L’interesse per lo studio sulla storia dei Bronzi di Riace mi venne inizialmente dalla lettura di un articolo del grande archeologo americano, ormai scomparso, Robert Ross Holloway.
L’ipotesi che i Bronzi di Riace avessero avuto un’origine siciliana, infatti, non è del tutto nuova.
I primi a sostenerlo furono proprio lo stesso Holloway e Anne Marguerite McCann.
Il primo aveva saputo da fonte certa, come mi ha confermato di recente la figlia Anne che vive a Princeton, che i Bronzi erano stati trovati lungo la costa ionica della Sicilia e poi trasportati in Calabria da una organizzazione criminale. La McCann inoltre propose di individuare nei Bronzi i fratelli Dinomenidi, Gelone e Ierone, signori di Siracusa. Secondo Holloway le concrezioni di vasellame presente sulla superficie dei Bronzi (e assente nei fondali marini in cui vennero rinvenuti) era la prova che le statue furono inizialmente ritrovate altrove e solo dopo depositate a Riace per completare le operazioni clandestine di espatrio. L’originario affondamento dei Bronzi viene comunemente collegato ai trafugamenti di opere d’arte operato dai Romani dalle città greche che conquistarono. E siccome il vasellame rinvenuto sui Bronzi risalirebbe alla media età ellenistica, Holloway giunse alla conclusione che i Bronzi furono prelevati dall’unica metropoli greca conquistata dai Romani nel III secolo a.C., ovvero Siracusa, visto che tutte le altre grandi città della Grecia vennero conquistate dai Romani solo dopo. L’ipotesi della McCann, però, non ebbe seguito perché la nudità dei Bronzi di Riace si addice alle divinità, mentre Gelone era un personaggio storico reale.
Fu così che cominciai un’accurata ricerca di tutte le fonti storiche, finchè mi imbattei in una preziosa testimonianza condivisa da Diodoro Siculo, Polieno e Claudio Eliano, che sembrerebbe spiegare i motivi della nudità e ne individuerebbe l’identità nel gruppo scultoreo del “Re Gelone nudo”, un celebre monumento che ritraeva il signore di Siracusa giusto senza vesti e nell’atto di deporre le armi e di rimettere il proprio mandato e la propria vita nelle mani del popolo, dopo la sua vittoria di Imera contro i Cartaginesi. I Siracusani apprezzarono talmente quel gesto di intelligente umiltà che, dopo la sua morte gli tributarono il culto eroico e gli dedicarono, appunto, quel celebre gruppo scultoreo di cui parla proprio Claudio Eliano. Secondo Dione Crisostomo, inoltre, questa celebre statua di Gelone nudo era circondata da altre due statue.
A tal proposito, i dettagli anatomici del Bronzo B (quello che raffigurerebbe proprio Gelone), sono quelli di un guerriero che appare colto nell’atto di deporre lancia e scudo, e sono sorprendente simili alla descrizione che ne hanno fatto gli storici. Basta osservare ad esempio il modo in cui la statua tiene la lancia, sul palmo della mano rivolto in alto nel chiaro gesto di chi la sta deponendo. Ed è altrettanto forte la somiglianza tra la testa del Bronzo B (in origine dotata di elmo corinzio e corintie kyne) e quella raffigurata in una moneta siracusana del IV secolo a.C., dotata anch’essa di elmo corinzio e corintie kyne, elementi tipici dei condottieri siracusani e delle relative monete. E persino la presenza di un gancio sulla spalla del Bronzo B appare essere coerente con la descrizione degli storici, visto che doveva servire a sostenere con una catenina lo scudo inclinato nell’atto della deposizione.
La nostra ipotesi, pertanto, individua nei Bronzi di Riace due delle tre statue di cui era fatto il gruppo scultoreo del “Re Gelone nudo che depone le armi davanti al popolo”. Quest’opera, realizzata tra il 470 e il 466 a.C., doveva rappresentare il donario degli ecisti presso il santuario di Hera, un gruppo scultoreo dove la statua di Gelone, considerato il rifondatore di Siracusa (il Bronzo B), doveva essere affiancata ai lati dalla statua di Archia, il primo ecista della città (il Bronzo A) e da quella di Ierone, ecista della colonia siracusana di Aitna. Quest’ultima statua rappresenterebbe l’ipotetico terzo Bronzo, sulla cui esistenza esistono numerose prove raccolte dal giornalista Giuseppe Braghò, ma che meriterebbe un capitolo a parte e dunque, in questa sede non ne parlo. La statua di Gelone, infine, dovette essere commissionata dal fratello Ierone al suo scultore prediletto Pitagora, che per lui aveva già realizzato il celebre Filottete, mentre quelle di Ierone e Archia sarebbero state commissionate probabilmente dal figlio dello stesso Ierone, ovvero Deinomenes, che per il padre aveva già commissionato a Calamide e Onatas la quadriga di Olimpia.
