un profilo biografico della suora e mistica, precisamente inserito nel volume secondo, parte sesta, capitolo sesto (cfr. V. Solìto, Termini Himerese Città della Sicilia posta in teatro. Cioè, l’Historia della Splendidissima Città di Termini Himerese nella Sicilia, Nella quale si rappresentano li di lei progressi, le guerre, e li fatti illustri de’ Cittadini di essa, esposti nelli suoi anni, e secoli, da qua[n]do furono cacciati dalla Sicilia li Saraceni insino al te[m]po presente, Composta dal Signor Don Vincenzo Solito Nobile Termitano Protonotaro Apostolico Archiprete, e Commissario Ordinario della S. Inquisitione nella medesima Città, Bisagni, Messina 1671, II, pp. 147-153).
La biografia di questa mistica evidenzia chiaramente come la sua esperienza religiosa, caratterizzata da una vita pienamente votata all’aderenza allo spirito evangelico, declinato al femminile, con un afflato non solo virginale, ma fortemente orientato verso la dimensione sponsale in unione con Nostro Signore Gesù Cristo e profondamente ascetica. La mistica termitana, inoltre, è un esempio di adesione, in senso sia spirituale, sia fisico, alle sofferenze ed in conformità alla penosa passione di Cristo, adesione che, secondo quanto riporta il sac. Solìto, fu accompagnata da doni straordinari come le frequenti visioni celesti, stati di orazione, estasi mistiche e contemplazioni. A ciò si aggiungevano anche i tormenti legati a continue tentazioni malefiche, che lei prontamente scacciava ricorrendo alla protezione divina. Nel contempo, Lucia aveva intrapreso varie pratiche ascetiche come digiuni e aspre penitenze. Tale profilo biografico, come riferisce l’arciprete Solìto, appare ricostruito anche grazie al contributo di un non specificato sacerdote, confessore/direttore spirituale individuale, che seguiva attentamente la mistica termitana. Questo sacerdote, attraverso la scienza del discernimento degli spiriti, parte essenziale della teoria e della pratica della direzione spirituale, doveva essere in grado di vagliare con molta prudenza gli avvenimenti, al fine di stabilire correttamente l’origine delle ispirazioni, effettuando una valutazione alla luce degli insegnamenti tridentini.
Purtroppo, come lamenta lo stesso Solìto, questo sacerdote non ebbe cura di raccogliere, in maniera minuziosa, appunti e materiali sulla vita della mistica da lui diretta, annotando in special modo le esperienze interiori vissute dalla suora, ma si limitò ad attestare verbalmente gli episodi più salienti.
Il Solìto, inoltre, nella biografia, sottolinea molte analogie tra suor Lucia Ciaccio e suor Maria Maddalena de’ Pazzi (al secolo Caterina Lucrezia de’ Pazzi Buondelmonti, Firenze 1566 – ivi, 1607), quest’ultima proclamata Santa dalla Chiesa Cattolica nel 1669.
Secondo quanto riporta il profilo biografico edito dal Solìto, nella prima infanzia, attorno i due anni di età, Lucia ebbe due “incidenti” domestici ai quali sopravvisse miracolosamente e che, letti alla luce degli eventi successivi, appaiono particolarmente emblematici. Il primo, avvenne in casa dei genitori, mentre era tenuta in braccio da una domestica. Si ebbe un improvviso distacco di grossi frammenti di una parte di muratura, che precipitando si disposero in maniera tale da formare una sorta di riparo, per cui rimasero illese sia la bimba, sia la fantesca. Il secondo evento, invece, avvenne in casa di una vicina e per inavvertenza di quest’ultima, la piccola Lucia fu gravemente ustionata dall’acqua bollente fuoriuscita da una caldaia, tanto da non poter toglierle la camicia senza asportare la pelle. Nonostante ciò, ella guarì in breve tempo riacquistando totalmente la salute e gli anni seguenti trascorsero senza ulteriori “segni”, all’interno di ordinarie esperienze di vita.
