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Caccamo: dopo 31 anni di servizio va in pensione Giuseppe Rizzo, dipendente modello del Comune

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Dopo 31 anni di servizio, Giuseppe Rizzo, dipendente modello del Comune di Caccamo, si ritira in pensione. Alla festa di comitato presenti i colleghi e il sindaco, Franco Fiore. 

Niente acqua domani a Baucina, Ciminna e Ventimiglia di Sicilia: interrotta la distribuzione per mancata erogazione elettrica

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A causa dell’interruzione della fornitura di energia elettrica agli impianti di approvvigionamento ai serbatoi comunali, programmata da e-distribuzione per lavori di manutenzione, 

Termini Imerese: volontari “Plastic Free” in azione, bonificata un’area in contrada Tonnarella – VIDEO

L’esercito blu dell’associazione “Plastic Free” si è radunato questa mattina in contrada Tonnarella a Termini Imerese per bonificare un’area cola di rifiuti.

Carabinieri arrestano 3 giovani  per droga, Tribunale di Termini Imerese li convalida

I Carabinieri hanno intensificato le attività di prevenzione e contrasto allo spaccio di sostanze stupefacenti, in risposta alle segnalazioni di cittadini e residenti di Misilmeri, che indicavano il consumo di droga al dettaglio di alcuni giovani in prossimità della piazza principale del paese dove, soprattutto nel fine settimana, si concentra la movida cittadina per la presenza di alcuni locali.

Solo nell’ultimo periodo infatti, le attività di controllo hanno consentito di sequestrare circa 100 grammi tra cocaina, hashish e marijuana, di denunciare 3 persone all’Autorità Giudiziaria per il reato di “detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio” e di segnalare all’Autorità prefettizia 9 assuntori.

I militari hanno tratto in arresto 2 giovani misilmeresi, un incensurato di 27 anni e uno di 32 già noto alle forze dell’ordine, ritenuti responsabili rispettivamente della detenzione ai fini di spaccio e della cessione di sostanze stupefacenti.

Il primo veniva sorpreso dai militari in possesso di 3 dosi di hashish, pronte per la vendita, e denaro contante ritenuto frutto di precedenti cessioni, in un vicolo adiacente a Piazza Comitato 1860. I controlli venivano estesi anche all’abitazione, ove i carabinieri sequestravano un bilancino di precisione e altro materiale utilizzato per il confezionamento della sostanza.

Il secondo, invece, veniva sorpreso nell’atto di cedere quattro lamelle di hashish ad un acquirente, in cambio di denaro contante, nonostante fosse stato avvisato della presenza dei militari da un 22enne di Misilmeri, già noto alle forze dell’ordine.

Anche per quest’ultimo sono scattate le manette. Infatti, il giovane tentava prima di sottrarsi al controllo reagendo contro i militari con minacce e opponendo resistenza, per poi essere fermato ed accompagnato in caserma.

I tre giovani, su disposizione del Pubblico Ministero, venivano sottoposti agli arresti domiciliari in attesa dell’udienza di convalida. Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Termini Imerese ha convalidato gli arresti.

Incendia l’auto dei familiari a Caccamo, intervengono Carabinieri e Vigili del Fuoco

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Ha incendiato l’auto di un familiare e ha danneggiato altre due vetture di due parenti la scorsa notte a Caccamo (Palermo).

Per cause in corso di accertamento un giovane di 33 anni avrebbe dato fuoco ad una Lancia Y parcheggiata in via Orto degli Angeli danneggiando una Fiat Cinquecento e una Fiat Panda.

Sono intervenute diverse squadre dei vigili del fuoco per evitare che le fiamme si propagassero all’abitazione. Nel luogo del rogo sono arrivati i carabinieri e i sanitari del 118 che hanno preso in cura il giovane che era in forte stato di agitazione.

Termini Imerese, ennesimo tentativo per rilanciare l’ex Fiat: ci prova il patron del Catania Calcio

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E’ da oltre dieci anni che si prova a rianimare l’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese. Nel tempo si sono fatti avanti diverse società che avevano interesse ad acquisire la vasta area della casa torinese. Una buona parte erano aziende decotte o fallite il cui unico scopo era quello di mettere le mani sui soldi pubblici messi a disposizione per il rilancio dell’area. Si è assistito così a un balletto di imprenditori inventati o inetti il cui unico merito era l’amicizia con qualche politico, assessore regionale o ministro di turno che in un paese serio non sarebbero stati nemmeno invitati a un tavolo di lavoro.

Invece ne venivano decantate doti (spesso inesistenti) o grandi capacità imprenditoriali (più inventate che reali). Persone di cui bisognava solo vergognarsi e prendere le distanze, invece se ne vantavano i rapporti o le vicinanze, tranne a sminuirne la conoscenza nel momento in cui diventava pubblico l’amara e triste realtà.

Adesso il ministro Adolfo Urso durante il confronto al Mimit, ministero del Made in Italy ha comunicato l’ennesima attribuzione: la Pelligra Holding Italia si è aggiudicata la gara per la gestione della ex Blutec di Termini Imerese.

