Dalla Liguria a Termini Imerese: la casata nobiliare dei Priarùggia tra Cinquecento e Seicento

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Genova e Termini Imerese, un legame inscindibile che è documentato almeno dalla fine del XIII secolo. L’entità ed importanza della comunità ligure trapiantata nella cittadina imerese è  ancora da ricostruire nelle sua entità e nelle sue molteplici sfaccettature.

Non mancano retaggi familiari di questi intrecci che avranno sicuramente lasciato segni nel patrimonio genetico degli abitanti di Termini Imerese, aspetto che, a nostro avviso, andrebbe studiato ed analizzato e che potrebbe costituire un valido supporto alle pionieristiche ricerche archivistiche che gli scriventi hanno sinora condotto, soprattutto nell’ultimo quindicennio, in campi d’indagine sinora poco o affatto esplorati. Esperienza di studio e di ricerca che, basata su un approccio fortemente interdisciplinare e multidisciplinare, continua a rivelarsi particolarmente fruttuosa e gratificante e che attraverso la sequela di articoli, da noi pubblicati su questa testata giornalistica on-line, offre ai lettori una panoramica dello stadio di avanzamento delle conoscenze sull’imprescindibile vocazione commerciale e marinara della cittadina imerese e sui suoi complessi e variegati rapporti con  le cinque grandi repubbliche marinare italiane (Amalfi, Genova, Pisa, Ragusa dalmata e Venezia) e con i grandi scali marittimi, soprattutto mediterranei. Questa nostra ricerca è un ulteriore contributo alla scoperta delle radici liguri e, nello specifico genovesi, innestatesi e fiorite a Termini Imerese, anche attraverso la storia, qui appena delineata ed ancora da approfondire nel prosieguo delle ricerche, della casata nobiliare dei Priarùggia e della loro tangibile presenza in questo settore della Sicilia nord-occidentale, soprattutto tra Cinquecento e Seicento.

La storia dei Priarùggia, e del loro cognome, si lega con quella dell’attuale quartiere residenziale di Quarto, ubicato a levante dall’antico centro storico di Genova. Quarto, documentato nei documenti sin dal XII secolo, non a caso è sito alla distanza di quattro miglia (ad Quartum sottinteso milium) da Genua (Genova) ed infatti, secondo il filologo Giovanni Alessio (1909-1984) la denominazione dell’abitato è interpretabile come una traccia toponomastica dell’applicazione di tecniche agrimensorie, legate ad un’arteria viaria che potrebbe risalire al dominio romano ma, allo stato attuale delle ricerche, mancano evidenze archeologiche a sostegno (cfr. G. B. Spotorno, Storia Letteraria della Liguria, Ponthenier, Genova 1824, I, IV+326 pp., p. 74; G. Alessio, Riflessi italiani della terminologia gromatica: fatti di lingua lumeggiati da particolari aspetti della tecnica agrimensoria, in G. Straka, éd., Linguistique et philologie romanes. Actes du Xeme Congrès international de linguistique et philologie romanes, du 23 au 28 avril 1962, Université de Strasbourg. Centre de philologie et de littératures romanes, 3 voll., Librairie Klincksieck, Paris 1965, I, pp. 317-330 e, nello specifico, p. 319; si veda anche G. B. Pellegrini, Toponomastica italiana: 10000 nomi di città, paesi, frazioni, regioni, contrade, fiumi, monti spiegati nella loro origine e storia, Hoepli, Milano 1990, 560 pp., pp. 386-387).

Il borgo,  era detto Quarto al Mare (in ligure Quarto a o mâ), poi mutato (Regio Decreto del 5 febbraio 1911, n. 111) in Quarto dei Mille, per ricordare l’inizio dell’impresa garibaldina (5 Maggio 1860), mentre dal 1926, assieme ad altri 18 comuni, perse definitivamente la propria individualità amministrativa essendo aggregato al municipio genovese con la nascita della cosiddetta Grande Genova (sancita dal Regio Decreto Legge 14 gennaio 1926, n. 74).

Prima della nascita della Grande Genova, Priarùggia era una frazione marinara di Quarto, un vero e proprio borgo di pescatori, sito allo sbocco del rio omonimo che scende dalle pendici del monte Fasce (834 m s.l.m., Appennino Ligure).

La linguista Giulia Petracco Sicardi (1922-2015) ha evidenziato che Priarùggia è un toponimo ed idronimo composto, contenente la radice ligure Prea-/Prîa-, corrispondente al latino Petra ‘pietra’ o ‘roccia’. Inoltre, dopo il IV secolo d. C. «il latino petra è stato sostituito […] nel ligure romanzo da altre voci saxum, balteum, scopulum, e si è conservato quasi esclusivamente nella toponomastica e negli strati più antichi di questa», per cui i toponimi di origine latina con Pria, secondo la studiosa, rimontano ad un periodo compreso tra il II ed il IV sec. d. C. (cfr. G. Petracco Sicardi, Ricerche topografiche e linguistiche sulla tavola di Polcevera, in “Studi Genuensi”, d’ora in poi SG, II, 1958-1959, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Sezione di Genova, Genova 1959, pp. 3-49, si vedano le p. 16 e 31; si veda anche G. C. Ageno, Studi sul dialetto genovese, SG, I, 1957, 156 pp., ad indicem).

La famiglia Priarùggia dovette derivare il cognome dall’omonimo toponimo. L’antroponimo Priarùggia è documentato sin dal XIV secolo con la grafia latina Petra Rubra cioé “Pietra Rossa” e ciò fa decisamente propendere per una origine geomorfica del toponimo, legata alla presenza di un’emergenza rocciosa dal tipico colore rossastro. Effettivamente, nella cala di Priarùggia è visibile un  pittoresco scoglio (che purtroppo, nel dicembre 2008, è stato danneggiato da una forte mareggiata da libeccio), la cui roccia presenta appunto una caratteristica tonalità cromatica rossastra (cfr.,  ad es., D. G. Martini, L’uomo dagli zigomi rossi. Cristoforo Colombo visto fuori del mito, Sabatelli, 1974, 494 pp.; Idem, Cristoforo Colombo tra ragione e fantasia, ECIG, 1987, 698 pp., p. 27; G. Ferro, Società umane e natura nel tempo, Temi e problemi di geografia storica, Cisalpino-Goliardica, Milano 1987, 173 pp., p. 69). Del resto, anche il torrente che sbocca nella detta cala esibisce la duplice denominazione ufficiale di Priarùggia o Pietra Rossa (cfr. L. Mancini, Elementi di un portolano di pesca della costa ligure, Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, R. Laboratorio Centrale di Idrobiologia Applicata alla Pesca, Memorie Scientifiche, Memoria N. 9 Serie B, Supplemento al Bollettino di pesca, piscicoltura e di idrobiologia, Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1934, 327 pp., 4 tavv., si veda a p. 93; Ministero dei Lavori Pubblici, Decreto 19 Febbraio 1993, Schema di elenco delle acque pubbliche della provincia di Genova sostitutivo e integrativo dei precedenti, in “Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana”, Parte prima, serie generale, n. 71, supplemento ordinario, n. 31, 26 Marzo 1993, pp. 1-134, p. 33 n. 392).

