Lo studio della toponomastica, indubbiamente, costituisce un importante strumento per una maggiore conoscenza scientifica del territorio. I toponimi rappresentano un rilevante bene culturale, come evidenziato da diversi studiosi, tra i quali ci piace citare la linguista fiorentina Fiorenza Granucci (F. Granucci, Prontuario bibliografico di toponomastica italiana, XXIII, Prefazione di C. A. Mastrelli, Dipartimento di Linguistica – Università di Firenze, Firenze 1988, 438 pp.), nonché il geografo Vincenzo Aversano (cfr. V. Aversano, I toponimi nella ricerca-didattica: da fonti documentali a spie d’identità territoriale, con valore di beni culturali, in Idem, La Geografia. interpreta il territorio. Cifra scientifico-applicativa e strategie didattiche, Ed. Universitaria Salernitana, Salerno 2006, pp. 157-178) che andrebbero opportunamente tramandati alle future generazioni. Inoltre, come sottolineato dal compianto geografo veronese Eugenio Turri (1927 – 2005), il paesaggio costituisce un «teatro» e un «palinsesto di memorie», nel quale si vanno dipanando le vicissitudini umane, mentre la trama orale è rappresentata dai toponimi stratificatisi e perpetuatisi nel corsi del tempo (cfr. E. Turri, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Marsilio, Venezia 2001, 6° ed., 240 pp.).
Gli errori toponomastici, nell’era digitale sembra che invece di diminuire aumentino. Ad esempio, nell’edizione del 2014 (ATA 2013) della Carta Tecnica Regionale (C. T. R.) della Regione Siciliana a scala 1:10000, sezione 609010 “Termini Imerese”, il torrente Barratina (Barattina) è indicato come Vallone Bordino [sic]. Non solo, in documenti (pareri ambientali) dell’Autorità di Bacino del Distretto Idrografico della Sicilia – Regione Siciliana, leggiamo «Vallone Bordino, identificato catastalmente “Torrente Barratino”».
Costoro ignorano che il nostro idronimo Barratina/Barattina, documentato sin dal XV secolo, deriva dall’arabo Al Baḥr aṭ ṭīna, composto da Baḥr, letteralmente ‘mare’, ma anche ‘fiume grande o ampio’ e ṭīna ‘argilla’, per cui significa ‘il mare dell’argilla’ (riferito alla foce), o piuttosto ‘il fiume dell’argilla’ [cfr. A. Contino, Aqua Himerae. Idrografia antica ed attuale dell’area urbana e del territorio di Termini Imerese (Sicilia centro-settentrionale), Giambra, Terme Vigliatore, Messina 2013, p. 197].
Il territorio comunale di Termini Imerese, è un vero e proprio scrigno di emergenze naturalistiche e, nello specifico, geologiche e gearcheologiche (si vedano, a tal riguardo, i nostri contributi: P. Bova, A. Contino, I “Pilèri”: sculture naturali rupestri nel territorio di Termini Imerese, 30 Gennaio 2023; Idem, Caràcoli: le pittoresche gole del Monte S. Calogero di Termini Imerese, 28 Ottobre 2024, on-line su questa testata giornalistica).
Il sito geologico e geoarcheologico di cui trattiamo in questo contributo è raggiungibile partendo da Termini Imerese verso Caccamo e, dopo aver superato i primi tre tornanti della provinciale 285, poco prima della località Acqua di Scillato o Casa Scillato, si imbocca a destra una strada interpoderale che dapprima discende lungo il versante destro della pittoresca valle del Fiume S. Leonardo. La strada, successivamente, risale sin quasi a ridosso delle ripide pendici NE del Cozzo Fanio, laddove la sezione fluviale si va restringendo sino alla forra sbarrata dalla diga Rosamarina. Nella cartografia ufficiale dell’Istituto Geografico Militare e nella più recente C. T. R. della Regione Siciliana, il toponimo è erroneamente indicato come Cozzo Famo.