Ad otto anni, secondo il profilo biografico edito dal Solìto, ecco che improvvisamente la vita di Lucia Ciaccio, cambiò per sempre. La bambina ebbe la prima di numerose esperienze straordinarie, cioè delle visioni estatiche, destinate a contrassegnare indelebilmente la sua vita futura.
Dopo la visione estatica di Cristo piagato e sofferente, resasi conto dell’infinito Divino Amore per l’Umanità intera, testimoniato dal Sacrificio della Passione, ne ebbe un tale trasporto di cuore che volle appendere al collo un piccolo crocifisso, portandolo per tutta la propria esistenza terrena. Da quel momento, ebbe un comportamento particolarmente assennato, del tutto privo di atti e gesti puerili, manifestando una spiccata propensione per la vita ascetica.
In due distinti periodi, dal 1582 al 1587 c. e dal 1588 al 1593 c., Lucia fu educanda nel reclusorio femminile dei SS. Pietro e Paolo, nella sua città natia. Le sue ascesi, secondo la biografia edita dal Solìto, furono spesso contrassegnate dal carattere sponsale con il Cristo: l’anello con cui si unì nel matrimonio mistico, lo scambio del cuore con quello di Gesù, la corona di spine, etc. La sua condotta morale integerrima, si fondava sul fatto di essere «sposa di Cristo» e, quindi, doveva confarsi totalmente alla vita evangelica, avendo per emblema la povertà. Partendo da questo assunto, ella si orientò coerentemente nell’assumere un regime alimentare alquanto parco, unito all’estrema povertà dell’abito ed alle frequenti pratiche di mortificazione.
Nel 1597 c., avendo ormai orientato il suo percorso verso i valori della professione monastica, Lucia espresse per la prima volta il desiderio di entrare come conversa nell’ordine carmelitano, ma il padre, Giuseppe, si oppose fermamente a questa sua scelta. Lucia, secondo quanto riferisce il Solito, su ispirazione divina «un giorno prese quell’habito se[n]za sua licenza, e saputa: del che molto si compiacque il Padre, vedendo esser volontà di Dio che ella in questo stato il servisse».
Il 22 Ottobre Ia Indizione 1632 fu stipulato un atto notarile nel quale è coinvolta Lucia Ciaccio che appare indicata con il titolo di soro (suora) e qualificata come moniale terziaria. Si tratta di un rogito scoperto dagli scriventi e sinora totalmente inedito. Nell’atto, il padre maestro Eliodoro Stremola, priore del convento di S. Maria del Monte Carmelo sotto il titolo di S. Rocco, diede in concessione a suor Lucia Ciaccio, moniale terziaria, la cappella esistente all’interno della chiesa di detto convento e, in particolare nell’ala della cappella di S. Rocco, già concessa al dottor Andrea Lupo (medico castelbuonese attivo a Termini), dove vi era la porticella dalla quale si usciva nella stradina laterale [attuale Via La Rocca], con la facoltà di sepoltura per sé e per i consanguinei (cfr. ASPT, fondo notai defunti, notar Giuseppe Bertòlo di Termini Imerese, vol. 1464, bastardello dell’anno indizionale 1631-33, f. 58).
Nel 1638, la nostra Lucia, in obbedienza alla volontà dell’arcivescovo di Palermo, il genovese Giannettino Doria Del Carretto, si ritirò nel monastero di S. Marco sotto la regola di Santa Chiara dove vigeva la ferrea osservanza della strettissima clausura, lontana dai clamori e dalla eccessiva curiosità del mondo.