Avanziamo, qui per la prima volta, dal punto di vista linguistico, la seguente interpretazione del toponimo/idronimo/antroponimo Priarùggia nel significato di “Pietra Rossa” (latino Petra Rubra). Concordemente a quanto già affermato da Giulia Petracco Siccardi, la prima parte del nome Priarùggia si ricollega certamente al litonimo ligure prîa ‘pietra’, invece del tutto nuova, almeno per quanto ci risulta, è la nostra chiave di lettura della seconda parte del toponimo, per la quale avanziamo la proposta di derivazione dal ligure rùggia/rògia, variante di ròza ‘(rosso di) robbia’ (sul sostantivo femminile roza e le sue varianti, cfr. S. Aprosio, Vocabolario Ligure Storico – Bibliografico. Sec. X-XX, Società Savonese di Storia Patria, Sabatelli, Savona 2001-3, 4 voll., parte II, volgare e dialetto,  vol. II, M – X, p. 369). Il colorante rossastro, detto anche lacca di robbia o di garanza naturale, si estraeva, sin dall’antichità, dalla Rubia tinctorum Linné (robbia comune o garanza), pianta erbacea perenne della famiglia delle Rubiacee (cfr. G. Mariti, Della robbia, sua coltivazione e suoi usi, Cambiagi, Stamperia Granducale, Firenze MDCCLXXVI, 294 pp.). La tonalità cromatica rossastra della lacca di robbia, quindi, è stata accostata a quella della roccia che contraddistingue la pittoresca scogliera di Priarùggia.

Per comprendere la storia delle rocce sedimentarie carbonatico-terrigene di Priarùggia e dintorni, bisogna tornare indietro nel tempo geologico sino alla fine dell’era mesozoica, nel periodo Cretacico (145-65 milioni di anni fa, cfr. International Chronostratigraphic Chart 2020). Durante la parte alta di questo periodo, l’apertura dell’Atlantico centrale innescò movimenti tettonici anche nel settore sud-europeo con la scomparsa del dominio oceanico Ligure-Piemontese,  bacino secondario ubicato nel settore occidentale dell’antico oceano della Tetide, che allora separava l’Eurasia dall’Africa (cfr. J. F. Dewey, M. L. Helman, E. Turco, D. H. W. Hutton, Kinematics of Western Mediterranean, in M. P. Coward, D. Dietrich, R. G. Park, Eds., Alpine Tectonics, Geological Society of London Special Pubblication 45, 1989, pp. 265-283; V. Bortolotti, G. Principi, B. Treves, Mesozoic evolution of Western Tethys and the Europe/Iberia/Adriatic plate junction, “Memorie della Società Geologica Italiana”, 45, 1991, pp. 393-407). Gli imponenti movimenti tettonici furono in gran parte responsabili della mobilizzazione di grandi volumi di sedimenti prevalentemente carbonatici, immagazzinati al di sopra delle piattaforme continentali che bordavano il detto dominio e le aree circostanti, che furono trasportati in sospensione dalle cosiddette correnti di torbidità (queste ultime costituite da una miscela di acqua e sedimento, notevolmente più densa del mezzo acquoso circostante) e deposti nei settori marini più profondi (cfr. M. Marroni, G. Molli, G. Ottria, L. Pandolfi, Tectono-sedimentary evolution of the External Ligurian Units (Northern Apennines, Italy): insights in the pre-collisional history of a fossil ocean-continent transition zone, “Geodinamica Acta”, 14, 2001, pp. 307-320; A. Argnani, D. Fontana, C. Stefani, G. G. Zuffa, Upper Cretaceous carbonate turbidites of the Northern Apennines: shaking Adria at the onset of Alpine collision, “Journal of Geology”, 112, 2004, pp. 251-259). Le correnti di torbidità sono tipici flussi di trasporto in massa in regime turbolento, innescati da fenomeni gravitativi subacquei (nello specifico sottomarini), intermittenti e catastrofici (frane anche sismoindotte, nonché tempeste, ingenti piene fluviali etc.). Allo sbocco dei canyons sottomarini, nella zona di raccordo tra le scarpate e le aree più profonde e meno acclivi del detto bacino, si aveva la deposizione di conoidi, a causa della diminuzione, progressiva od improvvisa, della velocità e della capacità di carico della corrente di torbida, per il brusco cambiamento della pendenza. Dalla litificazione dei sedimenti depostisi in questi contesti ambientali si originarono rocce, tipicamente gradate, dette torbiditi.

Le rocce di Priarùggia sono infatti composte da sequenze di torbiditi gradate, generalmente carbonatiche, talvolta arenacee, in prevalenza calcareo-marnose,  con strati di spessore anche plurimetrico di livelli lapidei di calcari arenacei, grigio scuri se inalterati, nonché di marne calcaree e calcari marnosi grigio chiari, alternati ad argilliti in livelli centimetrici. Sono frequentemente presenti, inoltre, delle alternanze di arenarie a grana fine, rosso brunastre per alterazione superficiale, in strati prevalentemente centimetrici, che verso l’alto passano ad argilliti scagliettate marnoso-siltose, grigio-scure. Queste rocce sono note nella letteratura geologica con il nome di formazione di Monte Antola (Cretacico superiore). Nella parte sommitale degli orizzonti calcarei si osservano tracce fossili dal caratteristico aspetto meandriforme, vere e proprie piste nutrizionali e di locomozione di antichi organismi che si si nutrivano di sedimento, per cui sono detti limivori (Helminthoidea labyrinthica) e che agivano all’interfaccia sedimento-acqua, ad una batimetria tale da non essere raggiunta dalla luce solare (zona afotica). Da ciò deriva la denominazione di flysch ad Helminthoidi (cfr. G. Elter, P. Elter, P. Sturani, M. Weidmann, Sur la prolongation du domaine ligure de l’Apennin dans le Monferrat et les Alpes et sur l’origine de la Nappe de la Simme s.l. des Préalpes romandes et chaiblaisiennes, “Societé de Physique et d’Histoire Naturelle de Geneve”, 19, 1966, pp. 1002-1012), utilizzata per designare questi depositi  di calcari arenacei, calcari marnosi, arenarie ed argilliti di origine torbiditica (flysch), interpretabili come un antico ambiente marino di piana abissale, in cui si alternavano sia fasi di apporti legati a correnti di torbidità a bassa densità, sia di stasi nelle quali avveniva la normale sedimentazione di mare aperto (orizzonti argillosi) per lentissima decantazione. Sono pure presenti piste fossili dal caratteristico aspetto arborescente, anch’esse legate all’attività di organismi limivori (Chondrites). Lo spessore totale di questa formazione è difficilmente precisabile a causa delle strutture a pieghe, legate alle fasi deformative compressive che le hanno coinvolte durante la messa in posto della catena appenninica durante le fasi orogenetiche mioceniche alpino-himalayane. Lungo la fascia costiera le testate degli strati, che immergono verso mare con pendenze variabili generalmente comprese tra 15° e 75°, sono state messe in evidenza a causa dell’erosione selettiva, creando un paesaggio molto articolato e di una bellezza incantevole, nonostante gli scempi edilizi che caratterizzano l’espansione urbana della seconda metà del XX sec., spesso condotta senza criteri razionali in gran parte dell’Italia, salvo rare eccezioni.

Per correttezza d’informazione è doveroso ricordare che esiste anche un’altra tesi che, invece, pone l’origine della denominazione Priarùggia in relazione con il rio predetto, poiché deriverebbe dall’unione del litonimo Prîa (Pietra) e dell’idronimo Rùgia «corso d’acqua», affine a rùgiu ‘getto’ o ‘sgorgo’ o ‘fiotto’, sottinteso d’acqua (cfr., ad es. A. Padovano, Il giro di Genova in 501 luoghi. La città come non l’avete mai vista, Newton Compton Editori, Roma 2016, n. 481). Questa spiegazione etimologica, al contrario di quella da noi proposta, però non chiarisce affatto l’origine della forma latina Petra Rubra di Priarùggia.