Il toponimo Fanio o Faino, è attestato sin dal 1501, allorchè nella descrizione dei confini del territorio di Termini (cfr. A. M. Musso, Codice de’ Privilegi e Consuetudini della Splendidissima e Fedele Città di Termini, ms. 1760, Biblioteca Comunale Liciniana di Termini Imerese, ai segni AR e α 2), è ricordata la «Portellam di Faino» nonchè «Rupis seu Montis qui dicitur la Vaccara», di cui rimane traccia nelle odierne contrade Vaccara e Fanio, dove si apriva la «grutta di San Franciscu» della quale sinora non abbiamo rintracciato ulteriori riscontri archivistici, utili alla sua identificazione.
Fanio deriva dal greco bizantino phάnos, φάνoς (a sua volta dal greco classico phanòs, φανός) ‘lanterna’, o ‘torcia’. Si trattava di cataste di legname che, all’occorrenza venivano accese, al fine di effettuare segnalazioni luminose notturne. Queste postazioni di segnalazione luminosa, potevano essere provvisti di una piccola torretta protettiva (cfr. S. Nucifora, Punti di vista, in F. Fatta, a cura di, Luci del Mediterraneo. I fari di Calabria e Sicilia, Disegni, rilievi e carte storiche, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002, p. 35).
Questi lemmi, a loro volta, appaiono legati al verbo greco phaino (φαίνω) ‘riluco’ (radice indoeuropea bha- ‘luce’, cfr. greco phós ‘luce’). Del resto, come ebbe a scrivere lo storico ed arabista siciliano Michele Amari (Palermo, 7 luglio 1806 – Firenze, 16 luglio 1889), i fuochi di segnalazione, utilizzati in Sicilia fino alla fine del Settecento per avvisare della minaccia dei corsari barbareschi avvistati, erano chiamati fàni. Il lemma siciliano fànu è del tutto paragonabile a quello greco phάnos delle fonti bizantine. Inoltre l’Amari fa derivare il nome del Monte Catalfano, presso Solùnto, da «Calatalfano […] dall’arabico qal’at (rocca) e da phάnos; il che prova che vi fosse stata una torre da segnali al tempo della dominazione musulmana, o anche prima» (cfr. M. Amari, Storia dei musulmani di Sicilia, a cura di C. A. Nallino, Prampolini, Catania 1935, II, p. 66 nota n. 3).
Tornando al sito investigato esso, dominato dall’incombente mole di Cozzo Fanio, esibisce una pittoresca balza calcarea, coronata da una guglia sommitale. In tale balza, si aprono diverse nicchie, cavità e ripari sottoroccia. Laddove è visibile la base di questa balza calcarea, si osserva una superficie di discordanza (contatto erosivo sottomarino) tra le sottostanti argilliti silicee rosso mattone e le sovrastanti brecce calcaree grigiastre del Giurassico superiore (nella letteratura geologica noti come “Brecce ad Ellipsactinia e coralli”), entrambe appartenenti alla formazione Crisanti del dominio bacinale Imerese. Questi depositi carbonatici, sono il prodotto di imponenti movimenti di massa e di flussi detritici gravitativi sottomarini, che alimentavano l’antico bacino, provenienti da un ambiente di mare basso (piattaforma carbonatica Panormide) e che si addizionavano alla sedimentazione argillitico-silicea.
Questi antichi depositi marini appaiono oggi incorporati in un segmento della catena siciliana, denominato Monti di Termini Imerese, originatosi durante le fasi compressive mioceniche.
Le prime fasi di emersione di tale segmento si ebbero durante la cosiddetta crisi di salinità del Mediterraneo nel Messiniano e, successivamente, a partire dal Pliocene superiore (cfr. A. Contino, S. Monteleone, M. Sabatino, Water resource assessment in karst and fractured aquifers of Termini Imerese-Trabia Mts. (Northern central Sicily, Italy), in G. Lollino, M. Arrattano, M. Rinaldi, O. Giustolisi, J.-C. Marechal, E. Grant, a cura di, Engineering Geology for Society and Territory, Springer 2015, pp. 573-577).
