I “Pilèri”: sculture naturali rupestri nel territorio di Termini Imerese

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Il lemma siciliano Pilèri, che significa ‘pilastro’, è documentato sin dal XIII secolo, come sottolineato dal compianto studioso Alberto Vàrvaro (Palermo, 13 Marzo 1934 – Napoli, 22 Ottobre 2014), poliedrica figura di filologo e sociolinguista (cfr. A. Vàrvaro, Problematica dei normannismi del siciliano, in “Atti del congresso internazionale di studi sulla Sicilia normanna”, 4-8 Dicembre 1972, Istituto di Storia medievale dell’Università di Palermo, Palermo 1973, pp. 360-372).

Voci similari al detto lemma, con la comune matrice dal latino pīla, pīlae ‘pila’, ‘pilastro’, sono presenti in area europea sovraregionale, essendo attestate nei seguenti ambiti: anglo-normanno (piler, donde l’inglese pillar, cfr. W. Rothwell, S. Gregory, D. Trotter,  Anglo-Norman Dictionary, Anglo-Norman Text Society/ The Modern Humanities Research Association, London 1977-1992; 2000-2022, on-line all’indirizzo https://anglo-norman.net/entry/piler); francese antico (XI sec.), francese e provenzale (piler/pilier, cfr. W. von Wartburg, Französisches Etymologisches Worterbuch. Eine Darstellung des galloromanischen Sprachschatzes, Bonn-Leipzig-Basel, Klopp, Teubner, Helbing & Lichtenhahn, 1928-1948, 25 voll., 1928, vol. 8, pp. 492-493, on-line all’indirizzo https://lecteur-few.atilf.fr/); castigliano e catalano (pilar, cfr. A. M. Badia i Margarit, Diccionari català-castellà. Complementat amb un vocabulari de noms patronímics, Arimany, 1965, 536 pp., in particolare, p. 395). Ricordiamo che in Spagna, Pilar è anche il titolo mariano più importante, ed il culto della Vergine dà vita ad una grande festa religiosa, il 12 Ottobre, che coinvolge l’intera hispanidad, cioè la Spagna e tutte le nazioni di lingua e cultura spagnola. Il titolo prende nome dalla basilica di Nuestra Señora del Pilar o Virgen del Pilar (“del pilastro”, in latino «de Columna, vulgo del Pilar») in Saragozza (l’antica Caesaraugusta). Il detto santuario (in latino Sancte Mariae de Pilari Caesaraugustanae), secondo una vetusta e consolidata tradizione agiografica, fu originariamente edificato dall’apostolo S. Giacomo Maggiore, per desiderio della Vergine stessa, ancora vivente, a lui comparsa in quel luogo sopra un pilastro litico (pilar, donde il titolo mariano), il 2 gennaio del 40 d. C. All’inizio della navata centrale è sita la “santa cappella”, dove si venera il simulacro della Santa Vergine (sec. XIV) nell’atto di tener tra le braccia il Bambino Gesù, così come avvenne nella predetta apparizione mariana.  La statua della Vergine col Bambino sorge sul Pilar, quasi interamente ricoperto di bronzo e d’argento (cfr. J. B. de Lezana, Columna immobilis seu De antiquissima, & continua Cathedralitate Angelicæ, Apostolicæ & miraculosæ Ecclesiæ S. Mariae Majoris de Columna Cæsaraugustanæ, Dissertatio, Phei, Romae M. DC. LV., X+225+XXIII pp.; J. M. March, Nuestra Señora del Pilar, “The Catholic Encyclopedia”, Robert Appleton Company. New York 1911, http://www.newadvent.org/cathen/12083b.htm). Per questo, Pilar è un nome femminile devozionale, che continua ad avere una notevole diffusione in tutta la Spagna (soprattutto in  Aragona), nonché in America Latina, segno tangibile della diffusione della venerazione alla Nuestra Señora del Pilar o Virgen del Pilar, vera colonna portante e guida della famiglia.

Il lemma siciliano Pilèri, designa soprattutto i segnacoli confinari tra terreni, sia artefatti, sotto forma di elementi litici lavorati a foggia di pilastri, sia come semplici cataste di rocce raccolte dal terreno. Oltre a ciò, per similitudine, è utilizzato come geotoponimo, con un significato geomorfico, relativo a forme del paesaggio costituite da rilievi torreggianti e da veri e propri pilastri naturali di roccia.