Il più antico personaggio noto della casata dei Pietrarossa (Petra Rubra) o Petrarùgia o Priarùggia, è documentato già nella prima metà del Trecento. Nel 1331, Luchino Pietrarossa (Luchinus de petra rubra) fu uno degli ambasciatori di parte guelfa assieme al giudice Nicolò Fieschi (d[ominus]. Nicolaus de flisco iudex), Antonio Grimaldi (Antonius de grimaldis). Udo Lercari (Udo lercarius), Ambrogio Salvago (Ambrosius salvaygus), Argone Mallone (Argonus malonus), Saraceno Negri (Saracenus de nigro), il giudice Leone Gavi (Leo de gavio iudex), Manfredo Giacomo (Manfredus de Jacop), Oberto Balsamo (Obertus de balsemo), Francesco Maruffo (Franciscus marruffus) Giacomo Riccobono (Jacobus de richobono), presso re Roberto d’Angiò a Napoli (cfr. G. Monleone, a cura di, Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori: Iacopo da Varagine; Anonimi; Giorgio Stella, parte prima, Municipio di Genova, Pagano, Genova 1941, 302 pp., in particolare, p. 54; V. Promis, Continuazione della Cronaca di Jacopo da Varagine, “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, d’ora in poi ASLSP, Società Ligure di Storia Patria, vol. X, fascicolo I, Tipografia del R. I. di sordo-muti, Genova MDCCCLXXIV, pp. 493-512, pp. 508-509), Abate del Comune e del Popolo nella colonia di Galata o Pera di Costantinopoli, nel 1335 (cfr. V. Promis, Statuti della colonia genovese di Pera in “Miscellanea di Storia italiana”, 11, 1-22, Stamperia Reale, Torino 1870, pp, 515- 780, si veda a p. 519).

Secondo la maggior parte degli studiosi di araldica, i Priarùggia si fregiarono della seguente insegna gentilizia: «d’azzurro, alla quercia nutrita (cioé rappresentata priva di radici, dal francese nourri) sulla pianura erbosa, il tutto al naturale, il tronco sostenuto da due leoni d’oro, coronati dello stesso, affrontati» (cfr. G. De Marchis, Raccolta di stemmi di molte città e famiglie italiane, delle nazioni e case regnanti, e di quelli da cui uscirono nei diversi tempi Roma e le sue regioni, ms. Biblioteca nazionale di Roma, fondo Vittorio Emanuele, ms. 316, n. 992 e ms. 317, p. 144 n. 1302; A. Franchi-Verney, Armerista delle famiglie nobili e titolate della monarchia di Savoja raccolto dal conte Alessandro Franchi-Verney della Valletta, Bocca, 1873, 242 pp., vedasi a p. 143; G. B. di Crollalanza, Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane, estinte e fiorenti, II, Giornale araldico, 3 voll. 1888, voce Petrarùgia, o Petraroccia, o Priaròggia di Genova, p. 322; III, appendice ossia seconda serie, aggiunte alla voce *Picheròggia o Pietrarossa di Genova, p. 268; A. M. G. Scorza, Le famiglie nobili genovesi, Fratelli Frilli, Genova 1924, 2a edizione, con prefazione di Gabriella Airaldi, Fratelli Frilli Editori, 2003, ad vocem, n. 595).

Giovanni Andrea Musso nel suo pregevole stemmario manoscritto delle famiglie nobili liguri, che annovera ben 2569 insegne araldiche, riporta anche quelle di due casate Priaròggia, distinte in Pietra Roggia e Pietra Rugia (cfr. G. A. Musso, La università delle insegne ligustiche delineate da Gio. Andrea Musso, Genova, ms. cartaceo del 1680, Biblioteca Civica Berio di Genova, ai segni m.r.C.f.2.22; sull’opera si veda: A. Lercari, La università delle insegne ligustiche di Giovanni Andrea Musso e l’araldica nell’antica repubblica di Genova, in “La Berio”, rivista semestrale di storia locale e di informazioni bibliografiche, anno XLV, luglio-dicembre 2005, Comune di Genova, Genova 2005, pp. 65-96 e, nello specifico, p. 92). Nella detta opera di Musso, i Pietra Rugia esibiscono lo stemma già descritto, mentre i Pietra Roggia mostrano un’insegna araldica parlante, che in campo azzurro mostra una torre sulla roccia, sormontata da tre stelle ad otto raggi d’oro. Il simbolismo araldico, sia della quercia sia della torre, si ricollega all’antica e cospicua nobiltà della casata, mentre le stelle alludono allo splendore della famiglia (cfr. M. A. Ginanni, Arte del blasone dichiarata per alfabeto.. Con le figure necessarie per la intelligenza de’ termini in molte tavole impresse in rame e tre indici, due delle voci in franzese, e latino, uno de’ nomi delle famiglie, comunità e società, di cui vi sono l’arme blasonate. Zerletti, Venezia MDCCLXVI, 392 pp., ad voces).

Tornando alla stirpe ligure dei Pietrarossa o Petrarùgia o Priarùggia, nel XV secolo sono noti diversi esponenti che dimoravano stabilmente a Genova. Ad es., Nicolao de Petrarugia, filio Dominici, habitator Ianue, fu testimone alla stipula di un atto del 24 Maggio XII Indizione 1436 (cfr. R. A. Vigna, Le chiese rurali di S. Luca, S. Vito e di S. Chiara in Albaro e della parrocchiale di S. Giacomo Ap. in Cornigliano Ligure presso Genova, ASLSP, vol. XX, Genova MDCCCLXXXVIII,  pp. 402-661, in particolare, p. 446).

Giorno 11 novembre 1517 si spense Paolo de Petrarùgia (Domini Pauli de Petrarùgia), e fu sepolto nella chiesa dell’abbazia benedettina di San Nicolò del Boschetto (quest’ultima ampliata quindici anni prima su preesistenze medievali), ubicata nell’attuale quartiere genovese di Cornigliano. Paolo, infatti, aveva voluto per sé e per i suoi eredi una tomba terragna, ubicata in vicinanza dell’ingresso, entrando a destra, in cornu epistulae (cfr. https://cdgl.donorionemilano.it/boschetto/index.php/boge-lapidi-chiesa). Da notare che nel 1646, Giovanni Ambrogio de Petrarùgia ottenne il patronato di un altare in Santa Maria di Castello, in uno con il diritto di sepoltura, e vi fece traslare le spoglie mortali del suo avo Paolo.