Dal punto di vista geomorfologico, gli effetti combinati dell’erosione selettiva (morfoselezione), del carsismo (soprattutto lungo zone di discontinuità strutturale), e delle acque percolanti, hanno determinato la formazione e progressivo ampliamento di una serie di peculiari forme del rilievo. Le forme carsiche comprendono sia quelle prevalentemente di superficie, sia cavità naturali, a ridottissimo sviluppo e quasi tutte indipendenti tra di loro. Esse appaiono non solo allineate secondo l’andamento delle fratture tettoniche, ma in alcuni casi risultano collocate proprio in corrispondenza delle intersezioni di fratture, pertinenenti a differenti insiemi. Le zone di discontinuità strutturali, a varia spaziatura, appaiono frequentemente allargate da fenomeni di dissoluzione carsica con aperture comprese tra alcuni millimetri ed alcuni metri.
I grandi corpi di brecce calcaree, più resistenti all’erosione selettiva, hanno dato origine a pareti molto inclinate, sino a verticali ed a strapiombo, orlate alla base da «cenge» meno acclivi. La progressiva verticalizzazione delle pareti calcaree e lo scalzamento alla base delle sottostanti rocce sottilmente stratificate, più erodibili, quali argilliti silicee e radiolariti, accentua l’instabilità del versante, innescando fenomeni di crollo, ribaltamento e collassi di roccia, dando vita ad ampi accumuli di detriti che a tratti mascherano il deposito antropico.
Nel 1985, il compianto Agostino Navarra (1922-2010), allora ispettore onorario alle antichità, scoprì in questo luogo un importante sito preistorico, assimilabile alla tipologia dei ripari sottoroccia. Scavatori clandestini avevano operato un taglio artificiale, determinando l’esposizione di una sezione nel deposito di origine antropica (spessore massimo attorno ad un metro e mezzo), contenente abbondanti frammenti spigolosi di rocce silicee, nonché resti di un’industria litica a selce policroma ed a quarzosiltite (arenaria quarzosa a grana finissima) brunastra (erroneamente chiamata dai paletnologi con il termine improprio e petrograficamente scorretto di quarzite), caratterizzata da punte a dorso abbattuto, utensili che in termini di cultura materiale, possono essere preliminarmente inquadrati nel contesto del Paleolitico finale siciliano. Della scoperta diede notizia il compianto speleologo e studioso di preistoria siciliana, Giovanni Mannino (1929-2021), il quale, inoltre, vi rinvenne delle caratteristiche incisioni lineari (cfr. G. Mannino, La preistoria di Termini: il riparo di Borgo Scuro, “Espero”, anno II, n. 15, 1990, p. 16; Idem, Termini Imerese nella Preistoria, Quaderni di Sicilia Antica, GASM, Termini Imerese 2002; Idem, Guida alla Preistoria del Palermitano, Istituto di Studi Siciliani Politici ed Economici, Palermo 2008). Tali incisioni lineari, nel Termitano sono state rintracciate dal medesimo studioso, anche in Contrada Franco (alle falde orientali del Monte S. Calogero), in contesti geomorfologici similari (cfr. G. Mannino, Notiziario, in Rivista di Scienze preistoriche, XXXIII, 1978, 2), essendo presenti in vari contesti mediterranei (Italia peninsulare, Francia, Nord-Africa).
Il sito termitano, del quale ricorre il cinquantennio dalla scoperta, sinora non è stato oggetto di indagini scientifiche degne di questo nome. Esso è entrato a far parte della letteratura preistorica siciliana con la denominazione di Borgo Scuro (indicata al Mannino dal Navarra), derivante dal presunto nome della contrada e così si è perpetuato sino ad oggi (cfr. ad es. R. M. Cucco, Topografia storica del comprensorio tra il fiume Imera settentrionale e il fiume Torto, in «Notiziario Archeologico della Soprintendenza di Palermo», 21/2017, Sezione Archeologica della Soprintendenza per i Beni culturali e ambientali di Palermo, 11 pp., in particolare, p. 3; V. Forgia, Archaeology of Uplands on a Mediterranean Island: The Madonie Mountain Range in Sicily, Unipa Springer Series, Università degli Studi di Palermo, Springer, 2019, 136 pp., in particolare, p. 96).