In base alle varie forme, nella letteratura geologica troviamo diverse designazioni: “pilastri di roccia” (rock pillars), “torri di roccia” (rock towers),  “pinnacoli di roccia” (rock pinnacles),  “guglie di roccia” (rock spires). In alcuni casi, l’aspetto di tali forme richiama quello dei ruderi, donde la denominazione dirilievo ruiniforme” (cfr. P. Migoń, F. Duszyński, A. Goudie, Rock cities and ruiniform relief: Forms – processes – terminology, “Earth-Science Reviews”, 171, 2017, pp. 78-104).

Focalizzando sui Pilèri come forme del paesaggio geologico, che si ergono come silenti vedette, abbiamo degli esempi spettacolari di questi geopatrimoni, quanto mai sconosciuti, vere e proprie sculture naturali rupestri, proprio nel territorio di Termini Imerese. Dall’autostrada Palermo-Catania (A 19), provenendo dal capoluogo siciliano, appena superato il Ponte Sicilia che scavalca ortogonalmente la pittoresca gola del Fiume San Leonardo (località Rocca Rossa), sulla sponda destra del corso d’acqua, appaiono in tutta la loro lapidea bellezza i Pilèri, veri e propri pilastri di roccia calcarea, alti e stretti in larghezza, che innalzandosi fino a c. 27 m di altezza danno vita alla denominazione della contrada omonima.  A monte dei Pilèri si snodano i tornanti della strada statale n. 285, nel tratto Termini-Caccamo, con l’amena località “Acqua di Scillato”, alquanto frequentata ai tempi della nostra infanzia per la presenza di una fontana pubblica che era alimentata dalla condotta dell’Acquedotto di Scillato che attraversa la contrada. Queste pittoresche forme si ergono in corrispondenza delle bancate calcaree del Giurassico superiore  (note nella letteratura geologica con il nome di brecce ad Ellipsactinia, Formazione Crisanti, dominio Imerese), che affiorano sulla sponda destra del S. Leonardo. I Pilèri esibiscono un notevole valore estetico, educativo, scientifico, ed ecologico. Dal punto di vista geomorfologico, appaiono sia come alti e massicci pilastri a base approssimativamente quadrangolare, con pareti  sub-verticali o verticali, talvolta a strapiombo, sia come cuspidi a base grossolanamente quadrangolare o triangolare. Si tratta di porzioni di roccia in situ che alla loro base risultano collegate all’affioramento principale. Sono pure presenti dei blocchi calcarei, di varie dimensioni, sparsi intorno alle elevazioni.

In prima istanza, lo sviluppo degli imponenti e slanciati Pilèri, è strettamente correlato alla presenza di una maglia di discontinuità tettoniche che, suddividendo la roccia calcarea, ha creato delle zone di debolezza sulle quali hanno agito gli agenti esogeni, producendo il progressivo isolamento di porzioni di roccia. Non è da escludere la possibilità che, trattandosi di rocce calcaree lapidee, fratturate, stratigraficamente poggianti su argilliti silicee e selci stratificate del Giurassico inferiore-medio (Formazione Crisanti, dominio Imerese), la genesi dei Pilèri possa essere legata a lenti fenomeni di deformazione gravitativa profonda di versante (DGPV; nella letteratura anglosassone Deep seated gravitational slope deformations DSGSD, cfr. F. Dramis, M. Sorriso-Valvo, Deep-seated gravitational slope deformations, related landslides and tectonics. “Engineering Geology”, 1994, 38, 3–4, pp. 231–243; D. M. Cruden, D. J. Varnes, Landslide Types and Processes, in A.K. Turner, R.L. Schuster (£ds.), Landslides: Investigation and Mitigation,  Transportation Research Board, National Academy of Sciences, Special Report 247, Washington, DC 1996, pp. 36-75). Questi fenomeni, infatti, favoriscono l’allentamento della maglia di fratture, suddividendo la roccia calcarea in blocchi di dimensioni variabili, che tendono ad allontanarsi reciprocamente. Bisogna tenere conto, però, che morfologie identiche possono essere il risultato di processi differenti che possono portare ad un’apparente somiglianza nelle forme prodotte. Se questa ipotesi dovesse trovare conferma, a seguito di successive indagini più approfondite, nonostante l’evoluzione molto lenta di tali fenomeni, questi ultimi non andranno trascurati nella definizione dell’instabilità dei versanti e relative implicazioni di pericolosità, soprattutto per il loro potenziale impatto sulle strutture contermini (ad es. rete autostradale ed acquedottistica).