Nel 1528, Francesco de Petrarugia fu ascritto al patriziato nell’albergo dei Promontorio (cfr. G. Lumaga, Teatro della nobilta dell’Europa, ovvero notizia delle famiglie nobili, che in Europa vivono di presente, e che in lei vissero prima, Paci, Napoli 1725, XXXII+388 pp., in particolare, p. 221; E. Saita e P. D’Arcangelo, a cura di, Archivio Fieschi – Negri di Sanfront-Thellung de Courtelary. Inventairio. Genova, marzo 2020, versione 1.1, Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, Archivio di Stato di Genova, 258 pp., in particolare, p. 133 e pp. 148-150). Ricordiamo che nel detto anno, come hanno sottolineato vari studiosi (Guelfo Guelfi Camajani, Rodolfo Savelli, Cesare Cattaneo Mallone di Novi, Carlo Bitossi, Arturo Pacini e, in tempi più recenti, Andrea Lercari), attraverso una riforma costituzionale nacque a Genova un vero e proprio “patriziato sovrano”, cioé un composito e complesso ceto dirigente che si arrogava il diritto esclusivo di gestione della cosa pubblica, iscritto nel Liber Civilitatis (poi Liber Nobilitatis), costituito da ventotto alberghi capeggiati da una casata gentilizia preminente (cfr. G. Guelfi Camajani, Il Liber Nobilitatis Genuensis e il governo della repubblica di Genova fino all’anno 1797, Società Italiana di Studi Araldici e Genealogici, Firenze 1965; R. Savelli, La repubblica oligarchica. Legislazione, istituzioni e ceti a Genova nel Cinquecento, Milano 1981; C. Cattaneo Mallone di Novi, I “politici” del Medioevo genovese. Il Liber Civilitatis del 1528, Genova 1987; C. Bitossi, Il governo dei magnifici. Patriziato e politica a Genova fra Cinque e Seicento, Genova 1990; A. Pacini, I presupposti politici del “secolo dei genovesi”. La riforma del 1528, ASLSP, XXX, 1990, n.s., pp. 261-262 e 317; A. Lercari, La nobiltà civica a Genova e in Liguria dal Comune consolare alla Repubblica aristocratica, in M. Zorzi, M. Fracanzani, I. Quadrio, a cura di, Atti del convegno “Le aristocrazie cittadine. Evoluzione dei ceti dirigenti urbani nei secoli XV-XVIII”, Venezia, 20 ottobre 2007, La musa Talìa, Venezia 2009, pp. 227-362).

Nel 1629, Nicolò Petrarogia fu ascritto nel Libro della Nobiltà ed attestò la discendenza dal predetto Francesco (che ebbe tre figli maschi Antonio, Ambrogio e Geronimo Priaròggia) e  da Giovanni Priaròggia fu Paolo (1455) e da Paolo Priaròggia junior (1473).

Nel Seicento, un esponente di questa famiglia, il Magnifico Giambattista Priaròggia, si trasferì in Spagna, stabilendosi nell’importante porto atlantico di Cadice, dove già si era creata una vera e propria colonia ligure (cfr. H. Sancho de Sopranis, Los genoveses en la región gaditano-xerìcìense de 1460 a 1800, in “Hispania. Revista española de historia”, Nº 32, 1948, pp. 355-402) con una cappella edificata nel 1487 di patronato della “nazione” (capilla de los Genoveses), sita all’interno dell’antica cattedrale di Santa Cruz (cfr. L. Pérez Del Campo, Las catedrales de Cadiz, Editorial Everest, Leon 1988, 64 pp., in particolare, p. 15).

Il detto Giambattista Priaròggia è effigiato nel ritratto ad olio su tela, eseguito dal pittore Cornelis Schut III (c. 1629 – 1685) attorno al 1669-70, che si conserva a Parigi in collezione privata, ed è stato esposto nel 2007, con il n. 24, nella mostra madrilena “El Tiempo de la Pintura. Maestros Españoles de los Siglos XVI al XIX”, curata da Jorge Coll e Nicolas Cortés, della Coll&Cortés Fine Arts [cfr. E. Valdivieso,  Pintura Barroca Sevillana, Ediciones Guadalquivir, Sevilla 2003, 650 pp., si vedano p. 464 e tav. 442; Cornelis Schut (Antwerp, 1629 – Seville, 1685), Portrait of Juan Bautista Priaroggia, in J. A. de Urbina, E. J. M. Soria, I. Gutiérrez Pastor, Eds., Splendor of the Spanish Baroque, Caylus, Madrid 2017, 176 pp., scheda: pp. 97-101].

Nel 1776, Maria Rosa Priaroggia figlia di fu Gerolamo e di Maria Felice de Franchi de Franceschi, sposò Bartolomeo Fieschi e tutti gli incartamenti della famiglia, che iniziano dalla seconda metà del XV secolo, nonché di quelle affini (De Franchi, Giustiniani, Rivarola, Franzone, Varese, Isola-Pallavicini, Sauli), finirono poi per confluire nel complesso archivistico Fieschi–Negri di Sanfront–Thellung de Courtelary (cfr. E. Saita e P. D’Arcangelo, a cura di, Archivio Fieschi…cit., Parte II – Archivio di parte Priaroggia, pp. 131-163).

Sin dal Cinquecento, la presenza dei Priarùggia in Sicilia è documentata a Termini Imerese ed a Palermo. In quest’ultima città nell’anno 12a Indizione 1583-84, Francesco Priarùggia, assieme a Don Paolo di Bologna ed a Giuseppe Sabbia, fu Governatore della Tavola di Palermo (cfr. V. Auria, Historia cronologica delli signori vicere [sic] di Sicilia, dal tempo che mancò la personale assistenza dé [sic] Serenissimi Rè [sic] di quella, cioè dall’anno 1409 sino al 1697 presente, Coppola, Palermo 1697, p. 271). La Tavola di Palermo o Tavola Pecuniaria, era una importante istituzione bancaria pubblica, istituita dal senato palermitano il giorno 1° febbraio Xa Indizione 1552 con atto stipulato dal pretore (carica corrispondente all’attuale sindaco) Cesare Lanza barone di Trabia, presso il notaio palermitano Giacomo Capobianco, struttura finanziaria che svolgeva attività di cassa governativa e municipale (cfr.  V. Cusumano, Storia dei Banchi di Sicilia, II, I Banchi Pubblici, Loescher, Roma 1892, 302 pp., in particolare, cap. I, pp. 11-49; F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II,  Einaudi, Torino 1976, 2 voll., LI+1457 pp., p. 569; Archivio storico del Banco di Sicilia, fondo tavola pecuniaria di Palermo, 1552-1857, https://www.fondazionesicilia.it/it/patrimonio/archivio-storico_a105).

Nel Settecento teneva seggio a Palermo il notaio e giurisperito Giovanni Ambrogio Priaròggia, autore di un trattato di 438 pagine intitolato: Joannis Ambrosii Priaroggia ex panormitis tabellionibus fasciculus florum ultimarum voluntatum theorice et practice ad usum publicorum notariorum, congestus, Valenza, Panormi 1773. Lo ricorda lo storico e giurista palermitano Diego Orlando (1815-1879): «Giovanni Ambrogio Priaròggia, abbenché di origine Genovese, nacque in Palermo. Si distinse negli studi della Giurisprudenza e della Storia, e fu pubblico notaro in Palermo, ove nel suo ufficio seppe raccogliere una non comune opinione. Era vivente al 1707» (cfr. D. Orlando, Biblioteca di antica giurisprudenza siciliana, Morvillo, Palermo 1851, 204 pp., si veda a p. 86, XCIII).

Un ramo cospicuo della famiglia ligure dei Priarùggia fiorì a Termini Imerese sin dagli inizi del Cinquecento. In questo secolo, i mercanti luguri erano attirati nella cittadina imerese grazie alla presenza del Caricatore, uno dei dodici presenti a quel tempo in Sicilia, dove avveniva lo stoccaggio temporaneo delle vettovaglie (soprattutto cereali), prima di essere sottoposte ai dazi di permesso per l’estrazione (ius exiturae) e, successivamente, imbarcati per l’esportazione (cfr. S. Laudani, Dai «magazzinieri» ai «contrascrittori»: il sistema dei «caricatori» nella Sicilia d’età moderna tra mutamenti e continuità, in “Mélanges de l’école française de Rome”, d’ora in poi MEFR, année 2008,  120-2,  pp. 477-490; A. Blando, I porti del grano siciliano nel XVIII secolo, MEFR,  2008,  120-2,  pp. 521-540).