Sinora, nessuno però, sembra si sia posto il problema dell’origine del toponimo e, in particolare, dove sarebbe stato collocato il fantomatico «Borgo» e per quale motivo si sarebbe chiamato «Scuro».
In realtà, come vedremo, il «Borgo» non c’è mai stato e l’origine del toponimo è alquanto ben diversa.
Per rintracciare le attestazioni del toponimo, abbiamo effettuato un capillare controllo delle fonti edite, comprensive di quelle cartografiche, focalizzando soprattutto sui contributi offerti dagli autori locali che ben conoscevano la toponomastica termitana, tra Ottocento e primo Novecento. Fondamentali, a tal riguardo, appaiono le testimonianze degli studiosi termitani Saverio Ciofalo ed Antonio Battaglia.
Il naturalista termitano prof. dott. Saverio Ciofalo Geraci (1848-1925) fu una poliedrica figura di studioso, come assicura la sua variegata produzione scientifica, che spazia dall’ambito delle scienze naturali (geologia stratigrafica, paleontologia, malacologia, entomologia, meteorologia etc.), a quello delle scienze umanistiche, quali paletnologia, archeologia e museologia (cfr. P. Bova, A. Contino, Termini imerese, Saverio Ciofalo primo scopritore in Italia del rettile marino cretaceo nella Rocca del Castello, “Esperonews”, Giovedì, 23 Settembre 2021, on-line in questa testata giornalistica).
Nel 1875, il Ciofalo, pubblicava il resoconto della scoperta, da lui effettuata nel 1873, di un riparo preistorico al quale egli diede il nome di Grotta Giuseppe Natali (da colui che gliene aveva segnalato il sito), ubicata «A quattro chilometri circa da Termini-Imerese nella direzione Nord Ovest e precisamente alle falde del monte Fanio che si eleva 350 metri sul livello del mare». La parete aggettante, da lui investigata nel 1873-74, esibiva la «sua apertura rivolta al Nord-Est. Ha dinnanzi un pianerottolo che con un pendio fortemente inclinato scende al fiume, da dove é facile l’accesso nei tempi estivi, ma in tempo d’inverno bisogna andare dalla parte del monte» (cfr. S. Ciofalo, Notizie su di alcuni avanzi preistorici rinvenuti nei dintorni di Termini-Imerese, in G. Vimercati, a cura di, “Rivista scientifico-industriale delle principali scoperte ed invenzioni fatte nelle scienze e nelle industrie nel 1875”, Anno VII, Gennaio-Dicembre 1875, Aprile 1875, Tipografia Editrice dell’Associazione, Firenze 1875, pp. 76-79). Tale riparo sotto roccia è stato in gran parte distrutto durante i lavori per la realizzazione della diga Rosamarina.
In realtà, già nel 1874, proprio su informazioni fornite dal Ciofalo, il dott. Luigi Pigorini Marenghi (Fontanellato, Parma, 10 gennaio 1842 – Padova, 1º aprile 1925), allora Direttore del R. Museo d’Antichità di Parma, nella sua rubrica di Paleoetnologia che egli teneva in seno alla rivista “Annuario Scientifico ed Industriale”, aveva fatto cenno di detta grotta Giuseppe Natali, relativamente alla quale così ebbe a scrivere: «Tale grotta è situata sulla sponda sinistra del fiume San Leonardo, nel luogo detto Gurgoscuro, alle falde del monte Faccio [sic, Fanio] che si eleva 350 metri sul livello del mare» (cfr. L. Pigorini, IV. – Paleoetnologia, in “Annuario Scientifico ed Industriale”, Anno X, parte I, Treves, Milano 1874, pp. 176-265, in particolare, p. 254).
