Il modello Bagheria nel tempo, culla di genialità

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Ancora una volta un medaglione dedicato a personaggi della Bagheria del passato remoto che, tra scelte professionali e linea di vita civile, politica e sindacale,

sono stati modelli di stimolo a perpertuare attraverso le generazioni che sono seguite nel territorio come per un laboratorio dove, fin dalla sua origine di centro popolato, non ha smesso di consegnare ora alla storia locale ora a quella nazionale e persino universale modelli di genialità, operatività artistica, giuridica, letteraria e di impegno civile e politico, sempre più incisivi e rilevanti. Tra altri, il passato prossimo da Renato Guttuso a Ignazio Buttitta, per citare due nomi esponenziali, si collega al presente di Giuseppe Tornatore e Ferdinando Scianna, per dare liceità a citare nomi come altrettante piramidi della continuità di presenze del genio siciliano nel mondo. A tal proposito verrebbe da citare l’impertinenza in quanto qui fuori tema del pregnante insistere sulla Sicilia celebrata come culla della mafia. Nulla da eccepire, per carità, ma molto da distinguere se si vuol tenere conto della stessa Sicilia come luogo del genio e dei siciliani pionieri di una continuità di realtà scientifiche, artistiche (le avanguardie) e persino politiche se si mette nel conto la storia dei parlamenti in Europa e si scopre che Palermo non è stata solo la culla della Scuola Poetica Siciliana ma anche un modello di parlamento alla pari di quanto è stato, in concorso, la Gran Bretagna.
Discorsi che potrebbero far sgranare tanto di occhi a certe svolazzanti gazzebianche del nord della Penisola alle quali vorremmo dire, a proposito della “Sicilia culla della mafia” che l’attributo dovrebbero valutarlo immagianando che, da altro versante del Paese, si cadesse nel madornale errore di attribuire il marcio di  culla dei personnaggi tra librettistici e letterari di Sparafucile, che, però, dice a Rigoletto di essere borgognone, o di don Rodrigo e della genìa dei bravi di manzoniana memoria. Ma la colpa e sempre e comunque dei ompiacimenti pecorecci, anacronistici ormai e ridicoli per chi ne continua a professare e diffondere opinioni del genere citato.
Purtroppo  non sempre gli stessi siciliani abbiamo avuto la sana e dovuta accortezza,  o forse la solerzia, di vantare i nostri antenati e sostenere i contemporarei, spesso costretti a uscire dall’Isola per sentirsi riconoscere nel loro valore.
Chiudiamo questa premessa chiedendo perdono ai lettori per la divagazione, ma la spontaneità a volte non deve essere inibita, anche se, proprio per chiudere in bellezza l’argomento, ricorriamo a una sentenza di uno scrittore  siciliano cui nessuno può negare di essere stato il maggior moralista del secondo Novecento, Leonardo Sciascia. Diceva e ci continunava a dire Sciascia che “Nessun siciliano è disposto a riconoscere in un altro siciliano il giusto valore”.
Questo “Medaglione” nel quale insistiamo sui bagheresi evocando alcune figure apparentemente minori, lo proponiamo come esempio di quanti sono stati i modelli da cui sono poi scaturiti altri modelli in crescendo. E per ricordare a noi stessi come le grandi figure di artisti, o politici, o sindacalisti o pittori, o imprenditori non crescono e si impongono a caso, ma, come per Bagheria, cosi per regioni, o nazioni, si sviluppano dove non sono mancati i modelli, perché, come ci ammonisce la sapienza popolare, non si improvvisano eroi dove i  modelli sono stati conigli.