L’atto di morte (cfr. AME, Defunti, vol. 95, 1640-47, f. 156r n. 6) di suor Lucia Ciaccio, appare inusitatamente lungo e dettagliato: Soro Lucia Ciaccio d’anni 73 in circa / rese l’anima à Dio nostro Sig[nor].e con odore di / Santità, nel Monastero di S[ant].a Chiara sotto titolo / di S. marco a 20 maggio 8a i[inditione]. 1640: dove / essendo d’anni 70 di sue età a 7 febraro / 1638: prese l’abito di conversa [postilla: entrando in quello, dal secolo, coll’abito del carmine], ed à 15 Agosto / 7a I[nditione]. 1639 fece la publica [sic] solenne profes/sione. la di cui nascita fù à 30 sett[emb].re 1567 come / appare nel libro de’ Battesimi di q[ue]sta n[ost]ra mag[gio].r Chiesa / à foglio 2: le parole sono le seguenti: Eodem / die (essendo sopra la giornata di 30 sett[emb].re) Presti Gas/pano Crixiuni b[attiau]: la figlia di Joseppi Chiachio / n[omin]e lucia, patrino notar centomasi [sic: antomasi, cioè Antonio Tommaso] bertuni / il cognome nel alfabeto, e [sic, è] scritto con le seguenti / Lettere Ciaccio, e al presente così si scrive: / serva tutto di notizia à posteri.
Nonostante i ferventi auspici del Solìto, suor Lucia Ciaccio, morta in fama ed in odore di santità, allo stato attuale delle ricerche non risulta sia stata oggetto di un ulteriore percorso volto a farla pervenire agli onori degli altari.
Lo storico e regio storiografo, abate Vito Maria Amico e Statella O. S. B. (Catania, 15 febbraio 1697 – ivi, 5 dicembre 1762), nel suo Lexicon Topographicum Siculum (tomus II, pars prima, Pulejum, Catanae MDCCLIX, s. v. Thermæ Himerenses, pp. 211-229, in particolare, p. 223) rammenta la figura di Lucia Ciaccio, carmelitana del terzo ordine, per l’austerità di vita, la contemplazione delle cose divine ed altre virtù cristiane, per la singolare devozione nei confronti della Vergine Deipara, onorata da Dio con mirabili rivelazioni, infine per essersi ritirara nel monastero di S. Marco, dove si spense: «Luciam Ciaccio Virginem, Carmelitis tertii ordinis accensam, vitæ austeritate, Divinarum rerum contemplatione, ceterisque Christianis virtutibus insignem, miris a Deo ostentis honoratam, erga Deiparam Virginem singulariter affectam, demumque in S. Marci Monasterio, quò sese incluserat, sancto fine defuncta».
Per completezza di informazione, ricordiamo che un Anonimo religioso carmelitano, negli anni ‘70 dell’Ottocento, menziona suor Lucia Ciaccio, conversa, e l’anno di morte 1640, con il titolo di Venerabile, presumibilmente per fama sanctitatis, secondo quanto egli aveva riscontrato nella documentazione storica, che era allora conservata nell’archivio generalizio dell’ordine carmelitano di S. Maria di Traspontina (cfr. Anonimo, Catalogo dei santi beati e venerabili del sagro ordine dei carmelitani calzati: estratto dalle memorie conservate nell’archivio generalizio di S. Maria di Traspontina e disposto in forma di calendario, Pompei, Viterbo 1870, 48 pp., in particolare, p. 21), oggi nell’Archivio generale dell’Ordine carmelitano (AGOC) in via Sforza Pallavicini 10, presso il Centro internazionale Sant’Alberto a Roma.
A Termini Imerese, invece, l’interesse per la straordinaria vita mistica di suor Lucia Ciaccio, lasciò il posto alla noncuranza e dall’oblio. Emblematico a tal proposito è l’atteggiamento del poligrafo termitano Niccolò Palmeri della Gasèna (Termini Imerese, 9 agosto 1778 – ivi, 18 luglio 1837), nel suo Saggio sulle Terme e le Acque Minerali di Termini-Imerese (Nobile, Napoli 1820), dove si lamenta che il Solìto, nella sua opera storica abbia omesso molti avvenimenti rilevanti della storia locale, preferendo invece dilungarsi nel trattare di alcune figure emblematiche di religiosi termitani: «Il nostro storico crede più degno di menzione, che in quell’epoca visse suor Lucia Ciaccio, che guari colle sole orazioni la fistola del suo cognato, ed una postema, non sò in qual parte, ad una donna». Il Palmeri, non tenne conto del fatto che il sac. Solìto, aveva una concezione cristiana della Storia, pertanto la figura della mistica termitana, è tratteggiata quale esempio di virtù cristiane, tant’è che appare inserita, con molta prudenza ed avvedutezza, dopo il capitolo V dedicato ai «Termitani illustri in Santità», trovandosi nella condizione di essere morta in fama sanctitatis, cioè con la reputazione di venerazione in vita e post mortem, mancando però una successiva verifica da parte dell’autorità religiosa, attraverso un apposito iter processuale, atto a provare le virtù eroiche, i doni sovrannaturali ed i miracoli, sino a giungere alla canonizzazione e successiva proclamazione pontificia del culto, locale o universale.