Ma nonostante i tanti tentativi andati a vuoto, che quanto meno consiglierebbero un minimo di prudenza, per i nostri politici questo è un giorno da non dimenticare. L’assessore regionale alle Attività produttive Edy Tamajo, che ha partecipato alla riunione al Mimit a Roma non nasconde l’entusiasmo: “Dopo oltre dieci anni di false promesse, l’ex stabilimento della Fiat si avvia a non essere più una cattedrale del deserto”. E ha aggiunto, ma precisando che la notizia veniva dal responsabile del dicastero romano: “Il gruppo Pelligra, stando alle parole del ministro Adolfo Urso, è specializzato nella riconversione di stabilimenti dismessi in parchi industriali. I commissari hanno esaminato dei casi di successo”. L’altro assessore regionale che interviene è Alessandro Aricò, e per non essere di meno del collega va oltre, immaginando già mega investimenti nell’area: “Abbiamo assicurato il nostro supporto per tutto quanto attiene alla logistica nella zona industriale attorno all’ex stabilimento Blutec. L’obiettivo è quello di rendere l’intera area funzionale e competitiva. Tra l’altro, attraverso il rilancio degli Interporti siciliani potremo realizzare un vero e proprio polo industriale che invogli aziende nazionali e internazionali a investire su Termini Imerese trasferendo qui le proprie attività produttive”. Insomma ci dobbiamo preparare, a prendere per buono le dichiarazioni, un nuovo eldorado.

Per la cronaca la Pelligra Holding Italia che si è aggiudicata la gara di assegnazione della ex Blutec di Termini Imerese fa capo all’imprenditore italo australiano Ross Pelligra, presidente del Catania calcio. Inoltre lo stesso è presidente del Pelligra Group Pty Ltd, un colosso australiano leader mondiale nel campo dell’edilizia e dell’urbanistica con insediamenti anche in Cina, India e Filippine. Da oltre 60 anni è coinvolta nel mercato edile-immobiliare sul piano internazionale. L’azienda si occupa di pianificare processi industriali dal valore di centinaia di milioni di dollari. La passione principale di Pelligra è lo sport. Continua è la sua espansione in tale mondo. In Australia è diventato proprietario del Perth Glory. Ha acquistato anche diversi club di calcio, tra cui l’Adelaide United, di hockey, di baseball ed è anche presente nel basket e possiede anche campi da golf. Il patron rossazzurro  è anche membro distinto del Racing City Group finanziato da Naser-Al Tamini. Ha condotto la trattativa per l’acquisizione dell’Al-Ittifaq Fc, club di seconda divisione saudita.

Che dire: speriamo che sia la volta buona. E questa nuova società non si rilevi l’ennesimo flop come i tanti che erano stati scelti per rilanciare l’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese. Invece sono letteralmente scappati… qualche volta anche con il bottino.

Truffa in danno, la Procura di Termini Imerese chiude le indagini su un cinquantenne bagherese

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La Procura della Repubblica di Termini Imerese ha recentemente chiuso le indagini nei
confronti di un cittadino residente a Bagheria, esercitando l’azione penale per il reato di
truffa in danno di diverse persone.
È giunta al suo epilogo, dunque, l’attività investigativa delegata alla Sezione di P.G.
Aliquota Polizia di Stato nei confronti di un uomo cinquantenne bagherese, già gravato da
diversi precedenti di polizia giudiziaria e arrestato anche in flagranza di reato.
L’indagine ha consentito di documentare, lungo l’arco di svariati mesi, anche attraverso
un’attività di perquisizione e di analisi del materiale sequestrato, una serie di raggiri posti
in essere dall’uomo che, utilizzando identità di persone inesistenti o appropriandosi di
identità di persone reali, si presentava come avvocato o dottore Davide SIRAGUSANO o
avv. Massimo BRUNO e, millantando un rapporto di vicinanza con esponenti politici,
riusciva a far credere a numerose persone di essere nelle condizioni di assumere personale
in varie cliniche private di Palermo.
Le vittime sono state indotte a versare una cospicua somma di denaro ad un’assistente
dell’uomo, indicata come la dott.ssa ROMANO, come un anticipo spese della loro futura
assunzione, promettendo la restituzione della somma versata con le prime mensilità dello
stipendio.
La Polizia di Stato raccomanda ai cittadini di diffidare da proposte lavorative che prevedono
l’anticipo di somme di denaro, soprattutto nelle modalità, evidentemente delittuose, come
quelle poste in essere dal cittadino bagherese, che chiedeva alle proprie vittime di
consegnare una busta contenente il denaro e i loro documenti presso agenzie di posta
private.
Non è dato escludere, infine, come l’indagato possa, in attesa dell’inizio del processo,
continuare nella sua attività delittuosa, millantando contatti e promettendo assunzioni, oltre
che in cliniche private, anche con associazioni quale “La lega del Filo d’Oro”.

Sciara: si presenta “Il perdono che guarisce” il nuovo libro di Don Leoluca Pasqua

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Tutto pronto per la presentazione a Sciara del libro “Il perdono che guarisce” di Don Leoluca Pasqua.

La presentazione avverrà giovedì 4 Aprile alle ore 21:00 in Chiesa Madre, al termine invece seguirà un momento di Adorazione Eucaristica Comunitaria. Don Leoluca è attualmente padre spirituale del Seminario Arcivescovile di Palermo, delegato Arcivescovile delle “Ordo Virginum” (Vergini Consacrate), precedentemente ha svolto il suo servizio come esorcista e vicario episcopale. Al suo attivo si contano diversi libri di Spiritualità.

Il testo

Il libro aiuta a riscoprire la bellezza e la necessità del sacramento del perdono come esperienza qualificante del proprio cammino di fede. A tale scopo offre alcune chiavi di lettura per riflettere, verificare e purificare la mente dalle molteplici idee distorte che, per abitudine e per mancanza di un’adeguata formazione, hanno inquinato e trasformato il suo significato.