La casata dei Priarùggia appare ascritta al n. 77 della Mastra de’ Nobili, cioé dell’elenco delle casate nobiliari termitane che potevano concorrere alle cariche pubbliche cittadine, amministrative e giudiziarie, riportata dallo storico termitano Vincenzo Solìto, nella sua opera Termini Himerese Città della Sicilia posta in teatro etc. (tomo II, Bisagni, Messina 1671, pp. 154-157). Inoltre, negli atti ufficiali gli esponenti dei Priarùggia, non è noto quando ascritti tra gli eleggibili nella cittadina imerese, già negli anni 30’ e 40’ del Cinquecento esibivano il titolo distintivo ed onorifico di Magnifico (dal latino magnifĭcus, composto di magnus ‘grande’ e facĕre ‘fare).

In realtà, gli incarichi di potere, relativi alla città ed al suo territorio, distribuiti su base censitaria e residenziale, non solo erano fonte di prestigio sociale, ma costituivano un efficace strumento di controllo politico-giurisdizionale e di monopolio anche nel contesto del mercato locale, nonché nell’esportazione extra regnum. L’affermazione sociale delle casate liguri, nel loro articolato percorso volto a raggiungere l’appartenenza al gruppo elitario, costituito dal patriziato urbano termitano, non di rado conseguita attraverso il succedersi di più generazioni, il suddividersi in più diramazioni, l’intrecciarsi di accorte politiche matrimoniali e patrimoniali, al fine di creare una solida rete familiare e parentale, è sicuramente emblematico del peso amministrativo ed economico predominante, che ebbero questi immigrati nelle vicende della città e del suo territorio tra Cinquecento e Seicento. Su 110 famiglie ascritte al patriziato, 35 provenivano con certezza dall’Italia settentrionale (14 liguri, 19 toscane, 2 lombarde). Queste casate, spesso dedite ad attività commerciali ed imprenditoriali di ampio respiro, erano giunte a Termini Imerese, centro nevralgico per l’approvvigionamento di cereali, avevano iniziato a dimorarvi in maniera sempre più continuativa, fino a fissarvi la residenza, acquistando beni immobili, quali case e fondi agricoli, gestendo imprese finanziarie (ad es. quelle dello zucchero o delle tonnare) ed acquisendo infine la cittadinanza (spesso attraverso opportune politiche matrimoniali) ed i relativi privilegi, fungendo anche da intermediari per i connazionali che, sia pure di passaggio, dimoravano in loco il tempo sufficiente per espletare le loro transazioni economiche. Ulteriori tappe di ascesa economica e sociale di queste famiglie liguri furono l’acquisizione e monopolizzazione della gestione di lucrose gabelle regie e cittadine, nonché la conduzione dei feudi, la sovrintendenza a lavori pubblici, la cura dell’approvvigionamento granario, il controllo di attività creditizie e di intermediazione. Ma l’apice fu raggiunto da queste casate con l’iscrizione al patriziato urbano che permetteva l’accesso alle cariche pubbliche civiche e, in alcuni casi, anche con l’acquisto di feudi e dei relativi titoli nobiliari, per essere immessi nei quadri della nobiltà siciliana e nell’apparato burocratico legato alla monarchia spagnola.

Nei documenti termitani, oltre alla grafia predominante Priarùggia troviamo la variante Petrarùgia/Petraruggia (ma anche la forma errata Periruggia, talvolta addirittura contratta in Perruggia). Allo stato attuale delle ricerche, non è noto quando questa famiglia ligure si insediò a Termini Imerese, ma abbiamo potuto rintracciare alcuni esponenti già nella prima metà del Cinquecento e, in particolare negli anni 30’ e 40’ di tale secolo.

Il primo personaggio di questa casata che abbiamo potuto scoprire a Termini Imerese, attraverso le nostre ricerche, è Michele Priarùggia senior, documentato già negli anni 30’ e 40’ del Cinquecento. Egli è qualificato nei rogiti come ligure (januensis) e dimorante nella cittadina imerese (degens in dicta civitate Thermarum), come ad esempio attesta un atto del 3 Novembre IIa Indizione 1543 (cfr. copia in Atti della Comunia del Clero di Termini, d’ora in poi, ACCT, Mazzo VII, ms. Biblioteca Comunale Liciniana di Termini Imerese, d’ora in poi BLT, ai segni Atti 217). Questo facoltoso mercante, già negli anni trenta del Cinquecento, era proprietario di magazzini ubicati nella parte bassa della cittadina, area a vocazione prettamente commerciale sita in gran parte al di fuori della cinta muraria medievale, non lontano dai grandi depositi del Caricatore. Molti di questi magazzini privati, dalle forme massicce quadrangolari, serratamente allineati parallelamente al litorale, separati appena da anguste stradine, generalmente erano utilizzati per stoccarvi grandi partite di cereali, acquistate nelle annate migliori, lasciando che il fenomeno dell’aumento naturale di peso (crescimonia) del grano avvenisse entro il primo anno, a tutto vantaggio del proprietario che poteva lucrare sia su tale incremento ponderale, sia sull’aumento della richiesta di mercato. Inoltre, nelle annate particolarmente abbondanti, questi magazzini venivano affittati per conservare le eccedenze di grano, provenienti dall’entroterra e trasportate a dorso di mulo, che il Caricatore non era in condizione di immagazzinare nei suoi pur grandi depositi. Insomma, in ogni caso, essere proprietari di tali magazzini assicurava notevoli introiti e ciò poteva destare invidie e gelosie nei confronti dei facoltosi che ne detenevano il possesso, prevalentemente genovesi e toscani, che potevano facilmente sfociare in atti di concorrenza sleale, di intimidazione e di vandalismo. Nel 1535, i magazzini di la Magnifica Geronima Ragusa et di lo Magnifico Micheli Priaruggia che sorgevano in la marina di la dicta citati, in contu di lo plano di la ecclesia di Sancti Rocchi, furono oggetto di mire vandaliche da parte di ignoti, i quali erano soliti achianari supra, provocando diversi danni, tanto che per le ripetute proteste dei due proprietari, gli amministratori (giurati) di Termini furono costretti in tale anno a deliberare un apposito bando et comandamento, che comminava severe multe pecuniarie ai trasgressori se colti in flagranza di reato (cfr. Atti dei Magnifici Giurati della Splendidissima e Fedele Città di Termini, d’ora in poi AMG, ms. BLT, 1535-36).

Ricordiamo, per inciso, che l’antica cappella intitolata a S. Rocco, protettore contro le epidemie pestilenziali, sorgeva nell’omonimo piano (oggi Piazza del Carmine), allora molto più ampio e che, a partire dal 1580, fu progressivamente ristretto per la costruzione della chiesa e convento di S. Maria del Monte Carmelo sotto il titolo di S. Rocco. L’antica chiesetta, intitolata al santo taumaturgo di origine francese, infatti, fu inglobata nel nuovo edificio di culto carmelitano, divenendo una delle cappelle. Da notare che nello stesso piano sorgeva la chiesa medievale dei SS. Quaranta Martiri, centro spirituale della locale comunità pisana, altra “nazione” mercantile profondamente radicata a Termini Imerese, già agli inizi del Trecento, con una propria strada (Ruga Pisarum), propri consoli e proprie logge. I SS. Quaranta Martiri di Sebaste (Armenia), come attesta S. Basilio Magno vescovo di Cesarea (370–379), secondo la tradizione agiografica erano un gruppo di soldati romani appartenenti alla Legio XII Fulminata, che nel 320 furono martirizzati per la loro fede cristiana, essendo condannati in pieno inverno a stare immersi in uno stagno ghiacciato, posto vicino ai bagni caldi offerti loro solo rinnegando il loro credo religioso (cfr. Basilio Magno, Omelia 19 in J.-P. Migne, Patrologiae Cursus Completus, Series Graeca, 169 voll., J.-P. Migne, Paris 1856-66, XXXI, 507 ff., anno 372; P. Franchi de’ Cavalieri,  I Santi Quaranta Martiri di Sebastia, in Idem, Note agiografiche, 7, “Studi e testi”, Biblioteca apostolica vaticana, XLIX, Tipografia poliglotta vaticana, Città del Vaticano, Roma 1928, 253 pp., vedasi pp. 155-184; M. Tangheroni, Pisa e il Mediterraneo: uomini, merci, idee dagli Etruschi ai Medici, Skira, Milano 2003, p. 221). Questo luogo di culto termitano dei Quaranta Martiri, era del tutto omologo a quello palermitano, anch’esso voluto dalla natione pisana (cfr. A. Contino, Aqua Himerae. Idrografia antica ed attuale dell’area urbana e del territorio di Termini Imerese (Sicilia centro-settentrionale), Giambra, Terme Vigliatore 2019, p. 165 e pp. 172-173).