Ancora nel 1911, il Pigorini, nella sua sintesi relativa alle scoperte preistoriche avvenute in Italia nel precedente cinquantennio, così ebbe a scrivere relativamente a Termini Imerese: «Nella Sicilia, Saverio Ciofalo, seguendo gli indizi notati da Carmelo Palumbo, rintracciò stazioni neolitiche in caverne dei dintorni di Termini Imerese (Palermo), cioè in quelle di Giuseppe Natali a Gurgoscuro sulle falde del Monte Fanio, di Nuovo in contrada Contessa, e della Pernice in contrada Cancemi» (cfr. L. Pigorini, Preistoria, in Cinquanta anni di storia italiana. Pubblicazione fatta sotto gli auspici del Governo per cura della R. Accademia dei Lincei, vol. II, Accademia dei Lincei, Roma 1911, pp. 1-72, in particolare, pp. 25-26).
Riepilogando, grazie alla testimonianza del Ciofalo (in Pogorini), è acclarato che la cosiddetta grotta Giuseppe Natali a Monte Fanio, era ubicata nella contrada detta di Gurgoscuro, in corrispondenza dalla forra del Fiume S. Leonardo.
Relativamente alla figura del cav. prof. dottor Antonio Battaglia (alla nascita Salvadore Antonio), ci preme fornire al lettore alcune informazioni biografiche salienti. Egli nacque a Termini Imerese il 28 Agosto 1832 (cfr. Archivio di Stato di Palermo, d’ora in poi ASP, Stato Civile, Termini Imerese, nascite, 1832, n. 224) dal campiere Salvadore Battaglia e da Marina Battaglia. Il dottore Battaglia si spense nella sua città natia il 25 Dicembre 1926 alle ore 3, di anni Novantaquattro (cfr. ASP, Stato Civile, Termini Imerese, morti, 1926, Salvatore Antonio Battaglia fu Salvatore, n. 348). Sposò Giuseppa Capuano dalla quale ebbe Salvatore Battaglia che seguì le orme paterne (inscrittosi nel 1892 presso la facoltà di Medicina e Chirurgia della Regia Università degli Studi di Palermo, nel 1905 è attestato come medico a Termini Imerese). Il Dr. Salvatore Battaglia, con sovrana determinazione del 6 Dicembre 1934, in qualità di maggiore medico in congedo, ricevette la nomina a Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia (cfr. Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni negli ufficiali e sottufficiali del R. Esercito e nel personale dell’amministrazione militare, Ministero della guerra, Stabilimento poligrafico per l’amministrazione dello Stato, Dispensa 61a, 19 Settembre, Roma 1935, p. 3531).
Antonio Battaglia, «combattente nelle guerre dell’Indipendenza», fu medico-capo e direttore medico degli Stabilimenti Termali in Termini Imerese, deputato del museo civico termitano, socio della Società Geografica Italiana (dal 1870) e della Società Siciliana per la Storia Patria di Palermo (dal 1883), nonchè autore di alcuni saggi di argomento medico balneoterapico, di medicina della salute, nonché di paleontologia e di storia locale (cfr. Necrologio, in “Rivista sanitaria siciliana. Organo degli Ordini sanitari della Sicilia”, F. Sanzo, Palermo, 1913-1938, p. 64). Relativamente agli interessi paleontologici del Battaglia, ci sembra doveroso rammentare le sue indagini nel pittoresco sito di Borgo Regalmici presso Castronovo di Sicilia (Palermo). Gaetano Giorgio Gemmellaro (Catania, 24 febbraio 1832 – Palermo, 16 marzo 1904) ricorda il «Dr. Antonio Battaglia di Termini-Imerese», che nel «calcare compatto brecciforme macchiato in verde della contrada Regalmici presso Castronuovo» scoprì un esemplare di Perisphinctes Regalmicensis Gemm. Il Gemmellaro, ci riferisce che «in una escursione che ho fatto in quella località ho trovato l’esemplare qui disegnato, che conservasi nel Museo di Geologia e Mineralogia della R. Università di Palermo» (cfr. G. G. Gemmellaro, Memoria sui fossili della zona con Peltoceras Transversarium Quenst. sp. della Provincia di Palermo e di Trapani, Atti dell’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo, n. s. IV, Amenta, Palermo 1874, estratto, 11 pp., in particolare, p. 8). Il genere estinto di cefalopodi ammoniti fossili, Perisphinctes, dalla caratteristica conchiglia spiralata e scanalata, con costolature prominenti, risale al Giurassico supeiore (Oxfordiano medio) della Sicilia occidentale.