Sin dal 1868 troviamo riscontri nella letteratura scientifica siciliana del toponimo termitano Pilèri.

Il naturalista termitano Saverio Ciofalo Geraci (1848-1925) fu una poliedrica figura di studioso, come attesta la sua produzione scientifica che spazia dal campo delle scienze naturali (geologia stratigrafica, paleontologia, malacologia, entomologia, meteorologia etc.), a quello della paletnologia, dell’archeologia e della museologia (cfr. P. Bova, A. Contino, Termini imerese, Saverio Ciofalo primo scopritore in Italia del rettile marino cretaceo nella Rocca del Castello, “Esperonews”, Giovedì, 23 Settembre 2021, on-line in questa testata giornalistica).  Il Ciofalo, nella sua Topografia di Termini-Imerese e suoi dintorni (Perino, Palermo 1868, 58 pp.), a pagina 16, ebbe a scrivere:  «Dalla parte di Owest [sic] della città discendendo a sinistra della strada consolare che conduce a Palermo, si osservano le ubertose contrade del Mazzarino, Bevuto e Puleri, presentando anch’esse il terreno marnoso e in qualche parte coverto [sic] di quello di alluvione». Successivamente, con la grafia Pulèri egli ebbe ad indicare anche la «caverna» (detta anche Marfisi, dal cognome del proprietario del podere in cui ricadeva), frequentata dal Paleolitico superiore all’età del Bronzo. Il sito preistorico fu scoperto dal solerte sac. Carmelo Palumbo, ma fu investigato proprio da Saverio Ciofalo: «La caverna Puleri, che il Sacerdote Palumbo volle chiamare Necropoli, esiste in un podere di proprietà del Signor Marfisi a tre Chilometri da Termini-Imerese nella direzione del Sud-Ovest su di una amena collina, che ne porta il nome. Consiste in un’unica stanza, che ha la forma di un’ellisse: è lunga m. 10, larga m. 4; alta metri 3,80». Ciofalo rimase particolarmente colpito dal fatto che vi fosse «troppa abbondanza di oggetti fittili», ubicati ad «una profondità non maggiore di 0,90 m» (cfr. S. Ciofalo, Notizie su di una caverna sepolcrale, in G. Vimercati, a cura di, “Rivista scientifico-industriale delle principali scoperte ed invenzioni fatte nelle scienze e nelle industrie”, VII, Novembre-Dicembre 1876, Gazzetta d’Italia, Firenze 1876, pp. 364-368). Agli inizi del Novecento, il paletnologo termitano Giuseppe Patiri  (1846 – 1917), si occupò dei reperti preistorici di questa grotta che egli ubica «in contrada Pileri» (cfr. G. Patiri, Le grotte Geraci e Marfisi e le note nuove che rivelano nel loro materiale preistorico,  “Archivio Storico per la Sicilia Orientale”, X, fasc. I-II, Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale, Giannotta, Catania 1912, pp. 381-389, in particolare, p. 386). Tre anni dopo, il paletnologo Corrado Cafici (Vizzini, 1856 – ivi, 1954), scriveva: «Al di là di questa collina [montagnola Rocca], separata da un’amena valletta, ne sorge un’altra detta Cozzo Puleri, nel cui fianco occidentale [sic] si trova la grotta denominata Puleri o Marfisi» (cfr. C. Cafici, Contributi allo studio del neolitico siciliano, Tipografia federale, Parma 1915, 46 pp., nello specifico, p. 4).

La cavità carsica, tuttora visibile, ha come volta le ripide bancate dolomitiche bianco-grigiastre (Formazione Fanusi, Liassico inferiore per posizione stratigrafica), che costituiscono la sommità del rilievo e, come piano di posa, l’orizzonte delle marne rossastre che marca la sommità dei calcari con selce (Formazione Scillato, Triassico superiore) e che funge da livello impermeabile, tra i due acquiferi in rete di fratture.