Baldassarre Scaduto nato a Bagheria il 14 marzo 1853 non è stato un personaggio che ha lasciato impronte fuori dall’ambito bagherese, perché ha speso l’intera sua vita in operatività locale fino a farsi modello delle generazioni future. Senza la sua lezione di laicità, in epoca in cui non era coraggio di tutti l’ergersi a impedire che lo strapotere post inquisizione del clero locale potesse pesare smodatamente sulla vita politica e civile del territorio. Ed ecco che basterà consultare gli archivi e in essi i resoconti delle sedute del Consiglio comunale di Bagheria per acquisire il significato delle contestazioni che Baldassare Scaduto ha rivolto a quell’aspetto di ingiustizie e sfruttamento. Non esitiamo a sostenere che senza il suo esempio incisivo costante e dimostrativo di una indole missionaria del bene sociale, probabilmente non ci sarebbe stato chi ne ha raccolto la lezione, come per il caso di Ignazio Buttitta, la cui disinibizione laica ha segnato un aspetto della attività creativa del poeta dialettale. Si dica pure che il poeta e la sua fama hanno avuto maggior fortuna per via dei sostegni politici dell’allora Partito comunista italiano e si aggiunga quanto le Feste nazionali dell’Unità hanno agevolato la crescita, oltre all’affermazione del nome del poeta bagherese più famoso del secolo scorso. Ma si ammetta che l’intera produzione artistica e dell’impegno civile di Buttitta è stata anche l’aver erditato l’esempio del Baldassare Scaduto poco noto oltre i confini provinciali, dimenticato rispetto al valore del suo esempio.
La sorte di altro grande bagherese, anch’egli celebrità del passato prossimo, Renato Guttuso, a sua volta anch’egli sostenuto dalla forte promozione dell’ala protettiva dello stesso Partito comunista citato per Buttitta, ha sicuramente potenziato e determinato una affermazione internazionale del valoroso pittore, ma l’inclinazione e le doti non sarebbero germogliate con altrettanta sicurezza se l’habitat fosse stata alieno rispetto  a quanto un suo predecessore, Onofrio Tomaselli (nella foto), nato a Bagheria il 3 agosto 1866 aveva stimolato in emulazione nelle potenzialità geniali locali. Onofrio Tomaselli, al contrario di Baldassarre Scaduto, era uscito oltre il confine dell’Isola (Cu nesci rrinesci). Su alcuni momenti della sua vita citiamo dalla scheda biografica ufficiale.
A Palermo Tomaselli compì il suo primo tirocinio, tra il 1880 e il 1881, presso il pittore Pietro Volpes, discepolo del Patania e del D’Antoni, tenne studio insieme a Francesco Lo Jacono e ad altri artisti, fra cui lo scultore Nunzio Morello, in alcuni locali dell’ex monastero della Martorana, dov’era ubicato anche l’Istituto di Belle Arti. Dal 1884 al 1886, anno in cui sostenne gli esami finali, grazie ad una borsa di studio concessagli dal Comune di Palermo, il Tomaselli frequentò il corso di pittura figurativa, che concluse «con lode ed approvazione», con una medaglia d’argento «per gli studi di dipinti dal vero», ed un premio pecuniario per il «disegno di anatomia del cadavere». In quello stesso 1886 sposò a Napoli Emilia Glaudi dei marchesi di Tagliavia, e nell’anno successivo si presentò al concorso di Composizione di pittura bandito dall’Istituto di Belle Arti di Napoli, ottenendo il premio di incoraggiamento ex aequo. Fin dall’inizio, alla base del suo stile pittorico fu il Morelli, che, a livello di insegnamento accademico, era stato il nume tutelare non solo della pittura meridionale, ma anche di quella isolana. La citazione con la quale egli asseriva che «l’arte era di rappresentare figure e cose non viste, ma immaginate e vere ad un tempo», offre una chiave di lettura per comprendere il senso della pittura dal vero di Tomaselli. Del resto il principio di «verità» e il Realismo rappresentarono il momento unitario dell’arte italiana della seconda metà dell’Ottocento e all’inizio fu una ricerca comune degli artisti sulle premesse della rivoluzione della «macchia». Questo costituì il superamento delle divisioni e delle scuole regionali di pittura e allineò tutti, «presto o tardi, su un unico fronte la cui insegna era il “vero”, nelle forme, nei temi e nelle “emozioni”». Anche le vicende della pittura siciliana nel suo graduale sviluppo dal Neoclassicismo al Realismo, dal concetto di «bello» all’intuizione del «vero», rispecchiava la situazione generale dell’arte.
