La fuga dalle foibe: così Termini Imerese accolse gli esuli

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“La città di Termini Imerese ricorda gli esuli istriani, fiumani e dalmati, accolti fraternamente in questo luogo durante gli anni tragici del secondo dopoguerra”:

nel prospetto dell’ex Caserma La Masa è affissa questa lapide, che ci ricorda come la Sicilia sia stata terra d’accoglienza: lo fu nel secondo dopoguerra, quando le conseguenze dell’esodo giuliano-dalmata si abbatterono su tutto il territorio nazionale. 
Oggi, nel “Giorno del ricordo”, dedicato alle vittime delle foibe sul confine italo-jugoslavo, questa la testimonianza dell’accoglienza termitana agli esuli che trovarono rifugio in Sicilia.
Sono trascorsi 74 anni da quando oltre mille esuli istriani, fiumani e dalmati sono arrivati in città.  Termini Imerese ha accolto con diffidenza prima e con fraterno affetto poi gli italiani arrivati dal confine più turbolento d’Italia. 
Un confine dove nel giro di pochissimo tempo si sono alternate le uniformi verdi degli italiani, quelle nere dei nazisti e infine quelle azzurre dei titini. 
Costretta dagli eventi, la quasi totalità degli italiani, che viveva in quei territori, ha scelto di lasciare tutto per rimanere italiana. Una scelta forte, dolorosa e che ha segnato per sempre la vita di questi italiani.
Hanno lasciato i luoghi natii, gli affetti più cari, il lavoro, le proprietà e vissuto un esilio mai finito.  Una volta giunti a Trieste, la loro destinazione fu uno dei 109 campi profughi presenti nel territorio nazionale.
Campi di raccolta profughi aperti su disposizione del Ministero degli Interni e sotto il controllo delle Prefetture. Strutture spesso fatiscenti e poco accoglienti. 
Gli esuli, arrivati in Italia, oltre alla scarsa vivibilità dei luoghi in cui furono accolti,  hanno dovuto, spesso, fare i conti con la ritrosia dei residenti, che li vedevano come invasori e stranieri fascisti.  
Oltre mille dei circa 300mila uomini, donne e bambini che hanno deciso di lasciare l’Istria e la Dalmazia sono arrivati a Termini Imerese.
Furono accolti al campo profughi La Masa. Uno stabile senza acqua calda, senza bagni e senza stanze.  Queste furono ricavate da tende grigie legate a fili di ferro che fungevano da pareti. Nessuna intimità, quindi, per loro, ma solo dura sofferenza. 
Termini Imerese è un luogo lontano, per tradizione e cultura, alle terre dell’Adriatico orientale, ma, nel giro di pochi mesi, il processo di integrazione fu compiuto.
I termitani hanno mostrato sin da subito il lato migliore dei popoli del Mediterraneo. L’accoglienza è stata, in tempi brevissimi, quasi perfetta. 
Gli istriani, negli anni, hanno partecipato attivamente alla vita della città, dalla pallacanestro al carnevale. 
Il campo profughi li ospitò dal 1948 al 1956, anno in cui chiuse definitamente; ai rimasti venne assegnato un alloggio popolare. 
Ancora oggi due di loro vivono a Termini Imerese: rappresentano quella continuità di rapporto che lega  indissolubilmente la nostra Sicilia alle terre d’Istria. 
Si tratta di Grazzietta Drassich, nata a Pinguente, in provincia di Pola, nella valle del fiume Quieto, I’1 settembre 1932. Nella primavera del 1945, appena finita la seconda guerra mondiale, il padre fu prelevato a casa dai partigiani titini e da allora è sparito per sempre. Soli e senza lavoro, la sua famiglia optò, dopo avere ottenuto il regolare permesso, di andare via. Era il luglio del 1949. La prima destinazione fu il Silos di Trieste, poi Udine e poi, con il treno smistati e inviati in Sicilia. Il 12 agosto 1949 giunse a Termini e, dopo 7 anni di campo profughi, ne uscì nell’estate del 1956. Mise su famiglia e una attività professionale che l’ha accompagnata alla pensione. Oggi, a 89 anni, vive serenamente tra gli affetti familiari in città.  
Orlando Sicara di anni ne ha 78: è nato a Fiume il 5 maggio 1943. Rimase orfano di madre il 28 febbraio 1945 a causa dell’esplosione di una bomba. Costretti dai titini ad andare via, si ritrovò con tutta la famiglia, nel settembre 1947 al Silos di Trieste. Smistati a Udine e infine al campo profughi di Novara, dove rimasero fino al 1961. Nel 1964, grazie a un concorso al ministero di Grazia e Giustizia, fu destinato come usciere alla pretura Termini. Arrivato in città da solo, ha messo su famiglia e continua a viverci serenamente, anche se ama dire che “non si sente siciliano, ma fiumano.” 
In realtà sono tre i rimasti a Termini Imerese. In effetti nel cimitero monumentale riposa il corpo del piccolo Nicolò Crivici, detto Pupo, nato a Cherso (isola dell’arcipelago del Quarnero a pochi chilometri di distanza dall’Istria) il 5 maggio 1946 e arrivato  in città con la famiglia nell’estate del 1949 e morto a causa di un tragico incidente (é rimasto schiacciato da una ambulanza della Croce Rossa) il 15 febbraio 1956, a soli 6 anni, all’interno del campo di raccolta profughi. 
Anche in quella occasione i termitani hanno dimostrato grande cuore. Infatti, la famiglia Badalì ha ospitato senza esitazione il corpo di Nicolò nella propria sepoltura. Da qualche anno sono io ad occuparmi di lui: è un mio fratellino aggiunto, me lo ha affidato la sorella Loretta Crivici, che vive a Trieste e con la quale ci sentiamo spesso. 
Dedico questo mio contributo a Nicolò Crivici e a tutti coloro che hanno sofferto il dolore e la tragedia della guerra.
Fabio Lo Bono