Tornando a Michele Priarùggia senior, da un rogito del giorno 11 settembre VIa Indizione 1577, si apprende che in tale data era già defunto. In tale giorno, infatti, il Magnifico Francesco Pico mercator januensis, dimorante nella città di Termini, si obbligò quale mandatario dei Magnifici Stefano e Giacomo Pico, fratelli, suoi consanguinei, a loro volta procuratori del Magnifico e Reverendo sac. don Simone Tagliavia, beneficiale della chiesa dei SS. Quaranta Martiri della città di Termini, sul censo di onze dieci per delle botteghe e magazzini posti nel quartiere della Marina, confinanti con il magazzino, case e botteghe degli eredi del fu Magnifico Michele Priarùggia ed in frontespizio di quelle del Magnifico Giovanni Martino Gallo e del magazzino di detti eredi Priarùggia nominatu la grutta, con l’intermezzo di due strade. Detti beni immobili, un tempo erano appartenuti al Magnifico Francesco Maricone, anch’egli mercante di origine ligure (cfr. Archivio di Stato di Palermo, sezione di Termini Imerese, d’ora in poi ASPT, notai defunti, atti di notar Matteo de Michele, di Termini Imerese, vol. 13023, 1577-78, ff. 6v-7).

Il grande magazzino del genovese Michele Priaruggia senior, si identifica senza dubbio con quello sito nel quartiere della Marina che, agli inizi del Seicento, era di proprietà di Gianvincenzo Landucci, di antica famiglia pisana, con ingresso principale dalla Strata Buttariorum (Strada dei Bottai oggi Via Salemi-Oddo), come attesta un rogito del primo febbraio Va Indizione 1622 (cfr. copia in ACCT, mazzo VII, f. 1139, Pro Nicolao Bononia cum Jo: Vincentio Patteri et Landucci).

Il detto Magnifico Lazzaro Priaruggia, il 30 ottobre Xa Indizione 1581, nella Maggior Chiesa di Termini, sposò la Magnifica Munducza (forma ipocoristica di Sigismunducza, cioè Sigismonduccia) Pantano del fu Don Pietro alla presenza dei testimoni fra Antonino Cutrona di Messina gesuano (gesuato) e Mastro Battista Bellivirdi (cfr. AME, Sponsali, vol. 3, 1577-1586, f. 20).

Il testamento e l’inventario ereditario dei beni del fu Lazzaro Priarùggia di Michele senior fu aperto e reso pubblico il 23 ottobre VIIa Indizione 1593 (cfr. ASPT, notai defunti, notar Matteo de Michele di Termini Imerese, 1593-94, vol. 13028, ff. 54v.-58r.). Eredi universali erano sei figli legittimi, procreati dal detto Lazzaro e dalla fu Sigismonda, cioé cinque maschi (in ordine di età), Michele junior (l’unico maggiorenne), Francesco, Battista, Antonio e Vincenzo, nonché l’unica femmina, Brigida. Quest’ultima era già sposata con un certo Innocenzo Fuxumarro, che in altri rogiti notarili appare qualificato come Mastro, avendo quindi una propria bottega artigiana dove poteva tenere apprendisti. La famiglia possedeva beni stabili tra i quali delle vigne site nei feudi S. Onofrio e di Brucato, rispettivamente ad occidente e ad oriente della cittadina.

Michele junior risulta inserito nel ruolo dei Giurati per l’anno 1607-8 e per il 1608-9 (cfr. AMG, 1607-8 e 1608-9) con la grafia Perruggia contrazione di Priaruggia.

Il 25 Agosto VIIa Indizione 1594, agli atti di notar Domenico di Pace di Termini, Bernardo Schittino cittadino di Termini (civis thermarum), ma di origine ligure, si accordò con il venerabile fra Antonio Castigliuni ordo sancti francisci per un censo di onze tre annuali da pagarsi il 15 di Agosto, relativo ad un «tenimento di case (abitazione costituita da più stanze o corpi), con botteghe e magazzino, posto nel piano della Marina (in plano Maritime) di questa città di Termini, confinante da una parte con il magazzino che una volta era del fu Michele Priarùggia e presentemente degli eredi del fu Tommaso Priarùggia, con l’intermezzo di una stradina otturata (vanellutia obturata mediante), e dall’altra parte con la casa chiamata la Torretta di Giuseppe Solito fu Simone, con l’interposizione di un’altra stradina (alia vanella publica mediante) e, dalla parte retrostante, confinante un tempo con la chiesa dei SS. Quaranta Martiri, presentemente diruta (olim Ecclesiam Sanctorum Quadraginta m[odern]e diruta) ed in frontespizio con il piano della Marina» già citato (cfr. Atti e scritture del convento di S. Francesco d’Assisi della città di Termini, ms. BLT ai segni Atti 284, f. 218).

Il 10 settembre Ia Indizione 1602, Giovanna Schittino moglie del detto Bernardo e per parte del figlio Pietro Schittino, concedette a Michelangelo di Marino, altro oriundo ligure, una casa sulla quale spettava il censo di onze dieci annuali da pagarsi al convento di S. Maria del Carmelo. La casa, provvista di pozzo ed acqua corrente, era sita nel Piano della Marina in frontespizio di una fontana pubblica detta di San Calogero (Fontis Sancti Calogeri), confinante da una parte con il magazzino  (magasenum), di Michele Priarùggia (Michaelis Priaruggia, da identificare con il junior), e dall’altra con la casa di Giuseppe Solìto chiamata La Torretta, con l’intermezzo di una stradina (vanellutia intermedia) e dalla parte retrostante un cortile in frontespizio della Chiesa di S. Maria del Carmelo. Da notare che la detta casa era stata concessa ad enfiteusi in magaseno, dal fu Girolamo Solìto agli eredi del fu Giangiacomo La Tegera agli atti di notar Francesco de Anna del 26 gennaio XIIa indizione 1569. Nel 1581 la casa era stata approvvigionata di acqua corrente attraverso una apposita condotta idrica (cfr. ASPT, notai defunti, notar Matteo de Michele, registro, 1602-3, vol. 13034).

Nell’anno Xva Indizione 1601-1602, Michele Priaruggia junior, assieme al sac. don Bernardino Romano, a Giuseppe Solito, ad Alfonso di Marino, a Giuseppe Zabbatteri e ad Agostino Herrera, fu uno dei Governatori della Cappella del SS. Sacramento della Maggior Chiesa di Termini Imerese. Ebbe nuovamente tale carica nell’anno VIIa Indizione 1608-9, insieme a Francesco di Dio, ad Egidio Cioffo, a Vincenzo Satariano, a Gerolamo di Marino ed a Giuseppe Zabbatteri (quest’ultimo in sostituzione di don Ottavio d’Orlando).