Un percorso di guarigione per comprendere come la misericordia di Dio non è finita e che, lì dove arriva, ha il potere di trasformare la vita di una persona, aiutandola a ritrovare la giusta collocazione nei confronti di Dio, dei fratelli e del mondo, perché viene guarita dalla superbia e dai sentimenti di onnipotenza.

Il testo si sofferma anche sulle parti che compongono il rito, per cogliere maggiormente la sua ricchezza teologica e spirituale. Mentre a conclusione viene proposta una breve antologia di brani scelti e uno schema per l’esame di coscienza, per nutrire la meditazione e la preghiera personale e il desiderio di sperimentare sempre più l’abbraccio misericordioso di Dio Padre.

Corleone: l’architetto Anna Turco è il nuovo assessore alle Politiche Territoriali

Rilanciata l’azione politica a Corleone, l’architetto Anna Turco è il nuovo assessore alle Politiche Territoriali del comune di Corleone.
È stata nominata dal sindaco, Nicolò Nicolosi, giorni addietro ed ha già partecipato alla prima riunione di giunta.

Importante riconoscimento per “Radio Spazio Noi-InBlu200”, emittente dell’Arcidiocesi di Palermo

In base alla graduatoria delle radio comunitarie relativa al 2023 ed elaborata dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Radio Spazio Noi-InBlu2000 risulta essere la prima in Sicilia, la terza nel Meridione, la tredicesima in Italia (su 320 emittenti radiofoniche).

L’emittente dell’Arcidiocesi negli ultimi tre anni è cresciuta esponenzialmente negli ascolti rinnovando la propria offerta informativa attraverso un palinsesto in grado di far parlare le diverse realtà diocesane (alcuni uffici di area pastorale e la Caritas Diocesana sono stabilmente presenti) e le numerose realtà della città di Palermo e del territorio della provincia.

In questi anni, grazie al costante e attento sostegno dell’Arcivescovo Mons. Corrado Lorefice e degli uffici della Curia Arcivescovile, Radio Spazio Noi ha rinnovato attrezzature e apparecchiature, ha ammodernato gli studi (la cabina-audio principale è adesso una vera e propria camera acustica), ha elaborato un palinsesto che offre 6 edizioni quotidiane del GR, 4 approfondimenti giornalieri, 21 format diversi, la copertura delle più importanti Celebrazioni dell’Arcidiocesi e la collaborazione costante con il circuito nazionale InBlu2000.

Il Presidente dell’Associazione Radio Spazio Noi è il prof. Michelangelo Nasca, il Direttore Responsabile è Luigi Perollo, la redazione giornalistica è composta da Gabriella Ruiz e Gianluca Rubino, la parte tecnica è affidata a Stefania Italiano e Vame Toure; tredici i collaboratori per i diversi format.

Radio Spazio Noi sarà la radio ufficiale del Quattrocentesimo Festino in onore di Santa Rosalia e seguirà – in raccordo con l’Ufficio Diocesano per le Comunicazioni Sociali e l’Ufficio Stampa dell’Arcidiocesi – tutti gli appuntamenti dello speciale Anno Giubilare Rosaliano che si concluderà il prossimo 4 settembre.

Tre mostre, un’unica sede: la ricca proposta culturale della Fondazione Sicilia per la primavera

Allestita nella sede di Villa Zito, sarà visitabile fino al prossimo 19 maggio la mostra Le estasi di Santa Rosalia, a cura di Maria Concetta Di Natale, con il coordinamento tecnico scientifico di Sergio Intorre e la direzione artistica di Laura Barreca.

Grazie alla collaborazione con il Museo del Prado e la Real Academia de bellas artes di San Fernando, l’Arcidiocesi di Malta, la Fondazione Federico II e il Museo Diocesano di Palermo, la mostra riunisce per la prima volta immagini della santa vergine palermitana Rosalia dipinte da Anton Van Dyck, Mattia Preti, Pietro Novelli e Luca Giordano (e da altri artisti dei relativi ambiti).

Insieme ai dipinti anche alcuni preziosi elementi custoditi nella Biblioteca della Fondazione Sicilia e fatti oggetto di nuove indagini proprio con l’ occasione della mostra: fra questi una rara raccolta di incisioni datate 1629 e realizzate dai fiamminghi Philip de Mallery e Cornelis Galle su disegni proprio di Anton Van Dyck, e la raccolta di preghiere dedicate a Santa Rosalia dal padre Gesuita Domenico Stanislao Alberti: l’esemplare esposto, in tre volumi, rappresenta il terzo conosciuto al mondo oltre quelli di Oxford e Oldenburg.

Grazie ad una accurata informazione sinottica è possibile ripercorrere con rigore scientifico la storia dell’iconografia e in parallelo l’evoluzione del culto di Rosalia. Al contempo, dati la provenienza e il prestigio delle opere, la visita equivale ad un viaggio, ricco di curiosità e di particolari inediti  in luoghi più o meno lontani da Palermo: da Anversa, a Napoli, a Genova, a Madrid e persino Porto Rico, che proprio grazie ai questi maestri della pittura barocca hanno conosciuto la vicenda della vergine romita e le tributano ancora oggi una profonda devozione.

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In una altra ala del medesimo piano è invece visitabile fino al 26 maggio una mostra di recentissima apertura a cura di Cristina Costanzo dal titolo Ettore De Maria  Bergler e la ricerca della modernità con la quale anche la Fondazione Sicilia si adegua al rinnovato interesse per il gusto Liberty e l’epopea dei Florio.