Papa Urbano VIII (1623-1644, al secolo Maffeo Barberini) procedette alla regolamentazione del culto dei beati e dei santi, con la bolla Coelestis Hierusalem Cives (1634, cfr. A. Chevalier, cur., Magnum Bullarium Romanum, vol. 5. Luxembourg 1727, pp. 260-262), dove si stabiliva che solo persone beatificate o canonizzate dalla Sede Apostolica potevano essere oggetto di culto. Relativamente a persone vissute anteriormente al decreto, veniva richiesto un culto di almeno cento anni; per quelle successive doveva richiedersi un duplice processo, il primo fatto dall’Ordinario del luogo e, successivamente, quello apostolico. Il processo sulle virtù, inoltre, doveva essere corredato anche da due miracoli rigorosamente documentati e provati.
Pertanto, in ossequio ed esatta esecuzione dei Decreti dei Sommi Pontefici, e specialmente di quelli di Urbano VIII, di quelli della Sacra Congregazione dei Riti, nonchè del Catechismo della Chiesa Cattolica n. 67, espressamente dichiariamo, che a quanto viene esposto in questo articolo su suor Lucia Ciaccio di Termini Imerese, attribuiamo un valore eminentemente storico. Tutto quanto è narrato intorno a fatti straordinari, non va data altra fede, che quella puramente umana, e che non si intende in alcun modo prevenire l’autorità ed il giudizio definitivo in merito, da parte della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana.
Concludendo, le nostre ricerche documentarie hanno permesso di fornire un contributo sinora inedito alle vicende familiari e biografiche della mistica termitana suor Lucia Ciaccio, figura ancora da riscoprire e valorizzare nelle sue molteplici sfaccettature.
Patrizia Bova e Antonio Contino
Ringraziamenti: vogliamo esternare la nostra più sincera gratitudine, per l’essenziale supporto logistico nelle nostre ricerche e per la consueta disponibilità, rispettivamente, al direttore ed al personale delle biblioteche comunali Leonardo Sciascia di Palermo e Liciniana di Termini Imerese. Un ringraziamento particolare va a don Antonio Todaro per averci permesso di effettuare basilari ricerche presso l’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese.
Appendice documentaria
- Solìto, Termini Himerese, etc., vol. II, Bisagni, Messina 1671, pp. 147-153.
[p. 147] Vita di Soro Lucia Ciaccio.
Soro Lucia Ciaccio Monaca Carmelitana nacque nella Città di Termini à 30. di Settembre dell’anno del Signore 1577 [sic, 1567]. Suo padre hebbe [sic] nome Giuseppe e la madre Caterina persone molto onorate, e virtuose.
Dimostrò il Signore haver’eletto questa fanciulla per sua sin da teneri anni poiche [sic] gl’avvennero alcune cose; nelle quali chiarame[n]te si dà à [sic] vedere la provide[n]za divina, che in certa maniera particolare la riguardava.
Essendo ella di due anni in circa, e stando nelle braccia, d’una serva di sua casa, rovinò un muro delle sue stanze, il quale dovendo precipitare direttamente sopra la piccíola bambina onde senza dubio [sic] alcuno s’havrebbe disfatto: spiccatosi quella parete si formò in forma d’arco pe[n]dendo, e lasciò libera la fanciulla, ne molto doppò [sic] havendo [sic] compiuto due anni d’età, dimorando in casa di una vicina, cadde inavvedutamente sù [sic] la figliolettа una caldaia d’acqua bollente, della quale sibbene [sic] gravemente offesa; posciache [sic] talmente sentirono il fuoco le teneri carni, che dovendosele trarre la camicia si spiccavano dal corpicello attaccate à quel lino, nientedimeno ne restò trà [sic] breve dall’intutto sanа, fuori dell’aspettatione d’ognuno, il quale pensava sicurame[n]te doversi di quello avvenimento morire. Ma il Signore, che à [sic] più alte cose la riserbava, la liberò quasi miracolosamente dalla morte, che gli doveva quell’abbrugiame[n]to cagionare.