La «caverna» si apre, alla quota di c. 305 m s.l.m., sul fianco orientale di un rilievo calcareo-dolomitico, ed è raggiungibile, dopo una breve ascesa, dal km 5,207 della statale 285. La cima del rilievo in questione, nella cartografia ufficiale dell’Istituto Geografico Militare (d’ora in poi IGM),  è indicata con una curiosa grafia dell’oronimo: Cozzo Pidèri (338 m s.l.m.), già attestata negli anni 90’ dell’Ottocento, evidente storpiatura di Pilèri.

Nella cartografia ufficiale IGM e nella più recente Carta Tecnica Regionale della Regione Siciliana (d’ora in poi CTR), il toponimo oggetto della nostra ricerca, designa anche il rilievo di Monte Pilèri (378 m s.l.m.), anch’esso calcareo-dolomitico, che si erge nettamente dal paesaggio circostante, a breve distanza dal km 6 della precitata statale 258.

Abbiamo effettuato una dettagliata ricerca relativa alla toponomastica, tenendo conto sia della cartografia pre-unitaria, edita durante il dominio borbonico, sia di quella post-unitaria, da cui emerge che nel corso del tempo, non sono avvenute solo variazioni fonetiche e grafiche, ma riteniamo che si è avuta una vera e propria sovrapposizione, che qui evidenziamo per la prima volta.

Nella Carta Topografica della Regione di Palermo levata dal Reale Officio Topografico di Napoli, Foglio 15, Trabia – Caccamo (1849-1852), il rilievo attualmente designato come Monte Pilèri, è l’unico dotato di oronimo: Monte Piliero, mentre l’attuale Cozzo Pidèri appare soltanto quotato e privo di designazione. Ricordiamo che il detto Officio Topografico di Napoli aveva il compito istituzionale di realizzare le cartografie che riguardavano principalmente i territori soggetti al dominio borbonico (per ulteriori approfondimenti, cfr. F. Visconti, Notizia intorno al Reale Officio Topografico di Napoli ed ai lavori in esso eseguiti, “Annuario Geografico Italiano pubblicato da Annibale Ranuzzi”, I, Rusconi, Bologna 1844, pp. 19-27).

Nella cartografia ufficiale IGM degli anni 90’ dell’Ottocento, invece, appare l’oronimo Monte Frappilèo, poi scomparso nelle edizioni successive, determinandone la conseguente perdita di memoria storica. Il toponimo originario era quello di Monte di Fra Appulèo/Apulèo o Pulèo/Pulèio, che prendeva nome da un frate di tale cognome. Del resto, una casata nobiliare cognominata Puleo o Puleyo/Puleio (aferesi di Apuleio, latino Apuleius o Appuleius, ‘abitante dell’Apulia, attuale Puglia) è documentata a Termini Imerese sin dalla fine del Cinquecento e fiorì anche nel Seicento. Il 14 Settembre VIII Indizione 1654, il sacerdote Don Francesco Puleyo di Termini Imerese stipulava un contratto con un certo Antonino La Mantia fu Giacomo, suo concittadino, il quale si obbligava con detto prelato a servirlo come bovaro e custode della mandria di tredici buoi (servicie pro bogario et custodire eius tresdecim boves, cfr. Archivio di Stato di Palermo, Sezione di Termini Imerese, d’ora in poi ASPT, fondo notai defunti, atti di notar Leonardo Iacino di Termini Imerese, vol. 13390, 1654-55, f. 28).

L’antica denominazione, del resto, non è scomparsa e persiste ancor oggi a livello dialettale (Frappulèu/Frappilèu/Frappulèriu o, addirittura, Frappuliù/Frappuliò). Da notare che sin dal Cinquecento è attestata la grafia Apulerio invece di Apuleio, in relazione allo scrittore latino di origine africana (cfr. ad es. Antonio de Guevara, Institutione del prencipe christiano, tradotto di spagnuolo in lingua toscana per Mambriano Roseo da Fabriano, Bolietta, M. D. XLV., 179 ff., in particolare, f. 20v; S. Simonius, Artificiosa curandæ pestis methodus libellis duobus comprehensa, Steinman, Lipsiae 1576, XVI+137+VII, in particolare, p. 108).