Il 26 ottobre Xa Indizione 1626, fu celebrato nella parrocchia coadiutrice di S. Maria della Consolazione di Termini, il matrimonio tra Paula figlia di Michele Priarùggia junior (ms. Micheli Perruggia), nubile (schetta) e Don Andrea Ortolano della Terra di Petralia, vedovo, alla presenza di Don Giuseppe Cangimila e di Gianvincenzo Landucci (ms. Gio: Vinc[enti]o L’Induccia) e Patteri (cfr. AME, Sponsali, vol. 22, 1624-35, f. 18v n. 2). Donna Paola Priaruggia in Ortolano, possedette delle case nel quartiere delle Botteghelle di sotto (apotecellarum inferioris) [cfr. Libro d’Assenti delle Rendite della fu Donna Caterina Solito, ms. BLT, ai segni Atti 255, anno 1635].

Il quartiere delle Botteghelle era attraversato da due assi viari principali. Il primo, era la Strada delle Botteghelle (Strata Apotecellarum) propriamente detta che, sin dagli inizi del Cinquecento, dava il nome alla contrada (poi quartiere), nella quale si distingueva, topograficamente, una parte superiore o di Sopra (attuale via Errante), che iniziava dal Piano di S. Lucia (attuale Piazza S. Carlo) ed una inferiore o di Sotto (attuale via Porta Erculea), che terminava nel Piano dei Bagni (Platea Balneorum), congiunte dal Piano delle Botteghelle (Platea Apotecellarum, attuale Piazza Liborio Arrigo), dove il pubblico banditore aveva l’ordine, relativamente alla parte bassa della cittadina, di proclamare le disposizione ufficiali del comune. Il toponimo Apotecellarum si ricollega etimologicamente al latino apotheca, ‘deposito di provviste’, a sua volta dal greco ἀποϑήκη, ‘ripostiglio’, derivato di ἀποτίϑημι ‘riporre’.

L’altro asse viario era la Strada dei Mercanti (attuale Via Vittorio Emanuele), cioé dei venditori di panni, che partendo dal Piano delle Botteghelle terminava in quello della Marina, la medievale contrada dei Lattarini, omologa di quella palermitana, dall’arabo sûq al ‘aṭṭārîn, ‘mercato degli speziali o dei profumieri’ (cfr. A. Contino, Aqua Himerae…cit., pp. 169-170). Questo quartiere era il retaggio dell’antico e variopinto Suq arabo, suddiviso in funzione  delle varie categorie merceologiche. Si andava dai venditori di preziosi, di profumi, di spezie, di stoffe ed abiti, a quelli di generi alimentari, compresi quelli più grassi, detti perciò di grascia, come oli, carne e pesce salato, formaggi, sugna, sego, cere etc., ma anche di verdure ed ortaggi (nell’area detta Noharia cioé l’attuale Via Bagni, popolarmente detta ‘A Strata Virdura, cfr. A. Contino, Aqua Himerae…cit., p. 170). Nel Cinquecento su questi assi viari prospettavano delle lunghe sequele di case per lo più monocellulari, generalmente raddoppiate da solai (solerate), con botteghe e retrobottega a piano terra, aperte sulla strada, a costituire ambienti gestiti direttamente dai proprietari, oppure date in affitto, dove commerciavano speziali, rigattieri, merciai, pizzicagnoli, tavernieri, gestori di fondaci (dall’arabo funduq ‘albergo’, a sua volta dal greco πάνδοχος, erano degli ambienti adibiti a locanda e stalla nel contempo, atti ad accogliere assieme sia i viandanti che le loro cavalcature) etc.

Il secondo personaggio che si ritrova a Termini Imerese nella prima metà del Cinquecento è il nobile Gregorio Priarùggia (ms. Perirugia) il quale, con rogito del 27 marzo 1543 in notar Francesco Pesce di Termini (ASPT, vol. 12868, 1542-44, s. n.), stipulò con il termitano Leonardo de Ugone figlio del fu Vincenzo, la creazione di una vera e propria società commerciale sia nella città di Termini che in quella di Genova (in societate in civitate thermarum et in civitate Janue), evidentemente per il mutuo trasporto di mercanzie da entrambi gli approdi marittimi. Lo stesso notaio Pesce apparteneva ad una famiglia di antica ascendenza ligure.

Il terzo esponente che abbiamo scoperto nelle carte d’archivio e che era presente a Termini Imerese nella prima metà del Cinquecento è il Magnifico Antonino Priarùggia.

Il 9 gennaio Va Indizione 1547, il Magnifico Antonino Priarùggia (ms. Pero ruxa), assieme a Stefano di Ansaldo e della madrina Filippa L’Angelica, fu presente come padrino al battesimo, officiato dal sac. Stefano Spataro, di Caterina figlia del Magnifico Giovanni (Io[hanni]) Criccu (cfr. AME, Battesimi, vol. 1, 1542-48, f. 88v n. 1).

Il Magnifico Antonino Priarùggia, già defunto nel 1572, ebbe tre figli maschi: Girolamo, Tommaso e Lazzaro, suoi eredi universali menzionati in un rogito stipulato il 10 Gennaio Va Indizione di detto anno (cfr. copia in Ruolo vecchio di confrati, in AME, fondo Monte di Pietà di Termini, pp. 29-31). Nove anni dopo ritroviamo il Magnifico Tommaso Priarùggia de civitate thermarum che era detentore del feudo di Buonfornello o di S. Nicola de membris feudi Bonfornelli. In tale contesto, Tommaso versò due acconti dalla somma totale di onze 140, al nobile Gaspare de Argano Regio Algoziro, ad istanza del Magnifico Gerolamo de Negro gabelloto arrendatario degli erbaggi della baronia di Villafranca [della casata degli Alliata], eiusque pheudum ac baronia Roccelle et Bonfornelli, castri, turris, stantiarum trappetorum et arbitrorum cannemellarum et oleorum (cfr. ASPT, notai defunti, notar Matteo de Michele di Termini Imerese, vol. 13025, 1580-90, anno 1581-82, f. 69v, atto del primo ottobre Xa Indizione 1581).

Tommaso risulta già defunto il 24 Giugno Xa Indizione 1597 quando la figlia, la Magnifica Paola Priaruggia, nella Maggior Chiesa di Termini sposò il Magnifico Cesare Marino (cfr. AME, Sponsali, vol 7, 1584-1601, f. 59) esponente dell’omonima casata di origine ligure.

Il quarto esponente scoperto è il Magnifico Giuseppe Priarùggia o Petrarùgia, che appartenne ad un ulteriore ramo abitante a Termini, documentato sin dagli anni 60’ del Cinquecento. Il 7 ottobre VIIa Indizione 1563, il ligure (januens) Magnifico Giuseppe Petrarugia, assieme al marinaio benestante, honorabilis Luciano Comella ed al Magnifico Sigismondo Sitaiolo (ms. Sitayola), mercante pisano che risiedeva in quel periodo nella cittadina imerese, fu testimone alla vendita effettuata in loco dal Magnifico Nicolò Fieschi, mercator januens degenti in hac praedicta civitate, nei confronti del nobile Filippo Giampallari, cittadino di Termini (civis thermarum) per aver sposato una termitana (propter ductione uxoris), di una partita di frumento ammontante a salme 100, al prezzo stabilito dal calmiere (meta).