Per testare la validità dell’ipotesi realizzai allora un apposito algoritmo basato su una checklist di trenta requisiti di attendibilità derivanti da tutte le attuali conoscenze scientifiche dell’archeometria. L’ipotesi si è rivelata sorprendentemente compatibile con tutte le attuali evidenze archeometriche, eccetto forse che per una. Le terre interne ai Bronzi di Riace sarebbero state ricondotte ad Argo, dove c’era una delle due grandi scuole di scultori del tempo, insieme ad Egina. Ma questa eccezione è solo apparente.
La svolta delle indagini, infatti, è venuta a seguito della constatazione che le terre interne ai Bronzi di Riace si sono mostrate del tutto differenti da quelle dei perni di terracotta utilizzati per realizzare le saldature. Sappiamo infatti che i Bronzi furono realizzati a pezzi anatomici separati e poi saldati. Ebbene, mentre le terre interne sono indicative del luogo di “produzione” dei singoli pezzi anatomici, quelle delle saldature sono indicative del luogo di “collocazione” delle statue. Se infatti i Bronzi fossero stati collocati nello stesso luogo in cui furono fabbricati, le terre interne e quelle delle saldature avrebbero dovuto essere identiche. La grande differenza che invece esiste tra loro, si può spiegare solo col fatto che i Bronzi furono fabbricati in un posto e collocati in un altro. Tutto ciò non deve sorprendere, perché allora questo rappresentava la prassi. Da un recente studio francese, ad esempio, sappiamo che il celebre Auriga di Delfi venne prodotto a Sibari in Calabria, collocato a Delfi in Grecia e commissionato dalla Sicilia, guardacaso proprio dai Dinomenidi.
Ebbene, studiando le relazioni dell’I.C.R. sulla composizione delle terre delle saldature mi accorsi che queste erano sorprendentemente simili alle terre dell’area paleopalustre attorno alla foce dei fiumi Anapo e Ciane a Siracusa. Fu così che chiesi al professor Cirrincione di condurre uno studio su quell’area. Studio che, come è noto, ha confermato poi la straordinaria corrispondenza tra le terre siracusane e quelle delle saldature dei Bronzi di Riace. Ciò significa che, dovunque fossero state fabbricate, quelle statue furono poi saldate e conseguentemente collocate a Siracusa.
Poi, all’indomani della conferenza stampa con cui comunicammo i dati lo scorso 25 luglio, si sono fatti vivi diversi testimoni che avrebbero raccontato come quelle statue fossero state in realtà ritrovate a Brucoli nel 1971 e poi nascoste in Calabria per poterle vendere all’estero tramite una organizzazione criminale. Mi risulta che uno di questi testimoni è andato a fare anche una regolare denuncia al Nucleo Carabinieri TPA di Siracusa, e non sta a me dunque verificare l’attendibilità di queste testimonianze.
Da parte mia posso solo dire che l’ipotesi del ritrovamento a Brucoli appare perfettamente coerente col dato storico e archeologico. Sappiamo infatti che Siracusa venne conquistata dai romani nel 212 a.C., durante l’assedio in cui venne ucciso il famoso Archimede. E racconta Tito Livio che all’indomani di quell’evento il console Marcello fece portare a Roma tutte le più belle statue della città, e fu da allora, racconta sempre Livio, che Roma cominciò ad amare l’arte greca. Ebbene, Brucoli si trova poco più a nord di Siracusa, esattamente lungo il tragitto che avrebbero dovuto fare le navi. E le concrezioni ceramiche che furono trovate adese alla superficie dei bronzi, risalendo al III sec. a.C. confermano la piena compatibilità dell’ipotesi.
Speriamo pertanto, con questo studio, di aver potuto contribuire in maniera significativa a far fare un passo avanti alla ricerca e a dare un volto e una storia a quella che giustamente viene considerata la più celebre e bella coppia di statue dell’antichità. Nel marzo 2025, intanto, gran parte di questo studio è stato pubblicato nel libro dal titolo “Il mistero dei Guerrieri di Riace: L’Ipotesi Siciliana”, per i tipi di Algra editore. a cui si rimanda. Ma sono anche convinto che questa ipotesi necessita di ulteriori approfondimenti scientifici. Approfondimenti che sono ancora in corso e che saranno oggetto di una prossima pubblicazione scientifica.
di Anselmo Madeddu