Taccuini e bozzetti (quelli per le sale di Villa Igiea e per il transatlantico Giulio Cesare), una palette di tempere, una piccola tavolozza con pennelli, lettere dall’archivio dell’Associazione Artistica Culturale Ettore de Maria Bergler e naturalmente le tante opere pittoriche provenienti da collezioni private forniscono gli elementi con i quali approfondire la conoscenza di questo poliedrico protagonista del periodo a cavallo fra otto e novecento.

Presente nei principali cantieri pubblici e autore prediletto dalla committenza privata, borghese ed aristocratica, De Maria ottenne unanime consenso di critica nelle due più importanti mostre a carattere nazionale fra il 1890 e il 1912. Lo spettatore ne ricava il ritratto di un maestro che non difettava di ironia come si può intuire dalla sgangherata ‘carovana di artisti’ al seguito dell’eroe dei due mondi, firmata con lo pseudonimo di Don Tereto De Riama (insieme a Paolo Vetri anche lui celato dall’anagramma del suo nome): Il generale, cavalca, di rosso ammantato, il dorso di un asino condotto da figure di varia provenienza,  e così traduce la strana processione che lo segue nel deserto senza punti di riferimento culturale che la società contemporanea sembra essere diventata.

Legato ai Florio, al Basile, ai Ducrot, il “pittore gentiluomo” ritrae soprattutto scorci e monumenti siciliani come apparivano oltre un secolo fa, nella luce di un sole africano, sulle foci di corsi d’acqua oggi profondamente trasformati, e insieme a quelli  fanciulle del mondo contadino ma anche delle classi sociali emergenti, bellezze siciliane dell’Italia umbertina agghindate con pendants e fazzoletti di seta, i ritratti di titolati e quello (postumo) di Giovanna Florio, nudi di cocottes e nature morte, un mondo fascinoso che sembra emanare l’ultimo profumo di una Sicilia felicissima.

La mostra si completa di due ulteriori sale nelle quali è esposta la donazione Alesi Cuccio Cartaino, acquisita dalla Fondazione Sicilia nel 2008 e ricca di firme d’eccezione quali quelle di Boldini, De Nittis, Zandomeneghi, Pratella, Morelli, Signorini i Leto, Lo Iacono: una bohème tutta italiana che il pubblico può godere in una grande varietà di temi, formati e tecniche.

Una visita decisamente imperdibile per gli appassionati del periodo liberty.

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Infine, sarà ancora visitabile fino alla domenica di Pasqua. la mostra antologica inaugurata lo scorso dicembre ricorrendo il centenario della nascita del pittore Antonio Sanfilippo, che dalla natia Partanna ha guadagnato un ruolo di primo piano sulla scena dell’arte italiana del dopoguerra. A cura di Bruno Corà, la mostra, dal titolo Antonio Sanfilippo Segni, forme, sogni della pittura. Cento anni. è parte di un più ampio progetto di rete, che inizia proprio a Partanna, nella sede espositiva del Castello Grifeo, e comprende oltre a quelli di villa Zito anche gli spazi del villino Scerbi (Partanna) e quelli del Museo Riso di Palermo. Attraverso più di cento opere la mostra presenta in modo completo la figura di Sanfilippo, dai suoi esordi figurativi fino al passaggio a quel neo astrattismo di cui è stato uno dei nomi più rappresentativi insieme a Carla Accardi (che diviene sua moglie nel 1949), Ugo Attardi e Piero Consagra.

Per molti Siciliani probabilmente la scoperta di un conterraneo che ha esercitato una profonda influenza con il segno e quella visione definita dai critici “poetica”, e certo non priva di nostalgia nel ricorrente ritorno ai temi e ai tempi “dell’isola”. Come scoperta può considerarsi, d’altra parte, quella, eccezionale, degli affreschi eseguiti da Sanfilippo nel 1943 nella casa fuori Partanna di proprietà di suoi cugini, il villino della contrada Scerni, appunto: una vicenda affascinante e significativa della non sufficiente conoscenza di una parte cospicua del nostro patrimonio che abbiamo invece il dovere di tutelare e tramandare alle future generazioni.

Barbara De Gaetani

Storici pruriti: il rapporto psicologico fra uomo e parassiti

Pochi sanno, forse, della vocazione giovanile di George Washington per le lettere. Il futuro fondatore e primo presidente degli Stati Uniti d’America non disdegnava scrivere e non, come si può pensare, versi d’amore: a quattordici anni elaborò niente meno che un “galateo”, anticipando di un paio di secoli l’attuale moda del Bon Ton. Il suo Rules of Civilization (Le regole del vivere civile) conteneva però anche norme un po’ insolite per i nostri tempi: “Non si uccidono – scriveva in un capitolo – parassiti come pulci, pidocchi, zecche, ecc., davanti ad altre persone”. Il che, naturalmente, era un invito, implicito, a provvedere a certe necessità in privato. Necessità che se oggi ci appaiono orripilanti per molti secoli e sino a pochi decenni fa non lo erano affatto; tanto che si racconta che Luigi XI abbia premiato riccamente un cortigiano che gli aveva tolto una pulce dal colletto, fustigandolo quando, la seconda volta, si accorse che l’agire del suo suddito non era dettato da devota cortesia, ma da avidità.

