Giuseppe Pitrè, lo studioso che inventò l’etnologia

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Il medico palermitano Giuseppe Pitrè (Palermo, 1841 – 1916) è stato il primo in Europa a realizzare un documento etnologico di vasta portata e completa visitazione di un vasto territorio, complesso e particolarmente vario e operoso, quello della Sicilia.

Una enciclopedia di vita popolare, quella nella quale lo studioso, servendosi  di fedeli corrispondenti da tutti i centri dell’Isola ha, lungo anni di non sempre facile reperimenti di dati, raccolto ordinato e pubblicato la più completa opera di informazioni sulla vita dell’epoca in Sicilia. La ristampa  per le Edizioni del Vespro di tutte le opere  ha esitato ben 25 volumi, presentati ciascuno da specialisti di etnologia e di storia, e non vi è settore della cultura siciliana che non presenti il suo panorama esaustivo, dall’economia della raccolta della neve alle superstizioni e loro variare da contrada a contrada, dai proverbi e la loro provenienza territoriale alle usanze nei fidanzamenti e nei matrimoni, fiere,  coltivazioni agricoli comprese le economie collegate agli alveari e alla dipendente raccolta del miele. Diremo che con la sua ricerca l’ingegnoso e lungimirante medico palermitano ha realizzato il primo documento scientifico nel quale i più disparati e curiosi momenti della cultura isolana sono stati l’elemento chiave che ha presentato il volto della Sicilia in tutta la sua combinazione di usi, costumi e linguaggi, tradizioni, risorse naturali e di lavoro, dall’agricoltura alla pesca, dai venditori ambulanti ai cantastorie. Una impresa alla cui utilità continuano ad attingere gli storici e gli studiosi di vita e tradizioni locali.
Nato in una famiglia di pescatori, il padre era marinaio che s’imbarcava per lavoro sulle navi e in occasione di una delle navigazioni, ammalatosi di febbre gialla, morì a New Orleans.
Due momenti sono da cogliere alla base di quello che sarebbe stato l’interesse divenuto missione del medico Pitrè: la estrazione culturale della madre , che lo stesso scrittore definirà “La mia biblioteca delle tradizioni popolari siciliane” e la professione di medico, in gran parte esercitata a contatto con la fascia di lavoratori, sia pescatori, sia contadini, che vivevano a contatto con la natura. D’altra parte i tempi erano ancora tali da consentire all’intellettuale di apprendere direttamente dalla voce di chi riferiva esperienze personali di contadino o di artigiano. Superfluo insistere sulla parte della madre a cui il futuro etnologo dedicherà la sua prima pubblicazione.
Garibaldino militante nel reparto marinaro, il giovanissimo Pitré ebbe modo  anche di attingere a una esperienza diversa rispetto a quanto avrebbe in seguito attinto con gli studi la laure e l’esercizio nella professione medica. Infine il segreto più importante, che è stato quello di costituire una vera e propria rete di corrispondenti-informatori. E non solo in Sicilia, infatti per le sue ricerche al momento di occuparsi del confronto tra le consuetudini paremiolgiche presso le varie regioni della Penisola, le corrispondenze avevano preso a essere estese a fonti d’oltre Stretto.
Adesso chi legge o studia i frutti delle corrispondenze non può che attribuire qualche dose di vera e propria fortuna al Pitré. Fortuna e immenso lavoro, tramite cui  ha salvato per farli conoscere ai posteri una vera miriade di particolari momenti della civiltà siciliana dell’Ottocento e anche di epoche precedenti,  se si mette nel conto quanto, lo studioso, che veniva elaborando le informazioni pervenutegli dalle fonti commentava con puntuali resoconti storici e con rinvii.
Non gli mancarono riconoscimenti da parte delle istituzioni palermitane di alta cultura (fu presidente della Società Siciliana per la storia patria) né da quelle più prestigiose ed  esclusive nazionale come l’Accademia della Crusca che lo nominò proprio socio,  e come, infine,  la politica governativa che nel 1914, due anni prima della morte lo nominò senatore del Regno. E tutto questo senza includere  le varie onorificenze che gli furono attribuite da istituzioni culturali pubbliche e private in tutta Italia, nonché quanto le stesse istituzioni hanno provvidenzialmente deliberato al momento di creare, a Palermo, la sede dei  Museo Pitrè, presso i locali attigui alla Palazzina cinese nel Parco della Favorita. E ancora, da parte delle pubbliche istituzioni  il finanziamento negli anni 1970 della ristampa di tutte le opere nei 25 volumi qui prima citati, divisi seguendo l’originario criterio dato dall’Autore, come si può ricavare dall’elenco che riportiamo in calce a completamento del medaglione.