Arrivata all’età d’otto anni fù [sic] un giorno trasportata in una camera di sua casa, e quì [sic] se gli rappresentò un’uomo tut-[p. 148]to da capo à piedi impiagato, che grandissima compassione eccitava a vederlo: ma assai bello nella proportione del corpo, e nelle fattezze del volto; intese ella interiormente ammaestrata da Dio esser quello Christo signor Nostro, che per la salute del genere umano havea [sic] quelle piaghe amorosamente ricevuto, e sofferto, e da quel giorno in poi hebbe [sic] sempre mai la memoria della passione del Redentor impressa con grande tenerezza nel cuore: ne contenta d’aver cossi vivamente scolpita nel di dentro; prese un picciolo Crocefisso, e se l’appese al petto acciòche [sic] ancora nel di fuori havesse [sic] sempre gl’occhi nel suo appassionato Signore, e potesse dire con la sposa fascyculus myrræ, dilectus meus mihi, inter vhera mea co[m]morabitur. Così fin da quell’età eleggendo per suo sposo il Signore & adornando il suo petto non con vaghezza di fiori, corne per lo più sogliono fare le do[n]niciuole, ma portando per rose le piaghe, & per fiori le spine del Crocefisso. Cominciò d’indi innanzi risplendere in casa con più maturità di costumi, il suo parlar era raro, la sua modestia singolare d’ubidienza [sic] à maggiori ammirabile, la sua ritiratezza grande, ne mai in cose fanciullesche occupata; amica dell’oratione tanto che servitiо alcuno di casa non imprendeva à fare, se prima tre volte il Pater Nоster, l’Ave Maria divotamente non recitava.
E’ nella Città di Termini un ridotto di divote feminе [sic], che unitamente vivendo se bene non sono religiose, menano molto religiosa vita con grandissimo odore di virtù risplendono nella Città, in questa саsа essendo d’anni. quindeci [sic] entrò Lucia & essendo d’anni venti n’uscì, e dimorato un’anno [sic] in саsа propria, vi fece ritorno, e doppo [sic] d’anni 26. uscitane, non ritornovvi [sic] mai più. In questa casa sappiamo esserle occorse molte cose notabili, ma di due cose si ha certezza.
La prima, che suonando ella la campana non sò [sic] per quale accidente talmente dal suo luogo si commosse, che sopra di lei infallibilmente precipitava ma si trattenne ma non senza miracolo, come fù [sic] sentimento commune [sic], restò Lucia senza danno veruno in quel pericolo tanto grave.
L’altra si è che non havendo [sic] allora questa divota radunanzа di donne persona assegnata, che loro celebrasse le messe [p. 149] nella chiesa, che hanno sotto il titolo di S. Pietro; ella il giorno della Presentatione della Beatissima Vergine Nostra Signora desiderava grandemente sentirla, & ecco che sta[n]do in quello affettuoso desio, vennero due Angioli, li quali portavano unа tovaglia bianchissima, & apparecchiarono un’altare [sic] di bellezza inesplicabile; il che fatto, discese dal Cielo Christo Nostro Signore vestito da Sacerdote con molta co[m]pagnia di Spiriti, e celebrolle [sic] la messa. Sentendo ella 4. anni doppo [sic] che era uscita da quella casa di S. Pietro racco[n]tare da una sua amica le grand’indulgenze, che sono concesse alle monache del Carmine entrò in grandissima brama di portare questo S. habito [sic] di Nostra Signora, e chiedendone licenza suo Padre, egli non volle in maniera alcuna acconsentirvi.