I parassiti e i batteri, insomma, hanno sempre accompagnato l’uomo e non sono affatto associabili – specialmente i primi – ai cosiddetti tempi bui del medioevo o, tutto sommato, dei periodi immediatamente successivi, quando le scarse abitudini igieniche di Isabella regina di Spagna diedero origine a un particolare “colore” sul caffellatte, quello della sua sottoveste

Nel 1970, infatti, in piena èra atomica, un sondaggio effettuato in una scuola inglese rivelò che il 15% degli alunni era infestato dai pidocchi. E già nel 1980 l’ISTAT accertò 26.192 casi di “pediculosi delle collettività” in Italia, il che implica che le scorribande dei pidocchi non sono sicuramente retaggio del passato, tenendo naturalmente presente che i casi reali sono stati certamente molto più numerosi di quelli denunciati e riportati nell’annuario di statistiche sanitarie.

La realtà è, insomma, che i parassiti continuano tranquillamente a proliferare nel loro habitat, un sistema ecologico strettamente interconnesso a quello umano. Per non parlare di lieviti, funghi e batteri.

“La verità, per quanto spiacevole – scrive M. Andrews, autore di un simpatico “vademecum” ai parassiti che convivono con l’uomo (Amici sulla pelle, red./studio relazionale, Como, 1982) – è che ognuno di noi ha sulla pelle tanti batteri e lieviti quanti sono gli abitanti della terra; lungi dall’essere puliti dopo il bagno, scopriremmo, a contarli, che il numero degli organismi sulla nostra pelle aumenta poiché l’acqua calda li fa uscire dagli angoli e dalle fessure in cui si moltiplicano.

Osservando anche solo il dorso della nostra mano, si può comprendere che la pelle è l’habitat di una vasta flora e fauna di creature che si sono evolute con noi attraverso i millenni”.

Una convivenza, questa, che come i costumi di corte settecenteschi dimostrano, non era poi considerata particolarmente sgradevole: nella Francia dell’età dei Lumi vigevano, per esempio, regole molto rigide che impedivano di schiacciarsi i pidocchi in società, tranne che non si fosse tra amici intimi…

Senza contare i batteri e i funghi, circa 200 specie di parassiti devono passare almeno una parte della loro vita in associazione con un vertebrato e l’uomo è uno dei possibili ospiti di questa microfauna. Il che diventa ancora più comprensibile se si pensa che l’organismo umano, durante la filogenesi, è stato “colonizzato” da diverse specie di parassiti che hanno trovato in esso adeguate nicchie ecologiche. Non tutti questi microorganismi, naturalmente, sono patogeni e molti sono rimasti a lungo del tutto sconosciuti; sino a quando, per puro caso, alcuni scienziati dilettanti non hanno avuto la felice idea di scrutare questo mondo in miniatura.

Le prime ipotesi

Prima dell’invenzione dei mezzi che potenziassero l’acuità visiva (lenti d’ingrandimento, microscopi, etc.) una esplorazione obbiettiva era impossibile, anche se non mancavano le teorie sulla struttura del mondo degli insetti e dei parassiti ai quali erano accumunati. E non sempre erano teorie sbagliate: Omero nell’Iliade dice che le mosche sono pericolose in quanto possono depositare le uova nelle ferite e infettarle. È un’idea giusta, ma sarà dimenticata già all’epoca di Ovidio, il quale sosteneva tranquillamente che le vespe si generano dai cavalli morti e gli scarafaggi dalle carcasse degli asini. Anche Plinio, autore della celebre Historia Naturalis e sicuramente buon spirito scientifico, era convinto che alcuni insetti fossero generati dalla sporcizia mediante l’azione dei raggi solari, mentre gli insetti alati nascevano dalla polvere umida che si depositava negli angoli. All’epoca di Sant’Agostino, invece, si riteneva che le api nascessero dal sudore che colava dalle sopracciglia degli schiavi negri. Il problema era naturalmente quello dell’osservazione, spesso sostituita dal semplice commento alle frottole altrui, come nel caso di Mandeville che, nel quattordicesimo secolo, sosteneva di aver visto una pianta con frutti a forma di meloni contenenti un agnello. Quando i frutti maturavano e cadevano a terra, ne fuoriuscivano le zampe dell’agnello che, piantandosi per terra, originavano una nuova pianta. Inutile dire che Mandeville non aveva visto proprio nulla, ma si era limitato a prestar troppo credito alle fantasie di qualche altro autore. D’altra parte sarebbe un errore credere che queste ingenuità fossero frutto della mancanza di un genuino spirito di indagine: Bacone, uno dei fondatori del moderno metodo scientifico, sosteneva che le mosche nascono dalla paglia e dalle stuoie.

Fu intorno al XVI secolo che cominciarono a sorgere le prime ipotesi che collegavano microbi, parassiti e batteri alle malattie; o meglio, che ipotizzavano che alla base delle malattie vi fosse qualcosa di infinitamente piccolo, invisibile e patogeno. Fracastoro da Verona ipotizzò che certe malattie nascessero da semina, “semi” di morbosità, aprendo la strada alla microbiologia ante-litteram. Poi, nel 1651, William Harvey sostenne in un volume che in natura tutto nasce dall’uovo. Le basi teoriche erano state gettate, ancora senza nessuna dimostrazione, e fu in quello stesso periodo che i primi esploratori cominciarono ad addentrarsi nei territori sconosciuti della micro-ecologia.