Qui seguito riportiamo due stralci tratti da due diversi volumi e argomenti recuperati, quello sulla raccolta delle nevi (1) e altro sull’abbigliamento femminile a Messina (2):
1) (…) Nell’XI secolo, dopo la conquista della Sicilia per opera dei saraceni, Ruggero di Normandia stabilì nell’isola dei Vescovati, ai quali assegnò ricchi possedimenti. Al vescovo di Catania concesse tutto il versante dell’Etna rivolto verso Catania, ma coll’obbligo di provveder di neve quest’ultima città. La neve si accumula da sé in grandi insenature che vengono dette “tacche”, da cui la si toglie con una serie di operazioni. La prima di queste si effettua in ottobre, e consiste nel far ripulire le tacche, togliendone le pietre che vi fossero cadute dentro e le foglie o le sudicerie rimaste dopo l’estrazione di neve dell’anno precedente. Dopo che, nel mese di febbraio, la neve s’è accumulata nelle infossature del suole, una squadra di 50 o 60 operai si reca in marzo sulla montagna e con lunghe aste di ferro graduate rileva la profondità dello stato nevoso. Lo scavo si limita ai punti dove lo spessore della neve raggiunge i tre metri e di queste zone utilizzabili sono indicati i limiti per mezzo di mucchi di cenere eruttata dal cratere. Il vero lavoro di preparazione dello scavo si compie di notte soltanto, perché di giorno esso sarebbe troppo faticoso a causa del calore solare che fa fondere la superficie nevosa. (…) Giunta l’estate per raccogliere la neve si sbarazza quest’ultima dal suo mantello di cenere e poi se ne divide la superficie in una rete di tanti rettangoli per mezzo di strumenti di ferro che vanno sino a metri 1,50  di profondità. Lungo il giorno un po’ di neve è fusa dal sole e l’acqua che penetra nei solchi scavati nella massa si congela durante la notte seguente; in tal modo la neve può essere divisa in blocchi parallelepipedi, che hanno le facce congelate. Questi blocchi vengono ricoperti con foglie di felci e di castagno, poi sono chiusi entro sacchi di cui un paio per ogni animale è portato a dorso di carri; la neve è distribuita a Catania e alle città vicine (…) La città di Palermo, come l’Arcivescovato di Monreale, ha ab antiquo le sue neviere in alcuni monti della Conca d’oro. Quando la fabbricazione del ghiaccio non era neanche un sogno, giovavasi anche di quelle abbondantissime delle Madonie. (…).
2) (…) Nella provincia di Messina dianzi ricordata sono costumi femminili pittoreschi forse più che quelli della provincia di Palermo. La maggior parte delle donne di quella città e de’ comuni vicini portano in capo la rizza, specie di cuffia a maglia, che copre e raccoglie i capelli, e sulla fronte forma con rialzo caratteristico per chi lo vegga la prima volta. Le ragazze poi, per non dire delle donne maritate, coprono il petto con una pezzuola candidissima, un po’ alla foggia delle albanesi, verso la metà superiore, e lo chiudono bizzarramente verso la metà inferiore sino alla vita con un grazioso bustino, allacciato davanti in guisa da lasciare uno sparato a imbuto od a cono rovesciato. Sul bustino indossano una giacchettina tutta orlata, a largo bavero, abitualmente aperta, la quale dalla cinta in giù si continua con una caduta di vesta, gonnella, dove a larghe, dove a strette pieghe, che nel costume delle Cesarotane (del comune di Cesarò) è corta per lasciar vedere certi lucenti fibbie che esse portano sul tomaio delle scarpine. (…).
Elenco delle opere:
Profili biografici di contemporanei italiani, Palermo, editore F. Leo, 1864; Sui canti popolari siciliani. Studio critico, Palermo, Tipografia del Giornale di Sicilia, 1868; Le lettere, le arti, le scienze in Sicilia nel 1871-72, Palermo, L. Pedone-Lauriel, 1872 ; Studi di poesia popolare, Palermo, 1872; Saggio di fiabe e novelle popolari siciliane, Palermo, L. Pedone-Lauriel, 1873 ; Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani, in quattro volumi, Palermo, L. Pedone-Lauriel, 1875 (Il primo dei quattro volumi s’intitola Saggio d’una grammatica del dialetto e delle parlate siciliane. Questa raccolta comprende, tra l’altro, le Storie di Giufà); Usi natalizi, nuziali e funebri del popolo siciliano, Palermo, L. Pedone-Lauriel, 1879 ; Proverbi siciliani confrontati con quelli degli altri dialetti d’Italia, in quattro volumi, Palermo, L. Pedone-Lauriel, 1880 ; Spettacoli e feste popolari siciliane, Palermo, L. Pedone-Lauriel, 1881 ; Il Vespro Siciliano nelle tradizioni popolari della Sicilia, Palermo, L. Pedone-Lauriel, 1882 ; Giuochi fanciulleschi siciliani, Palermo, L. Pedone-Lauriel, 1883 ; Novelle popolari toscane, Firenze, G. Barbera, 1885 ; Avvenimenti faceti raccolti da un anonimo siciliano nella prima metà del secolo XVIII, Palermo, L. Pedone-Lauriel, 1885 ; Fiabe e leggende popolari siciliane, Palermo, Il Pomerio, 1888 ; Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, in quattro volumi, Palermo, L. Pedone-Lauriel, 1889 ; Bibliografia delle tradizioni popolari d’Italia, Torino, C. Clausen, 1894; Medicina popolare siciliana, Torino, C. Clausen,1896 ; La vita in Palermo cento e più anni fa, in due volumi, Palermo, A. Reber, 1904 ; Medici, chirurgi, barbieri e speziali antichi in Sicilia (secoli XIII-XVIII), Palermo, 1910 ;  Cartelli, pasquinate, canti, leggende, usi del popolo siciliano, Palermo, A. Reber, 1913 ; La famiglia, la casa e la vita del popolo siciliano, Palermo, A. Reber, 1913 ; Grammatica siciliana, Palermo, Sellerio, 1979.
Mario Grasso