Appare plausibile, quindi, ammettere che sia sorta facilmente la sovrapposizione tra i due distinti oronimi Fra Pulèu/Pilèu/Pulèiu/Pulèriu e Pilèri. Del resto, il Ciofalo, come abbiamo visto, nei suoi scritti attestava proprio la grafia Pulèri.

Si sono così perpetuate, a livello toponomastico, confusioni e sovrapposizioni che hanno avuto ricadute non indifferenti nelle cartografie anche ufficiali, errori  che, finalmente, riemergono solo adesso, grazie alle nostre ricerche.

Un ulteriore pilastro di roccia, dell’altezza di c. 34 m, si erge  a tergo della mulattiera che, partendo dalla statale 258, attraversa la contrada Chiusa (toponimo assente nella cartografia ufficiale, che prende nome dalla presenza della chiusa comunale dove sin dal tardo medioevo venivano custoditi gli armenti dispersi).

Il fianco occidentale del già citato Cozzo Pidèri appare affetto da processi di instabilità, profondi e lenti, che hanno portato al rilascio tensionale, e distensione di porzioni dell’affioramento roccioso carbonatico sommitale, ampiamente interessato da fratture. Esso, infatti, appare interessato da lenti fenomeni di deformazione gravitativa profonda di versante (DGPV; Deep seated gravitational slope deformations DSGSD), ai quali troviamo associati scivolamenti, ribaltamenti e crolli di roccia, che rappresentano la progressiva evoluzione di una complessa instabilità del versante. Questi imponenti fenomeni, originano un lento movimento gravitativo del versante, in direzione dell’alveo fluviale, che coinvolge spessori di roccia di ordine decametrico ed è evidenziato da frequentissimi segni morfologici, quali scarpate, creste doppie, trincee, fessure di trazione etc., ma anche da blocchi rocciosi (block slides), anche particolarmente voluminosi, coinvolti nel movimento. I blocchi rocciosi di maggiori dimensioni sono in gran parte costituiti da calcari ben stratificati a liste e noduli di selce (Formazione Scillato, Triassico superiore). Questi ultimi, che affiorano in situ nella scarpata occidentale del Cozzo Pidèri,  poggiano stratigraficamente su una successione di argilliti grigie, alternate a strati di calcari marnosi, passanti in basso ad argilliti grigio verdastre che si alternano a strati di arenarie rosso-verdastre, ricche di granuli di quarzo e di minerali micacei (Formazione Mufara, Triassico superiore). Questi  livelli argillosi, verosimilmente, costituiscono la superficie di scorrimento lungo la quale avviene il lento movimento dei sovrastanti corpi calcarei stratificati e fratturati. Quindi, i principali fattori predisponenti nell’innesco di tali fenomeni in questo sito, comprendono la litologia, la stratigrafia e l’assetto morfotettonico di questi rilievi. Questi fenomeni, a nostro avviso, si sono evoluti insieme a importanti cambiamenti geomorfologici, quali l’erosione e l’approfondimento della valle, l’incisione della rete di drenaggio dei versanti etc. L’incisione del fiume San Leonardo, in particolare, approfonditasi soprattutto durante l’ultimo evento glaciale, rappresenta il fattore di controllo dinamico sul continuo sviluppo della deformazione, a causa del progressivo deconfinamento laterale del fondovalle.

Tutte queste peculiari forme rocciose dei Pilièri, alcune delle quali hanno seriamente rischiato di essere travolte e distrutte per sempre, in occasione della definizione del tracciato dell’autostrada Palermo-Catania, senza dubbio alcuno esibiscono un elevato valore paesaggistico e geologico-geomorfologico, rappresentando un esempio di grande valenza iconica, da osservare dal vero nella loro tangibile tridimensionalità. Esempi dotati di una notevole forza comunicativa proprio per i non addetti ai lavori, visto che destando curiosità ed interesso possono avvicinare il pubblico alla vastità ed alla molteplicità del grande patrimonio geologico italiano, da proteggere e valorizzare opportunamente.