Tra le opere edite dal Battaglia ricordiamo: Sui bagni termo-minerali in Termini-Imerese, Tip. fratelli Amore, Termini Imerese 1887; assieme a Saverio Ciofalo, Sull’Hippopotamus Pentlandi delle contrade d’Imera, Tip. fratelli Amore, Termini Imerese 1888, 28 pp.; Di alcuni monumenti pubblici e privati nell’epoca pre-augustea in Thermae Himeraeae, Conferenza tenuta nel Circolo Margherita il 27 agosto 1905, Stab. Tip. Longhitano & Giuffrè, Termini Imerese 1906.
Una menzione particolareggiata merita il saggio del Dr. Antonio Battaglia intitolato Igiene degli agricoltori che frequentano i luoghi paludosi. Lettura fatta nella tornata del 13 Giugno dal socio Prof. Dr. Antonio Battaglia, Comizio agrario di Termini Imerese, Tipografia P. Amore, Termini Imerese 1880, 52 pp. La conferenza sull’importante argomento, tenutasi il 13 giugno 1880 presso il Circolo Margherita di Termini Imerese, fu fortemente voluta dal locale Comizio agrario (ricostituito il 18 maggio 1879), che ne finanziò anche la pubblicazione. Tale dissertazione, faceva parte di una terna di conferenze. La prima, sulla filossera, fu tenuta dal duca Federico Lancia di Brolo (n. 1824); la seconda, sull’immegliamento agricolo dall’avvocato Giuseppe Salemi Pace (poi divenuto presidente del detto consorzio); la terza fu quella del Battaglia.
In tale saggio, il medico termitano fece una distinta rassegna delle zone umide di Termini Imerese, soggette al pericolo della malaria. I principali focolai erano presenti nel bacino del S. Leonardo, da monte a valle del territorio attraversato, nelle contrade denominate Gorgoscuro; sotto la collina detta Marsala; sotto la collina detta Panzica, non lontano dalla foce del detto corso d’acqua. Altre aree ricadevano, invece, nel bacino del torrente Barratina (zona di foce), ed in quello del fiume Torto, che dalla zona di foce si estendeva nelle limitrofe contrade Brucato e Buonfornello.
Riepilogando, anche il Dr. Antonio Battaglia attesta l’esistenza nel territorio di Termini e nel bacino del S. Leonardo dell’idronimo Gorgoscuro, le cui acque erano ritenute malariche.
Dal punto di vista cartografico, possediamo un’ulteriore attestazione dell’esistenza del toponimo Gorgoscuro. Durante il dominio borbonico, l’Officio Topografico di Napoli aveva il compito istituzionale di realizzare le cartografie ufficiali del Regno delle Due Sicilie (per ulteriori approfondimenti, cfr. F. Visconti, Notizia intorno al Reale Officio Topografico di Napoli ed ai lavori in esso eseguiti, “Annuario Geografico Italiano pubblicato da Annibale Ranuzzi”, I, Rusconi, Bologna 1844, pp. 19-27). Nello specifico, la Carta Topografica della Regione di Palermo levata dal Reale Officio Topografico di Napoli, Foglio 15, Trabia – Caccamo (1849-1852), sulla sponda destra del Fiume S. Leonardo, il rilievo attualmente designato come Cozzo Famo (sic), è denominato con l’oronimo Cozzo Faino. Alle pendici sud-occidentali di esso, sempre in destra del S. Leonardo, è indicato il toponimo Gorgoscuro, a monte del sito del trecentesco ponte Brancato (oggi sommerso).