Renato Guttuoso paga il suo debito dì riconosceza al maestro concittadino commentando l’opera famosa del Tomaselli, “I  Carusi”  realizzata nel 1905 e presentata all’Esposizione Internazionale di Milano del 1906. La tela adesso si trova esposta alla Galleria d’arte moderna Sant’Anna di Palermo
Scrivendo queste note e riproponendo una pagina del passato di una città siciliana come Bagheria, pensiamo di invitare a una rilettura della realtà siciliana, gli stessi siciliani, a cominciare quindi da noi stessi, ripescando alcuni modelli di questa realtà. Ci siamo compiaciuti per questa esperienza aderendo all’invito del vulcanico Amico  Alfonso Lo Cascio, e ci accorgiamo di volta in volta che stiamo colmando lacune della nostra presunzione di conoscere la Sicilia e le sue basi culturali legate al significato che ha continuato a rappresentare, nell’Isola e per essa, la presenza di modelli che hanno dato stimolo di crescita e affermazione ad altri modelli. E in tutti i settori della vita pubblica, artistica, politica, sindacale e imprenditoriale. Chiudiamo questo momento dei medaglioni “in corso d’opera” con altri due esempi ancora esclusivamente bagheresi, come se proprio in questa città fosse stata elargita da un ordine misterioso del mondo, la prerogativa di una catena umana di modelli. Ma sappiamo a priori che non è proprio così, e che gli esempi di modelli vivono e sgomitano in ogni angolo della Sicilia, dove se è vero che ogni testa è un tribunale, è anche vero il teorema che ne deriva sulla genialità, la sensibilità artistica  di pari valore  a quella politica, sindacale, imprenditoriale.
In quest’ultimo settore Bagheria ha dato i natali a uno degli operatori pionieri, Giuseppe Verdone 1805-1893 che ha fondato  a Bagheria il primo stabilimento per la conservazione dei prodotti alimentari in scatola; Industria fino allora totalmente sconosciuta, allestendo stand dei propri prodotti in tutt’Italia e in America come testimoniano gli atti di chi ha svolto ricerche e raccolto documentazioni. (Cfr. in  archivio di Repubblica del 3 gennaio 2012)
Concludiamo questa carrellata a proposito di Bagheria e dei suo personaggi e personalità nel tempo, con un cenno alla sindacalista Graziella Vestré, che pur non essendo nata a Bagheria, in questa città ha dato il meglio di se stessa come sindacalista e forte sostenitrice dei diritti umani nonché fondatrice (dell’UDI) Unione donne italiane. Citiamo dalla sua bibliografia: Leader sindacale, organizzatrice delle lavoratrici agrumaie e prima donna a fare politica a Bagheria. Un’icona femminile e della cultura popolare siciliana. Graziella Vistrè, (nata nel 1912 a Gela e morta il 13 aprile del 1997 a Palermo),  anticipatrice delle lotte per la parità dei sessi, è stata segretaria prima della Camera del Lavoro di Bagheria, la sua città, dove visse per cinquant’anni, e poi di Lentini, fu anche consigliere comunale, assessore, dirigente del Pci e tra le  fondatrice dell’Udi in Sicilia. Una donna dell’inizio del secolo scorso che fumava le Alfa e  che riempiva le pareti della Camera del Lavoro con le mappe toponomastiche della città, spiegando fino a notte fonda, alle compagne che l’attorniavano, l’importanza del  piano regolatore e urbanistico.
E’ morta a Palermo, dove risiedette negli ultimi anni della sua attività lavorativa. La Camera ardente fu allestita a Bagheria, alla Camera del Lavoro, e a Bagheria  è stata sepolta. Sulla sua tomba c’è scritto “Le lotte in difesa del lavoro sono una garanzia per la conquista del diritto ad una vita civile.”
Aggiungiamo questi nomi agli altri del precedente Medaglione sui bagheresi da ricordare e avremo una risposta a quanto questa città della provincia regionale di Palermo non abbia smesso di proporre all’attenzione del mondo la propria immagine di città culla di genialità in ogni settore della vita di relazione. Ma senza fermare la nostra attenzione a questo esempio, procedendo piuttosto a riscoprire quanto, in ogni angolo della Sicilia, c’è da ricordare in analogia. Ci proveremo a dimostrarlo procedendo.
Mario Grasso