Ma Lucia ispirata da Dio un giorno prese quell’habito [sic] senza sua licenza, e saputa: del che poi molto si compiacque il Padre vedendo esser volontà di Dio che ella in quello stato il servisse.
La vita di lei intanto era accompagnata da tutte le virtù, la mortificatione era rara, nei cibi metteva erbe amarissime, acciòche [sic] sostentandosi il corpo, che era di necessità, non si dilettasse il palato.
Ogni Venerdì non mangiava cosa alcuna: il Giovedì, Venerdì, e Sabbato [sic] Santo per molti anni li passò senza gustar cibo così molte ottave delle Solennità del Santissimo Sacramento, per molti tempi non mangiava, se no[n] ogni due giorni, e più ancora, ne è meraviglia, perché era tanto satia [sic] delle carezze, che le faсеvа il Signore, come vedremo, che nie[n]te curava del mantenimento del corpo. Ella adunque chiamata dal Signore à più stretta co[n]versatione, & à familiarità più interiore, si diede tutta all’esercitio della meditatione, nella quale fù [sic] meravigliosamente favorita da Dio. Non è mio рe[n]siero riferire tutte le cose, che in questo genere gl’avvennero, perche [sic] non hò [sic] potuto havere [sic] quella piena relatione che havrei [sic] desiderato, essendosi trascurata da chi la reggeva in Spirito, ma solamente alcune delle quali hò [sic] potuto havere [sic] contezza,
Nel principio, ch’il Signore la cominciò à sollevare alla sua contemplatione ella si vide nel suo cuore scolpito il nome [p. 150] Santissimo di Giesù [sic] tutto spirante di splendori molto ammirabili, e luminosi, e sentì all’anima sua un grandissimo affetto à questo benedetto nome, e quando tal’hora [sic] era assalita da qualche tentatione disonesta la quale volle il Signore, che quali tutto il temро della sua vita la travagliasse col solo chiamare, e pensare quello nome sacrosanto, subitamente gli era restituita la pace, e si fuggiva quel brutto movimento, e pensiero che l’affliggeva.
Appena finito il primo sonno di poche ore: sentiva l’anime [sic] del Santissimo Purgatorio, che la svegliavano, e invitavano à fare oratione per loro accioche [sic] havessero [sic] qualche alleviamento, nelle loro pene, & ella con grandissima istanza il faceva compassionando grandemente quelle Sante anime, tormentate, e stando per risvegliarsi più volte ancora si sentiva chiamare con una voce interiore che gli diceva sursum corda.
Assistendo alle messe, delle quali molte ne sentiva nella Madre Chiesa ogni mattina: quando il Sacerdote diceva il Sa[n]ctus vedeva discendere dal Cielo Christo [sic] Signor Nostro con gra[n] moltitudine d’Angeli per assistere al santo sacrificio, sin che si comunicasse il Sacerdote, e Christo [sic] Signor Nostro le insegnò che contemplasse nel sentir la Messa, nella quale ella più volte il vidde [sic] poi in quella forma.
Ella si communicava [sic] per molti anni ogni giorno, ma non lo faceva mai, se non havevа [sic] espresso comandamento da Christo [sic] Nostro Signore, e doppò [sic] che s’era communicata [sic], dimorava per molte hore in estasi e sentiva accendersi tante fiamme d’Amor Divino nel cuore, che il caldo si sраrgevа anche per tutta la persona, e non potendo ella soffrire tanto fuoco era forzata a battere i denti, e le mani sopra le ginocchia, havendo [sic] un tremore per tutto il corpo dando alcune voci lamentevoli per la bocca, sentendo gran arsura nell’animo per l’avvampamento amoroso. Alle volte il Sacrame[n]to se le fermava sù [sic] la lingua per un’hora [sic], ch’ella il potesse in modo alcuno inghiottire, e poi disceso nel Petto, la lasciava ripiena di suavità [sic] incredibile.