Concludendo, la nostra ricerca ha definitivamente dimostrato che il toponimo Borgoscuro non esiste, trattandosi di un errore, mentre appaiono ben documentate le forme corrette di Gurgoscuro/Gorgoscuro, che designavano una zona umida del S. Leonardo, così denominata per la presenza di un modesto specchio d’acqua, caratterizzato da tonalità cromatica particolarmente scura. Il siciliano Gurguscuru fu malamente storpiato in Burguscuru. Il sicil. gurgu ‘gorgo’, ‘vortice’, ‘modesto avvallamento del terreno nel quale ristagna l’acqua per qualche tempo’, deriva dal lat. gurges, -itis ‘gorgo’ (cfr. G. Piccitto, G. Tropea, S. C. Trovato, a cura di, Vocabolario Siciliano, 5 voll., Catania-Palermo, Centro di Studi filologici e linguistici siciliani, 1977-2002, II, ad vocem). Varianti del detto lemma sono ‘urgu, per aferesi della lettera g iniziale e, in alcune aree delle Madonie, vurgu.
Tra le zone umide, che si caratterizzano per la presenza di suoli naturali idromorfì (cfr. M. Sortino, F.M. Raimondo, C. Marcenò, G. Dia, C. Genchi, Phytoécologie de certains milieux humides des Monts Madonie (Sicile centre-septentrionale), Rév. biol. Ecol. Médit., 4 (1), 1977. pp. 19-34), si distinguono i gorghi (sicil. gurghi o ‘urghi, plurale di gurgu o ‘urgu). Si tratta di uno “specchio d’acqua di qualche centinaio di metri quadrati e di profondità variabile da pochi decimetri fino a qualche metro, secondo le stagioni, situato in piccole depressioni che consentono il ristagno” (cfr. C. Petronici, P. Mazzola, F. M. Raimondo, Nota introduttiva allo studio degli ambienti idromorfi delle Madonie, “Il Naturalista Siciliano”, serie IV, II, 1-2, 1978, pp.11-24). Questi ambienti con vegetazione tipicamente acquatica, possono subire l’accumulo di resti vegetali, evolvendo a torbiere.
Concludendo, questa nostra ricerca, per la prima volta ha chiarito che il presunto toponimo Borgoscuro è inesistente, mentre le fonti ottocentesche e del primo Novecento tramandano l’idronimo Gurgoscuro/Gorgoscuro. Inoltre, ci preme evidenziare che questo importante sito dovrebbe essere sottoposto a tutela, mentre versa nella più totale incuria. Eppure, esso è ubicato nelle immediate vicinanze dell’area di pertinenza del Sito di Importanza Comunitaria e Zona Speciale di Conservazione “Natura 2000” (ITA020043) che ufficialmente è denominato “Monte Rosamarina – Cozzo Famò” [sic]. In tal modo, il toponimo Faino/Fanio, già storpiato in Famo nella cartografia ufficiale, ha avuto appioppato un accento finale, divenendo Famò. Purtroppo, l’errore ha travalicato il contesto italiano, avendo ormai raggiunto una dimensione europea (cfr. European Environment Agency, https://eunis.eea.europa.eu/sites/ITA020043).
Il nostro territorio, ha subito e continua a subire non solo uno scempio paesaggistico, legato ad una mentalità aggressiva meramente affaristico-speculativa, ma anche un silenzioso e subdolo scempio “linguistico”.
Patrizia Bova e Antonio Contino
Ringraziamenti: vogliamo palesare la nostra più sincera gratitudine, per l’essenziale supporto logistico nelle nostre ricerche e per la consueta disponibilità, rispettivamente, ai direttori ed al personale dell’Archivio di Stato di Palermo e della Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese.