Termini Imerese fra Cinquecento e Seicento: Flaminio Giancardo il più antico Organista della Maggior Chiesa

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La figura di Flaminio Giancardo (o Biancardo o Biancardi) da Cremona, musico lombardo attivo a Termini Imerese fra tardo Cinquecento e primo Seicento, è totalmente sconosciuta nei repertori musicali italiani.

L’imponente opera de Il Dizionario della Musica in Italia, che potrebbe gettare nuovi lumi sui musicisti italiani e la loro attività, attualmente risulta non consultabile on-line (cfr. http://www.dmi.it/pagine/struttura/dizionario.html#, ultimo accesso 10 Luglio 2021).

La scoperta di questo musicista, si deve alle ricerche di Antonio Contino e Salvatore Mantia che hanno premesso di rendere noti alcuni documenti sul Giancardo nel 1998 (cfr. A. Contino, S. Mantia, Vincenzo La Barbera architetto e pittore termitano. Presentazione di Maria Concetta Di Natale. GASM, Termini Imerese 1998, p. 25 e nota n. 62), fornendo alcune notizie biografiche ed attestando alcuni incarichi, sia pubblici sia privati.

Questa nostra ricerca si prefigge di aggiungere ulteriori nuovi contributi, volti ad ampliare le conoscenze su tale versatile artista, documentato con certezza dal 1593 al 1614, fu Organista e Maestro di Cappella della Maggior Chiesa di Termini, il più antico di cui si abbia sinora memoria e che sinora è apparso ancora misconosciuto.

Giancardo è una variante dialettale del cognome Biancardo/Biancardi, documentata soprattutto in Liguria (cfr. ligure giancu ‘bianco’, G. Olivieri, Dizionario genovese-italiano, Ferrando, Genova MDCCCLI, 554 pp., ad vocem), ma anche in Sicilia (cfr. G. Devoto, G. Giacomelli, I dialetti delle regioni d’Italia, Biblioteca universale Sansoni, 38,            Sansoni, Firenze 1991, 206 pp., p. 13; F. Toso, La letteratura ligure in genovese e nei dialetti locali. Le origini e il duecento, Le mani, Recco 2009, 174 pp., p. 19).

La famiglia Biancardi è attestata con certezza a Cremona sin dal Quattrocento. Il 2 Ottobre  X Indizione 1461, Maestro Giovanni De Seraxiis, di S. Apollinare di Cremona, dotò la figlia Isabella, che andava in moglie a Gabrino di Biancardi (cfr. I. La Lumia, Elenco dello pergamene Cremonesi del Grande Archivio di Palermo in “Archivio Storico Siciliano”, nuova serie, II, fasc. II, Palermo 1877, pp. 474-497, in particolare p. 493, pergamena n. 84).

Un Lodovico de’ Biancardi o de Blancardis, esercitò la professione di notaio, negli anni 40’ e 50’ del Cinquecento (cfr. V. Leoni, a cura di, Inventario dell’archivio storico del comune di Cremona. Sezione di Antico Regime (secc. XV-XVIII), Archivio di Stato di Cremona, Cremona 2009, 896 pp., in particolare pp. 48-49). Nella seconda metà del Cinquecento è attestato il mercante cremonese Giambattista de Blancardis, non a caso operatore nel ramo tessile e merzeria, ambito commerciale che, sin dal Medioevo, fu la florida attività prevalente della città lombarda [cfr. C. Sabbioneta Almansi, a cura di, Marchi ed insegne degli antichi mercanti cremonesi (1395-1626), Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Cremona, Cremonabooks, 2003, 207 pp., in particolare p. 12, 93 e 105]. Il sac. don Placido Biancardi cremonese (Placidus Blancardus Cremonensis), probo ed erudito, fu abate dei canonici lateranensi a Ferrara verso il 1586 ed è menzionato, come Convisitator, assieme al piacentino Atanasio de Arcellis, dall’abate Celso Rosini (cfr. C. De Rosinis, Lycei Lateranensis illustrium scriptorum sacri apostolici ordinis Clericorum Canonicorum Regularium Salvatoris Lateranensis Elogia, Nerii, Cæsenæ MDCIL, 2 tomi, I, p. 298, II, p. 267). Il poligrafo cremonese Vincenzo Lancetti (Cremona, 3 gennaio 1767; Milano, 18 aprile 1851), nella sua opera sulle famiglie cremonesi rimasta incompiuta, rammentava che «ora i Biancardi sono caduti nell’ordine plebano» (cfr. V. Lancetti, Biografia cremonese ossia Dizionario storico delle famiglie e persone per qualsivoglia titolo memorabili e chiare spettanti alla città di Cremona dai tempi più remoti fino all’età nostra, 2 voll., Borsani e Tip. di Commercio, Milano 1819-20,  vol. II, 1820, p. 215). Da notare che, secondo il Lancetti, i Biancardi di Cremona deriverebbero dalla famiglia di Ugolotto Biancardo, uomo d’arme documentato tra la seconda metà del Trecento e gli inizi del Quattrocento, ma che, invece, era di Parma [cfr. T. Sartore, Biancardo, Ugolotto in “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 10 Treccani, 1968, https://www.treccani.it/enciclopedia/ugolotto-biancardo_(Dizionario-Biografico)].

L’ambiente culturale cremonese del Cinquecento, nel quale crebbe Flaminio Giancardo, era particolarmente vivace e ciò anche in ragione della felice posizione della città lombarda, punto nevralgico di traffici commerciali lungo le più importanti arterie viarie e fluviali dell’area padana (cfr. C. Almansi, M. Dester, V. Leoni, Dall’Universitas Mercatorum alla Camera di Commercio di Cremona, Camera di Commercio di Cremona, tomo I, 2016, 1284 pp.).

Paolo Fabbri, musicologo e accademico italiano, ha acutamente evidenziato che il fulcro della Cremona musicale del Cinquecento era la piazza principale (Piazza del Comune) sulla quale prospettavano gli edifici cardine della città (il palazzo municipale, la cattedrale, il battistero): «Lì infatti, trovavano sede ed agivano le sue più importanti istituzioni, cioè il complesso dei musicisti che si occupava delle necessità liturgiche della maggiore chiesa urbana, e quello civico che prestava invece servizio nelle occasioni pubbliche ufficiali, specialmente all’aperto» (cfr. P. Fabbri, I Campi e la cultura musicale del Cinquecento, in M. Gregori, G. Borai, a cura di, I Campi e la cultura artistica cremonese del Cinquecento, Electa, Milano 1985, pp. 19-24, in particolare p. 19). A tal proposito, non si può fare a meno di fare un parallelismo tra Cremona e Termini Imerese, per la compresenza, nella medesima piazza principale, della sede del potere civile e religioso.

Rodobaldo Tibaldi, professore associato presso il Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università di Pavia, ha evidenziato che a Cremona «i più dotati e ambiziosi compositori nati nella prima metà del secolo – sulla cui formazione per altro sappiamo poco o nulla – cercarono fin da subito occupazione altrove» (cfr. R. Tibaldi, La Musica a Cremona all’epoca di Monteverdi, in Philomusica on-line, rivista del Dipartimento di Musicologia e beni culturali, N. 17, 2018, Pavia University Press,  17 pp., http://philomusica.unipv.it).

Nella città lombarda, almeno dal 1563, è attestata la presenza di una «Compagnia de li Pifari e Sonatori de la Magnifica Comunità di Cremona», pagati dal municipio che avevano anche l’onere di suonare anche in occasione di celebrazioni religiose come le processioni del Corpus Domini e dell’Assunzione di Nostra Signora (cfr. A. Cavalcabò, I «Piffarari» cremonesi e i probabili e possibili loro rapporti con i cornamusari scozzesi, in “Bollettino Storico Cremonese”, 22 1961-64, pp. 278-292).

Un impulso notevole al rinnovamento musicale di Cremona fu dato dal compositore di opere liturgiche, Marco Antonio Ingegneri (Verona, 1536 – Cremona, 1º Luglio 1592), personalità di rilievo nel panorama artistico cremonese della seconda metà del Cinquecento. L’Ingegneri, infatti si trasferì a Cremona intorno alla metà degli anni 60’ del Cinquecento, sviluppando le esecuzioni polifoniche attraverso l’utilizzo di elementi misti vocali-strumentali, contribuendo così ad ampliare e rinnovare notevolmente l’ambiente musicale locale, alla stregua dei centri più in auge nel nord Italia (cfr. A. Delfino, M. T. Rosa-Barezzani, a cura di, Marc’Antonio Ingegneri e la musica a Cremona nel secondo Cinquecento, atti della giornata di studi, Cremona 27 novembre 1992, collana studi e testi musicali, 8, Libreria Musicale Italiana, Lucca 1995, XVI+469 pp.).

Discepolo dell’Ingegneri fu Claudio Monteverdi (Cremona, 9 Maggio 1567 – Venezia, 29 Novembre 1643) e forse anche l’agostiniano Tiburzio Massaino (Cremona, c. 1550 – ivi, c. 1609), il cistercense cremonese Lucrezio Quinzani (doc. 1588-1599) e Benedetto Pallavicino (Cremona, 1550/1551 – 26 Novembre 1601).

In questo torno di tempo, i liutai cremonesi, veri e propri “artigiani del suono”, con il loro genio appassionato e con la loro perizia, unita ad una meticolosa cura per i dettagli, raggiunsero già dei livelli tecnici di eccellenza che li resero famosi per i capolavori prodotti, coniugando sapientemente l’arte della progettazione a quella della costruzione di strumenti musicali. La rilevanza indiscussa di tale arte ha ricevuto l’ambito riconoscimento Unesco nel 2012 con l’inserimento nel patrimonio culturale immateriale dell’Umanità.

Allo stato attuale delle ricerche non sono noti né gli esordi artistici di Flaminio Giancardo/Biancardo, né le modalità del trasferimento a Termini Imerese, per cui possono cautamente avanzarsi solo delle ipotesi, sia pure plausibili. Occorre sottolineare che nella cittadina imerese era già presente la casata genovese dei Giancardo o Biancardo, attestata sin dalla metà del Cinquecento. Personaggi di spicco della famiglia ligure in Termini, furono i Magnifici Bernardo e Pacifico Giancardo, qualificati negli atti pubblici come genovesi et abitatori della città di Termini. Bernardo fece testamento al cospetto di notar Domenico di Pace di Termini, nella notte del 21 agosto XIIIa Indizione 1600, ora quinta cum dimidia noctibus, tribus luminibus acce[n]sis (essendo la stipula notturna, era d’obbligo per il notaio specificare l’ora e l’illuminazione artificiale presente, almeno di tre lumi, sufficiente per permettere il riconoscimento dei presenti). Nel rogito testamentario, Bernardo stabilì di voler essere sepolto nella sua cappella sita in ecc[lesi]a s[anc]ti rocci conventus s[anc]te marie m[on]tis Carmeli, di cui aveva il patronato (cfr. Archivio di Stato di Palermo sezione di Termini Imerese, d’ora in poi ASPT, vol. 13067, f. 428 e segg.). Uniche tracce tangibili della casata dei Giancaldo nella chiesa del Carmelo, allo stato attuale delle ricerche, sono il monumento funerario di Giambattista (m. 4 Aprile 1615), figlio del detto Bernardo, con le armi gentilizie del casato e la pala d’altare raffigurante “La Sacra Famiglia con S. Giovannino”. Quest’ultima, opera del pittore Francesco La Quaraisima (Termini Imerese, 30 Aprile 1591, ivi 20 Novembre 1668), fu commissionata all’artista il primo Dicembre XVa Indizione 1616,  allorché si obbligò per onze otto, con suor Caterina Giancardo, nata Spinola (in realtà Picaluga Spinola), vedova del precitato Bernardo, ad eseguire il dipinto raffigurante S. Gioseppi con la Madon[n]a et lo Nostro Signore per la detta cappella Giancardo (cfr. A. Contino, S. Mantia,  Architetti e Pittori a Termini Imerese tra il XVI e XVII secolo, GASM, Termini Imerese 2001, p. 46), che rispecchia appieno il principio tanto caro ai carmelitani del decorum, per cui ogni personaggio effigiato riveste ed impersona strettamente il ruolo che gli compete.

A nostro avviso, non è da escludere che la chiamata a Termini Imerese del musicus cremonensis, sia stata fortemente perorata dal reverendo sacerdote don Pietro Scarpaci e Ferro (m. il 30 Gennaio 1612). Quest’ultimo, infatti, divenne arciprete della Maggior Chiesa a partire dal 9 Marzo IVa Indizione 1591, appena due anni prima dalla più antica attestazione documentaria, sinora reperita, della presenza nella cittadina imerese del Giancardo.

Il sacerdote termitano Pietro Scarpaci-Ferro, Sacre Theologie Doctor et Canonico Camerale dell’Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Don Diego di Aedo Arcivescovo della Felice Città di Palermo, era un prelato di notevole prestigio ed esperienza ed è plausibile ritenere che, con il proposito di dotare la Maggior Chiesa di Termini di un maestro di cappella, possa aver individuato proprio nel cremonese Flaminio Giancardo, la persona adatta allo scopo e, soprattutto, disponibile a trasferirsi dal ducato di Milano al regno di Sicilia, entrambi sotto il dominio spagnolo.

Il concilio tridentino, del resto, aveva propugnato una vasta opera riformatrice in ambito liturgico, che diede alla musica un ruolo eminente sia nell’ambito della catechesi sia nella celebrazione fastosa che ben si accordava al concetto di ecclesia triumphans, soprattutto nelle grandi solennità festive, grazie anche alla maestosità del latino sia nel culto, sia nella musica sacra (per ulteriori approfondimenti, cfr. D. Curti, M. Gozzi, Musica e liturgia nella riforma tridentina. Trento, Castello del Buonconsiglio, 23 Settembre-26 Novembre 1995, Provincia autonoma di Trento, Servizio beni librari e archivistici, 1995, 126 pp.).

Il più antico memoriale di spese per la celebrazione della festività del SS. Sacramento (Corpus Domini) nella Maggior Chiesa di Termini Imerese, del 13 Giugno IVa Indizione 1591, redatto dal sac. don Salvo Salerno (cfr. A. Contino, S. Mantia, Vincenzo La Barbera…cit., p. 121-122, doc. n. 2), sia pure nella sua scarna elencazione, ci informa che a quel tempo era già attivo un coro, costituito in parte da orfanelli, veri e propri pueri cantores, che si esibiva in canti liturgici, accompagnato dalla musica suonata da un organista, che nell’occasione ricevette a compenso una onza. Tutto ciò attesta che a quel tempo esisteva già un musico specializzato nell’utilizzo dell’organo, strumento che era in dotazione alla Maggior Chiesa di Termini Imerese, per l’esecuzione di musica sacra e non è da escludere fosse proprio il Giancardo.

Nella Sicilia centro-settentrionale, tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, non è inusitata la presenza di musicisti non siciliani, come documentano le ricerche archivistiche di Rosario Termotto (cfr. R. Termotto, Docere musicam et sonari di tasto. Scuole musicali nelle Madonie del Seicento. Appunti archivistici. “Bollettino della Società Calatina di Storia Patria e Cultura”, 1998-2000, Edicalata, Caltagirone, pp. 299-309) per le Madonie, con la figura del musico francese Jean Joffroi (Ioanni Joffroi) attivo a Collesano, contea dei Ventimiglia.

Termini Imerese, vantava, almeno dal Quattrocento, una fitta serie di collegamenti commerciali con la Lombardia, spesso mutuati attraverso il porto di Genova, legati alla presenza del Caricatore (magazzini per il dazio e stoccaggio provvisorio di derrate) che a scala mediterranea richiamava i vari mercatores (cfr. P. Bova, A. Contino, L’emigrazione dalla «Lombardia» a Termini Imerese dal XIV al XVII secolo, in “Esperonews: Giornale del Comprensorio Termini-Cefalù-Madonie”, Lunedì, 6 Marzo 2019, su questa testata giornalistica on-line).