La mattina di S. Simone Apostolo stando per communicarsi [sic], quando il Sacerdote descendeva [sic] dall’Altare per com-[p. 151]municarla [sic], vidde [sic] nelle mani di lui l’hostia [sic] consacrata à guisa d’una fiamma di luce con grandissimi splendori. Due volte mentre il suo Confessore stava реr соmmunicarlа [sic], fuggì dalle sue mani il Sacramento per entrarsene in bocca di Lucia, e ciò, come egli dice, lo fece il Signore per assicurarlo che le meraviglie di Lucia erano opere della sua mаnо. Alcune volte negatale dal Confessore la Comunione sentiva in se quell’effetti, che l’operava la Venerabile Eucharistia [sic], qua[n]tunque non l’havesse [sic] ricevuta.
Una volta in questa occasione sconsolandola, le disse il Signore, non ti dar fastidio, che non l’hai ricevuto nel Sacramento, poiche [sic] tutto mi hai teco, & un’altra, elevatasi in estasi, la coronò di due corone di spine. Ma gratia [sic] singolare fù [sic] quella, quando dal Confessore comandatoli, che non si co[m]municasse [sic], Christo [sic] medesimo con un calice in mano da se stesso la comunicò.
E nel principio de favori celesti se ne stette dal giorno di Sant’Antonio con quindeci [sic] seguenti à letto senza poter mangiare cosa alcuna, & in tutti quelli giorni un Аngiоlо ad hore [sic] 14. lе compariva: e portandole il Santissimo Sacramento la communicava [sic]; quando il Sacerdote rivolto a lei con l’Ostia in mano diceva quelle parole. Ecce Agnus Dei, ella sentiva che Christo [sic] parlandole internamente diceva. Ecco la mia Carne, & il mio Sangue.
Le visite di Giesù Christo [sic] della Beatissima sua Маdrе, de gl’Angioli, e de’ Santi furono molto spesse, come delle cose narrate si è potuto vedere, ma quì [sic] ne voglio soggionger’ alcun’altre [sic]. Vidde [sic] più volte la Santissima Trinità, e la Beata Vergine, & una mattina in sua casa facendo oratione le co[n]parve questa Signora, e li disse. Hoggi [sic] son venuta à visitarti; e se ne stette co[n] lei fin ad un’hora [sic] di notte. Christo [sic] Signor Nostro se le fece vedere vestito da Sacerdote con una cappa bianca, accompagnato da molti Santi, e vestì lei della veste nuttiale [sic, nunziale]. Un’anno [sic] l’ultimo di Martedì di Carnovale [sic] contemplando Christo [sic] nel deserto digiunante, vidde [sic], ch’egli entrò nel cuore di lei, e quivi dimorò per tutta la quaresima, che seguì, & all’incontro poi tre volte egli la fece entrare nel suo petto; la fece un giorno riposare sopra del suo petto, e fù [sic] tempo, che volle mettere le sue dita nelle sue piaghe.
[p. 152] Nella sollennità [sic] della Transfiguratione [sic], vidde [sic] il Redentore in forma di fuoco, e cadde in terra fuori di se [sic], ne si risentì sin à due hore [sic] di notte. Quando contemplava i dolori del suo Signore, ella tutti l’esperimentava entro del cuore, face[n]dole Iddio partecipare nell’anima quell’affanni, che egli haveva [sic] sentito nel corpo, e giornalmente cosi vedeva Christo [sic], come nella sua meditatione il contemplava. ll Beato Agostino Novello gl’apparve [sic] intorno al tempo della sua festa, e l’assicurò, che dovea [sic] esser beata nel Paradiso. le [sic] sue estasi erano ammirabili alle volte se ne stava immobile in piedi con le braccia aperte per lo spatio [sic] di tre hore; in tempo d’una terribile tempesta un’altra volta, esse[n]dole tolta una coppa di fuoco, ch’haveva innanzi, essendo grandissimi freddi, ella restò co[n] le mani distese, come se quivi fosse restato qualchuno [sic]. E spesse volte operava cose straordinarie mena[n]do veloceme[n]te le mani essendo ella tutta via fuori di se [sic], & in co[n]te[m]platione altissima co’l suo