Il medesimo giorno, il detto Giuseppe Petrarùgia mercator januens acquistò per sé dal Fieschi, cento salme di frumento, sempre al prezzo della meta (cfr. ASPT, fondo notai defunti, atti di notar Tommaso Bertolo di Termini Imerese, 1562-63 e 1563-64, vol. 12954). Allo stato attuale delle ricerche, non è possibile stabilire con  certezza l’appartenenza del Fieschi alla omonima casata nobiliare ligure, discendente dai conti di Lavagna (cfr. G. Petti Balbi, I Fieschi ed il loro territorio nella Liguria orientale, in “Atti del Convegno di studi sui ceti dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova”, III, Genova 1983, ad indicem).

Maggiori indicazioni sul ramo termitano di Giuseppe Priarùggia si reperiscono nella serie relativa a Termini Imerese dei riveli di beni et anime (veri e propri censimenti e, al contempo, dichiarazioni dei redditi, poiché riportano notizie sui componenti di un nucleo familiare e sui loro beni mobili ed immobili) dell’anno 1569, che si conservano nel fondo Tribunale del Real Patrimonio (d’ora in poi TRB) dell’Archivio di Stato di Palermo (d’ora in poi ASP). Purtroppo, la capillare indagine da noi effettuata su questa documentazione, ci ha fatto riscontrare che si è in presenza di una raccolta molto parziale dei singoli incartamenti manoscritti, contenenti le dichiarazioni familiari e patrimoniali,  riunita in un unico grosso faldone. Peccato, perché in caso contrario i riveli avrebbero potuto costituire una fonte coeva, capace di fornirci preziose indicazioni sulla consistenza della comunità ligure termitana nella seconda metà del Cinquecento. Comunque sia, dallo spoglio del faldone superstite (cfr. riveli di beni et anime, Termini, anno 1569, in ASP, TRB, vol. 704, fasc. II, f. 1099) si ritrova soltanto il detto ramo familiare dei Priarùggia abitanti a Termini che faceva capo al Magnifico Giuseppe. Quest’ultimo, in qualità di fratello maggiore e, quindi, di capofamiglia, dichiara di chiamarsi Giuseppe Priarùggia, di avere anni 27 in circa (n. c. 1542) e di svolgere la professione di mercante. Assieme a Giuseppe Priarùggia abitavano due fratelli: Cesare, che dichiara di avere anni 21 in circa (n. c. 1548) e Giangiacomo (Giangiacobo) che fornisce un’età di anni 20 in circa (n. c. 1549), nonché cinque sorelle minorenni, ancora nubili (per la donna, il matrimonio avveniva allora abbastanza precocemente), delle quali è indicato solo il nome, mentre è totalmente omessa l’età: Barbara (detta Barbarecta), Camilla, Paola (Paula), Maria (detta Marieta) e Giacoma (detta Mineta).

Ritroviamo ancora il detto Magnifico Giuseppe Priarùggia (ms. Periruggia), in un rogito del 24 agosto IIa Indizione 1574, dove appare sempre qualificato come mercante ligure  (mercator januensis), in qualità di procuratore di due colleghi, anch’essi di origine genovese, i Magnifici Andrea e Stefano di Marini, soci, abitanti nella città di Palermo. L’atto, redatto da notar Francesco Bertòlo di Termini (cfr. ASPT, notai defunti, vol. 13003, 1572-74, ff. 145-146) è sottoscritto da testimoni, tra i quali ci piace ricordare Mastro Pietro La Barbera, padre del pittore ed architetto manierista Vincenzo (c. 1577-1642), anch’egli di origine ligure essendo figlio di Bartolomeo Barbieri, qualificato nei rogiti come januens, e di una termitana della quale si conosce soltanto il nome di battesimo, Lucrezia (cfr. A. Contino e S. Mantia, Vincenzo La Barbera. Architetto e pittore termitano, GASM, Termini Imerese 1998, 152 pp., nello specifico, pp. 35-36).

Il Magnifico Giuseppe Priarùggia si spense nel 1606 e fu poi sepolto in S. Francesco d’Assisi (cfr. Atti e scritture del convento di S. Francesco d’Assisi della città di Termini, ms. BLT ai segni Atti 284, f. 434).

Infine, tra i «Termitani Religiosi Illustri nelle proprie Religioni», lo storico locale Vincenzo Solìto rammenta la figura del «Padre D[on]. Simone Priaruggia Abbate [sic], che fù [sic] del Conve[n]to di S. Maria dello Spasimo di Palermo huomo di bontà di vita» essendo appartenuto ai «Padri Benedettini Bianchi», della Congregazione di Santa Maria di Monte Oliveto (cfr. V. Solìto, Termini Himerese…cit., II, p. 140).

Da notare che il canonico palermitano Antonino Mongitore (1663-1743), invece, rammenta un Maurizio Priarùggia di Palermo, documentato nel 1649, 1650, 1651, quale abate di S. Maria dello Spasimo (cfr. A. Mongitore, Storia sacra di tutte le chiese, conventi, monasteri, spedali e altri luoghi pii della città di Palermo, Monasteri e conservatori, ms. Biblioteca comunale di Palermo ai segni Qq E 7, edizione a stampa: Storia delle chiese di Palermo. I conventi. Edizione critica a cura di F. Lo Piccolo. Regione Siciliana, Assessorato Beni Culturali Ambientali e Pubblica Istruzione. Centro regionale per l’inventario, la catalogazione. Servizio documentazione di Palermo, 2 voll., Palermo 2009, I, 810 pp., si veda a p. 102).

Queste sono le vicissitudini della casata ligure dei Priarùggia in Termini Imerese che fu fiorente tra il XVI ed il XVII secolo. Un altro tassello nel complesso e, per certi versi ancora da ricostruire, variegato mosaico dei rapporti tra la Liguria e la Sicilia e, con particolare riguardo, con Termini Imerese.

Abbiamo già messo in risalto che tali rapporti si legano sostanzialmente all’indiscussa rilevanza strategica e commerciale della cittadina imerese. Quest’ultima, infatti, sita nel settore centro-settentrionale della Sicilia, era il fulcro primario di raccolta del grano proveniente dal vasto e fertile entroterra, dotato di ampi spazi cerealicoli, compreso tra i bacini dei fiumi S. Leonardo, Torto ed Imera settentrionale (cfr. P. Bova e A. Contino, Mercanti genovesi a Termini Imerese nel Seicento: la transazione tra Ippolito Malaspina e Pietro Maggiolo per la fregata “Santa Maria di Porto Salvo e San Giuseppe”, online su questa testata giornalistica, Sabato, 1 Maggio 2021).

L’approccio volutamente interdisciplinare e multidisciplinare, basato sull’analisi incrociata di dati storici, linguistici, geologici e genealogici, ha permesso di approfondire opportunamente la ricerca, migliorando notevolmente la qualità dei risultati, in modo da ottenere un quadro più articolato ed ampio.

Patrizia Bova e Antonio Contino

Nella foto: Giambattista Priaruggia, olio su tela di Cornelis Schut III (1629–1685).

Ringraziamenti: vogliamo esprimere la nostra più viva gratitudine, per l’essenziale supporto logistico nelle nostre ricerche, rispettivamente, ai direttori ed al personale della sezione di Termini Imerese dell’Archivio di Stato di Palermo e della Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese. Un ringraziamento particolare va a don Francesco Anfuso e a don Antonio Todaro per averci permesso di effettuare basilari ricerche presso l’Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese. Grazie di cuore all’amico Giovanni Ferrero (Genova) per la sua grande disponibilità, avendo verificato per noi i due stemmi della casata ligure dei Priarùggia, oggetto di questo studio, nel ms. cartaceo del 1680 “La università delle insegne ligustiche” di Giovanni Andrea Musso, della Biblioteca civica Berio di Genova.