L’olandese curioso

Furono gli Arabi a introdurre in Europa l’uso della lente d’ingrandimento, che usavano già dal nono secolo; e intorno al diciassettesimo secolo l’arte di costruire strumenti ottici per sopperire a difetti della vista si era ormai diffusa nel Vecchio Continente. Il primo ad utilizzare questa arte e questi strumenti per un “incontro ravvicinato” col mondo dei batteri e dei parassiti non fu, però, uno scienziato, bensì un commerciante olandese, Anton van Leeuwenhoek. Nato nel 1632 a Delft, in un centro fiammingo, possedeva un negozio di tessuti e di articoli per merceria, e non aveva di certo problemi economici. Tra l’altro, era anche ispettore dei vini, dei pesi e delle misure della sua città. Il suo hobby era il microscopio, uno strumento per il quale aveva una vera passione. Egli stesso ne costruì circa duecento, limando personalmente le lenti e apportando delle modifiche per potenziarli. Molava le lenti in modo talvolta bizzarro, eppure le sue modifiche tecniche non furono indifferenti: i suoi microscopi avevano lenti piccole, montate su una base di metallo e un sistema di regolazione a vite che permetteva una buona messa a fuoco; l’oggetto da osservare doveva essere tenuto sulla punta di uno spillo. Aveva costruito anche dei sistemi a 3 lenti, e la loro ridotta lunghezza focale aumentava la potenza dell’ingrandimento. Arrivò ad ottenere ingrandimenti di centosessanta (secondo alcuni persino 200!) volte il diametro, con una lunghezza focale di 5 mm. sono cifre che oggi fanno sorridere, di fronte alle mirabilie dei moderni microscopi elettronici a scansione, ma che, per quell’epoca, erano da capogiro. Con questo strumento, van Leeuwenhoek osservava più o meno tutto quello che gli capitava a tiro. Aveva una curiosità praticamente inesauribile, che si estendeva a tutto. Le sue osservazioni microbiologiche cominciarono proprio per capire un fenomeno apparentemente banale, cioè il motivo per cui il pepe aveva un gusto piccante. Lasciò ammorbidire, allora, alcuni grani di pepe nell’acqua per tre settimane e poi osservò il liquido al microscopio, descrivendo con stupore il risultato di tale osservazione: “ Vi ho visto dentro, con mia grande meraviglia, un numero incredibile di piccoli animaletti di diversi tipi”.

Erano protozoi. Naturalmente, gli risultava difficile stabilire delle misure per descrivere la grandezza degli “animaletti” che osservava, ma non per questo si perse d’animo: utilizzò come unità di misura quella di un granello di sabbia, grande in media 0,8 millimetri. Riuscì a calcolare che cento degli animaletti osservati studiando il pepe, messi in fila, non avrebbero raggiunto nemmeno questa grandezza. Altre volte, trovandosi nella necessità di servirsi di unità di misura più piccole, utilizzò l’occhio del pidocchio…

Eppure, anche con questi metodi poco “ortodossi”, van Leeuwenhoek fece scoperte che rivoluzionarono l’anatomia microscopica. Scoprì i globuli rossi umani, notandone la differenza di forma con quelli dei pesci e degli anfibi; evidenziò le striature delle fibre muscolari; descrisse l’occhio composto degli insetti e gran parte della fauna microscopica degli stagni. Ma la sua scoperta fondamentale fu quella dei batteri e dei protozoi, che nessuno prima di lui aveva descritto con tanta accuratezza, essendo stati solo ipotizzati. Anche questa, come molte altre nella storia della scienza, fu una scoperta casuale. Analizzando al suo microscopio la patina bianca che si era depositata sui denti, vide un intero popolo in movimento, “piccoli animali, più numerosi di tutto il popolo dei Paesi Bassi, che si spostavano nel modo più grazioso”. In un altro periodo storico simili scoperte sarebbero state del tutto dimenticate o, addirittura, avrebbero procurato all’ingegnoso commerciante olandese dei problemi. Invece, proprio in quel periodo si stava organizzando in Inghilterra una società scientifica su basi internazionali, la Royal society. Nel 1662 essa tenne la prima riunione, nel Gresham college. I suoi fini erano quelli di fare progredire le conoscenze scientifiche, in special modo mediante l’osservazione e gli esperimenti, e di portare ad “un ulteriore sviluppo delle scienze naturali e delle arti umane”.

Una simile istituzione (patrocinata dallo stesso Carlo II, che comunque si divertiva all’idea che esistessero persone interessate a pesare l’aria) era l’ideale per divulgare le scoperte di van Leeuwenhoek e per aprire un dibattito scientifico. Le sue osservazioni furono quindi tradotte e discusse oltre Manica. Egli divenne ben presto noto nel mondo scientifico (nel 1680 fu nominato membro della Royal Society) e anche nella buona società dell’epoca. Le signore sembra che facessero a gara nel volere osservare quelle strane creature che il microscopio ingigantiva, non senza, talvolta, reazioni poco “scientifiche”: “Molte signore perbene – scrive lo studioso olandese alla Royal Society – vengono a casa mia spinte dalla curiosità di vedere i piccoli vermi dell’aceto; ma alcune restano tanto disgustate dallo spettacolo che giurano di non usare più aceto in vita loro. Che farebbero allora se sapessero che ci sono più esseri viventi nella loro bocca che in tutto il regno?”. Probabilmente si sarebbero comportate come quella donna di servizio alla quale il batteriologo Theodore Rosebury, durante una dimostrazione per gli studenti, prelevò un campione di tartaro dentario e glielo mostrò al microscopio: la donna, impressionata, si fece cambiare tutti i denti…