Signore, come si racco[n]ta ancora della Beata Suor Maria Maddalena de’ Pazzi: ordinariamente era rapita inginocchioni [sic], ò [sic] à [sic] sedere, ma stupenda cosa fù [sic] quella, che gl’intervenne una volta, poiche [sic] dimorò in letto quara[n]ta giorni rapita da сеleste contemplatione non tornando in se [sic], se non che cert’ora nella quale gustava un poco di brodo, si che [sic] divenne così pallida in viso, e così dimagrata [sic] nel volto, che rassembrava [sic] un corpo morto, ma finiti li 40. giorni si levò sana, e gagliarda come se fosse stata à [sic] ben governarsi con cibi con gran stuроrе d’ogn’uno, fù [sic] veduta, stando in estasi fare una lunga disciplina. Da quella communicatione [sic] così continua, e stretta co’l suо Signore, li derivavano nel suo Cuore quell’affetti, che sogliono produrre simili gratie [sic] nei Santi. Ella cosi disprezzava se stessa cotanto vile si reputava, che non ricopriva l’afflitto suo corpo se non con vesti molto logore, e vecchie. Diceva con grand’affetto del cuore che, come persona molto infame meritava che fosse frustrata vergognosame[n]te per la Città che ella per li suoi peccati il desiderava. Dalle sue lunghe contemplationi [sic] veniva così infiammata nel desiderio di patire per amor di Christo [sic], che più volte mostrò brama di soffrire i tormenti de medesimi dannati per amor suo, e se bene non sì poteva troppo battere, ò [sic] con [p. 153] molt’asprezze tormentare godeva però nell’infermità che pativa, che erano molte, molto gravi‚ gustando di cosi co[n]formarsi al сrосefisso.
Haveva [sic] gran compassione à poverelli, & un giorno vedendo in Chiesa una poverella scalza, la chiamò secretamente [sic] in una cappella, e levatesi le sue sсаrpe, e le calzette, gliele diede: Ma tostamente [sic] ne fù [sic] ricompensata dal suo Signore‚ poiche [sic] ritornata in Casa, mentre faceva oratione [sic], gli comparve Giesù Christo [sic] gli роsе nella mano destra un ricchissimo anello, ornato di tre pietre bianche di prezzo inestimabile, avvenga che ella sola il vedesse.
La divotione [sic] della gente era molto straordinaria: alle virtù di quella serva di Dio ne [sic] solo il popolo la riveriva, ma gra[n]dissimi personaggi si riputavan’à [sic] gran favore riconoscerla, e ragionarle fra li [sic] quali l’Eccell[entissimo]: Signor Don Antonio Moncada Duca di Mont’alto, volle che gli tenesse al fonte il figlio Luigi che è stato poi Presidente della Sicilia, e Viceré di Sardegna, e di Valenza, & ultimamente: Cardinale di S. Chiesa, e co[n] raggíone si movevano [sic], imperòche [sic] il Signor Dio molte gratie [sic] concedeva per le sue orationi [sic] à [sic] chi se gli raccomandava. Molte cose dicono ma non si possono, ne [sic] si devono prima, che siano autenticamente avverate, publicarle [sic]. Suo Padre rihebbe [sic] la parola essendo ammutolito moribondo per potersi confessare. Un suo cognato fù [sic] risanato da una fistola incurabile. Un’altra Signora da un’altra apostema che l’affliggeva in parte, dove non si ammetteva medicamento per l’onestà.
Finalmente l’Eminentissimo Signor Cardinale Doria Arcivescovo di Palermo mosso dalla fama di Lucia, e dalle sue continue gratie [sic] ch’otteneva [sic] da Dio volle che entrasse nel Monastero di S. Marco, & ivi menasse lo restante di sua vita: come fù [sic] fatto, e Lucia visse in quel Nobile Monastero da vera serva del Signore quale fù [sic] sempre; e mori con odore, e fama di Santità, & il suo corpo fù [sic] riposto separatamente dall’altre monache, con speranza, che Dio Signor Nostro à [sic] suo tempo l‘habbia [sic] da glorificare in Terra, si come l’hà [sic] per adesso glorificata in Cielo.