Questa nostra ricerca è il primo tassello per far conoscere i poliedrici aspetti geoturistici dell’area studiata, che potrebbero rivelarsi uno strumento notevole per lo sviluppo economico e scientifico del Termitano. Quest’ultimo, infatti, presenta una notevole varietà di potenziali geositi, elementi di pregio scientifico, paesaggistico ed ambientale, che costituiscono una risorsa in grado di dare linfa a nuove forme di crescita socio-economica, specialmente dal punto di vista geoconservativo e geoturistico. Pertanto, riteniamo che i Pilèri andrebbero opportunamente protetti, sottoponendoli a vincolo, visto il notevole potenziale turistico come monumenti naturali nell’ambito del geoturismo, un turismo  “alternativo” e “sostenibile”, orientato verso gli aspetti culturali e di cognizione del territorio.

Attraverso i risultanti di questa nostra ricerca, desideriamo fare opera di sensibilizzazione, informando e rendendo consapevoli i nostri cittadini e le autorità competenti, di avere un territorio che esibisce diverse risorse naturali, sinora pressoché dimenticate, che abbiamo il dovere di tutelare, monitorare, per trasmetterle alle generazioni future e, eventualmente, gestirle opportunamente. La gestione potrebbe avvenire attraverso l’individuazione di specifici itinerari geologico-paesaggistici da percorrere per poter apprezzare la geodiversità, cioè la varietà o la diversità delle rocce, delle loro forme e dei processi in ambito geologico, che le hanno plasmate nella scala dei tempi, per l’appunto, geologici. Itinerari geologici che potranno essere di supporto anche all’attività didattica per gli studenti di scuole di ogni ordine e grado, per far loro acquisire ed affinare nel tempo la capacità di lettura in chiave geologica del paesaggio e della sua decodificazione secondo gli approcci ed i metodi delle Scienze della Terra. La notevole variabilità morfologica, legata alla storia geologica che ha portato alla formazione dei Monti di Termini Imerese-Trabia, a loro volta importante segmento dell’Appennino siculo (catena Appenninico-Maghrebide), nel più ampio contesto delle catene circum-mediterranee, ha originato una ampia varietà di peculiarità geologiche, purtroppo, ancora in gran parte sconosciute, anche perché manca una impostazione culturale geologica “di massa”, nonostante la presenza di diversi divulgatori scientifici nell’ambito dei mass-media. Purtroppo, ancora stenta a diffondersi una cultura consapevole della grande valenza del territorio e, in particolare, dei suoi beni storici e naturali.

Inoltre, appare cruciale dal punto di vista scientifico, migliorare la conoscenza dei tassi di evoluzione nel tempo dei geopatrimoni, visto che i medesimi meccanismi, che hanno originato i geomorfositi,  potrebbero nel futuro produrre la loro degradazione, se non addirittura la loro distruzione (cfr., ad es., M. Pelfini, I. Bollati, Landforms and geomorphosites ongoing changes: concepts and implications for geoheritage promotion, “Quaestiones Geographicae”, 33, 2014, pp. 131-143).

Il caso di studio rappresentato dai Pilièri, appare emblematico di come il territorio di Termini Imerese, esibisca una notevole e peculiare geodiversità. Questa geodiversità (che è patrimonio comune dell’intero comprensorio del Termitano e delle Madonie) dagli elevati valori (scientifici, turistici, naturali ed estetici) suggerisce come questo settore siciliano offra elevate potenzialità geoturistiche, la cui promozione potrebbe rendere i geoturisti edotti dei processi geologici e dell’importanza della conservazione del patrimonio geomorfologico.

Anche in questa nostra indagine abbiamo proficuamente applicato un approccio intradisciplinare, interdisciplinare e multidisciplinare. Tale metodo d’indagine, ha altresì permesso di mettere in luce come il complesso lavoro di vaglio critico del corpo delle fonti documentarie, archivistiche, cartografiche e orali, riferite all’area oggetto di ricerca, attraverso incrociate comparazioni e integrazioni, sia imprescindibile per una corretta e necessaria esegesi della toponomastica, scoprendo così la plausibile sovrapposizione degli oronimi Fra Pulèo e Pilèri, che ha dato esito a Pulèri.

Patrizia Bova e Antonio Contino

Ringraziamenti: vogliamo palesare la nostra più sincera gratitudine, per l’essenziale supporto logistico nelle nostre ricerche e per la consueta disponibilità, al direttore ed al personale dell’Archivio di Stato di Palermo sezione di Termini Imerese.