Le scoperte di van Leeuwenhoek avevano delle implicazioni mediche evidenti; egli per esempio aveva notato che gli “animaletti” erano presenti in maggior quantità nelle persone che si lavavano poco i denti e che essi erano uccisi dall’aceto. Nello stesso tempo, le sue osservazioni avevano aperto la strada alla comprensione delle malattie infettive. Dopo che ebbe riportato le sue osservazioni sulle creature che vi erano in una goccia d’acqua (calcolò che fossero circa 8 milioni), sulle Philosophical Transactions della Royal Society, un altro corrispondente aveva osservato: “Tali scoperte sono un po’ troppo curiose e possono indurci a pensare che anche l’aria sia infestata da questi vermetti, e soprattutto durante i periodi di bonaccia, o quando spirano i venti dall’est, o in primavera quando vi è umidità nell’aria, e insomma in tutte le stagioni di maggior incidenza di infezioni nell’uomo e negli animali”. La lettera fu dimenticata, ma l’intuizione che conteneva era esatta. Leeuwenhoek fece numerose altre scoperte (per esempio quella degli spermatozoi: nel comunicarla a Henry Oldenburg, segretario della Royal Society, si scusò però della sgradevolezza dell’argomento…) e perfezionò l’uso del microscopio: sembra che abbia scoperto il sistema di illuminazione su fondo scuro, il che gli consentì osservazioni che per più di un secolo e mezzo rimasero insuperate. Lasciò in eredità alla Royal Society ventisei microscopi montati in argento, contenuti in una speciale cassa per trasportarli agevolmente, e ognuno dei quali con un esemplare diverso. Naturalmente, andarono persi, ma gli studiosi inglesi ebbero l’accortezza di smarrirli dopo aver misurato la potenza d’ingrandimento delle lenti. Si apriva l’era della microscopia.

I successori

Gli studi di Leeuwenhoek influenzarono la concezione della natura della sua epoca. Tra gli altri impressionarono anche la fantasia di Jonathan Swift, che descrisse il suo Gulliver, caduto in mano ai Lillipuziani, con l’accuratezza di un microscopista, mettendone in evidenza gli aspetti più insoliti:”…mi confessò che la mia faccia era una vista davvero disgustosa. Disse che sulla mia pelle gli apparivano fori larghissimi, e che i peli della mia barba erano dieci volte più grossi delle setole di un cinghiale, e il colorito veramente spiacevole”. E quando incontra i pidocchi di Brobdingnac ne descrive le varie parti del corpo, che vedeva “molto meglio che quelle di un pidocchio europeo attraverso il microscopio”. Insomma col microscopio era cambiata un’epoca. Anche se il merito fondamentale fu del modesto e laborioso commerciante-scienziato fiammingo, i suoi studi vennero presto affiancati da quelli di altri scienziati. Che  Kircher, per esempio, che insegnava filosofia nell’Università di Wurzburg, aveva esaminato il sangue di appestati, trovandovi “innumerevoli grovigli di piccoli  vermi, non visibili a occhio nudo”. Naturalmente, egli non aveva scoperto i bacilli della peste, perché le lenti che usava nell’osservazione non erano tanto potenti, bensì globuli rossi impilati. Comunque aveva dedotto che le malattie contagiose fossero trasmesse da organismi microscopici. Sembra comunque che il primo in assoluto ad aver utilizzato il microscopio in medicina sia stato Pierre Borel, medico di Luigi XIV, autore nel 1655 del Centuria Observatorum Microscopiarum, un volume che descrive tra l’altro minuscoli insetti presenti nell’aria che causerebbero la peste e dei “vermi” nel sangue degli appestati. Si tratta probabilmente delle prime evidenze della connessione tra microbi e malattie. Sempre tra i contemporanei di van Leeuwenhoek, bisogna ricordare Jan Swammerdam, autore di un’opera iconograficamente stupenda, pubblicata postuma, Bybel deer Nature, la Bibbia della natura, che riporta le sue osservazioni microscopiche. O Robert Hooke, microscopista inglese autore di una celebre e raffinata Micrographia, e coniatore del termine “cellula” derivato dalle sue osservazioni sulla struttura del sughero. Insomma tra il Sei e il Settecento numerosi pionieri aprirono la strada dell’esplorazione microscopica.

Eppure per trovare le prime applicazioni pratiche di queste scoperte alla biologia e alla medicina bisognò aspettare il XIX secolo, esattamente sino al 1839, quando Matthias Jacob Schleiden e Theodor Schwann enunciarono la “teoria cellulare”, poi elaborata da Goodsir e Virchow, che rappresenta uno dei cardini della moderna biologia. Per quanto riguarda invece più strettamente la batteriologia e la parassitologia, bisognò attendere che Pasteur dimostrasse l’esistenza di queste microscopiche creature e il loro ruolo nelle infezioni. Da allora in poi, la storia dei batteri e dei parassiti è ampiamente nota. Meno note sono, forse, le implicazioni psicologiche che ebbero su Pasteur le sue stesse scoperte. Il celebre scienziato che riuscì a mettere in relazione i “vermetti” di Leeuwenhoek con le malattie, sviluppò una morbosa preoccupazione per la sporcizia e le infezioni. Evitava, per esempio, di stringere la mano per paura di contrarre qualche morbo infettivo. Prima di accingersi a pranzare puliva accuratamente piatto e bicchiere col tovagliolo ed esaminava scrupolosamente il pane per toglierne eventuali corpi estranei “contaminanti” (fili di stoffa, resti di insetti, e via dicendo).

E non è detto che vi fossero realmente. “Cercavo anch’io – racconta un suo assistente – nella mia porzione che proveniva dalla stessa pagnotta i corpi estranei che Pasteur trovava, ma non scoprivo mai nulla”.

Da Pasteur in poi uno degli obiettivi fondamentali della medicina è stato la realizzazione di metodi di antisepsi e disinfestazione sempre più efficaci. Se questo ha avuto indiscutibili effetti positivi sulle condizioni igieniche e sanitarie, ha anche avuto una conseguenza negativa: quella cioè di annientare indiscriminatamente un intero sistema ecologico che non sempre è patogeno per l’uomo. Basta pensare ai deleteri effetti del DDT o ai fenomeni di resistenza agli antibiotici evidenziati in numerose specie batteriche. Probabilmente l’ossessione dell’asepsi e della disinfestazione più radicale è dovuta al senso di disgusto che si prova al pensiero di avere addosso milioni di animaletti microscopici e brulicanti.

Talvolta questo senso di disgusto assume le caratteristiche di un disturbo psichiatrico (come nel caso dell’entomofobia, o paura degli insetti, o nel caso della paura di essere “infetti”, un chiaro sintomo ossessivo), ma a parte questi casi estremi il nostro rapporto con microbi e parassiti è mediato dalla cultura dominante in un dato momento storico; ora si inorridisce per fatti che, all’epoca di Washington, erano considerati normali, come la banale presenza di pidocchi nell’incipriato crine di una dama.

D’altra parte, l’idea di sterminare tutti i batteri e i parassiti è, oltre che assurda, fantascientifica: nel 1971 gli astronauti dell’Apollo 12 recuperarono una macchina fotografica lasciata sulla Luna due anni prima. Gli scienziati di Houston scoprirono che era ancora contaminata dagli stessi batteri terrestri che la abitavano prima del viaggio spaziale e dei due anni di permanenza sul satellite, ai quali erano sopravvissuti. Batteri e parassiti, infatti, sono specie resistenti e antichissime. Come afferma il più antico poema in lingua inglese (On the antiquity of parasites, Sull’antichità dei parassiti) “Adamo li aveva”. E anche noi, nell’ era dei computer, continuiamo ad averli.

Giovanni Iannuzzo

“Occhi” antichissimi per approdi eroici oltre la percezione ordinaria

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Il “trofeo taurino” rimovibile del tempietto tholoide da Monte Jato, in uso alla fine del VI sec. a.C. (Fig. 1), ci da la certezza filologica di genealogie antichissime che associano ambienti di culto a tholos, usi funerari, ritualità misterica per il post-mortem ed architetture ipetrali, a quella particolare “figura” ancestrale. Un intrigante reperto ceramico di “stile Polizzello-Sant’Angelo Muxaro” esposto al Museo Archeologico di Marianopoli si presta a considerazioni vertiginose. E’ il “Vaso con protome taurina” (VII sec. a.C.) (Fig. 2) che colpisce per l’inquietante sguardo “allucinante” con occhi decorati a cerchiatura concentrica e pupilla vistosamente dilatata (Fig. 3, particolare). Oltre noi, chi e cosa guarda, cosa deve “vedere”? Domanda che non può avere risposte certe ma che si ripropone in maniera simmetrica e spettacolare negli “occhi cerchiati” dei misteriosi Giganti di Mont’e Prama, in Sardegna, (circa X sec. a.C.) (Fig. 4). Questi “occhi” portano a intriganti ragionamenti per approdi a stati di coscienza “sottile/altra” dalla percezione ordinaria; per accedere al piano germinativo e archetipale della realtà.

Il grande J. L. Borges nella sua poetica cecità visionaria ce ne racconta un brano ne “La Casa di Asterione”. Asterione è il nome del Minotauro. …Tutte le parti della casa si ripetono, qualunque luogo di essa è un altro luogo. … La casa è grande come il mondo. … raggiunsi la strada e vidi il tempio delle Fiaccole e il mare. Non compresi, finché una visione notturna vi rivelò che anche i mari e i templi sono infiniti. Tutto esiste molte volte, infinite volte; soltanto due cose al mondo sembrano esistere una sola volta: in alto, l’intricato sole; in basso, Asterione. Forse fui io a creare le stelle e il sole e questa enorme casa, ma non me ne ricordo. Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini, perché io li liberi da ogni male….. La cerimonia dura pochi minuti. Cadono uno dopo l’altro, senza che io mi macchi le mani di sangue. …Ignoro chi siano, ma so che uno di essi profetizzò, sul punto di morire, che un giorno sarebbe giunto il mio redentore. … Come sarà il mio redentore? Sarà forse un toro con volto d’uomo? O sarà come me? Il sole della mattina brillò sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue. ‘Lo crederesti, Arianna?’ disse Teseo. Il Minotauro non s’è quasi difeso”.

Il seguito leggendario è la fuga di Dedalo dal Labirinto, il suo approdo fortunoso in Sikania, la caccia del Minos/Re del Mondo/Minosse per riprenderselo, la morte e deposizione del Minos nella chora di Kamikos in una grandiosa Tomba/Tempio/Santuario, che le fonti danno per certa ed ubicata da qualche parte nell’entroterra della Valle del Platani, verso Himera….

Per la nostra indagine sulla “Via della Thòlos” ritorna quindi dalla narrazione mitica la realtà del posizionamento geopolitico e strategico, fra il Canale di Sicilia e la costa del Tirreno, degli Ipogei della Gurfa di Alia.

Carmelo Montagna