Relativamente all’attività musicale a Termini Imerese nel Quattrocento, sia pure in ambito chiesastico, le nostre ricerche archivistiche non hanno sinora riscontrato documenti probanti nonostante la notevole capacità di attrazione, non soltanto economica o burocratico-amministrativa, ma anche letteraria, artistica e religiosa della cittadina. Il poligrafo siciliano Baldassarre Romano (Termini Imerese, 23-2-1794; ivi, 22-11-1857), che ebbe occasione di fare ricerche nell’archivio dei notai defunti di Termini Imerese, quando sicuramente era più integro di quanto lo sia attualmente, ci fornisce un fugace accenno in proposito: sin dal 1400 leggesi negli atti dei pubblici notai un maestro di cappella per le sacre funzioni della maggior chiesa salariato dal Comune, con orchestra di musici (cfr. B. Romano, Notizie storiche intorno alla città di Termini, edizione a stampa, a cura di A. Contino e S. Mantia, del ms. della Biblioteca comunale di Palermo ai segni 4 Qq D 78, GASM, Termini Imerese 1997, p. 50). Purtroppo, il Romano non riporta alcuna specifica citazione archivistica a supporto delle sue affermazioni, per cui non ci è dato di sapere cosa intendesse con il termine orchestra che, se paragonato agli standard moderni, appare quantomeno anacronistico.

Agli inizi del Cinquecento, nella cittadina imerese un tal maestro Ramonducius, nel 1511 aprì una scuola di ballare e sonare (cfr. C. Trasselli, Siciliani fra Quattrocento e Cinquecento, collana testi e studi storici, Intilla, Messina 1981, XIV+202 pp.), testimonianza questa di una cultura musicale che travalicava l’ambito esclusivo ecclesiastico, estendendosi anche in contesti laici, probabilmente non solo grazie al patriziato urbano, ma anche al ceto emergente degli honorabiles, soprattutto mercantile, che disponeva di ampi mezzi economici ed ambiva ad accrescere il suo status sociale.

Una rassegna di strumenti musicali in uso a quel tempo è raffigurata nella produzione artistica di alcuni pittori attivi a Termini Imerese tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento. Nei dipinti di Antonino Spatafora, pittore palermitano attivo a Termini Imerese tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, ed iniziatore di una nutrita scuola artistica, sono presenti angeli cantanti e musicanti che suonano strumenti a pizzico (vieille, arpa e liuto). Queste figure angeliche si ripresentano puntualmente nella produzione artistica del discepolo e genero dello Spatafora, il termitano Vincenzo La Barbera (c. 1577-1642). Similmente, anche le opere del già citato Francesco La Quaraisima, allievo del La Barbera, ma anche dell’altro genero di Spatafora, il caccamese Nicasio Azzarello (doc. c. 1611-1623),  esibiscono puntualmente tali figure nel registro superiore delle sue tele. Sarebbe auspicabile per l’ambito termitano uno studio su tale argomento come già è avvenuto, non a caso, proprio a Cremona (cfr. S. Ferino Pagden, Dipingere la Musica. Strumenti in posa nell’arte del Cinque e Seicento, catalogo della mostra, Cremona-Vienna, 12 Dicembre 2000- 18 Marzo 2001, Skira,  Milano 2000, 273 pp.).

Nuove ricerche archivistiche effettuate dagli scriventi hanno permesso di integrare ed ampliare notevolmente, sia lo scarno quadro delle conoscenze sull’attività termitana del cantor et musicus Flaminio Giancardo, sia la sua biografia.

La prima nuova attestazione documentaria da noi scoperta risale al 24 Agosto IXa Indizione 1596 ed è un atto di battesimo. Flaminio Giancardo, infatti, che è indicato con il titolo onorifico di  Signor, fu padrino di Bartolomeo Erasmo, figlio di Mastro Vincenzo di Miceli alias Pixi e di Angelina Spataro (cfr. Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, d’ora in poi AME, Battesimi, vol. 5, f. 153v. n. 4). Per inciso, i genitori di Erasmo di Miceli furono i capostipiti della casata nobiliare rappresentata da don Francesco Maria regio segreto e maestro procuratore della città di Termini (appaltatore delle imposte regie), barone di S. Giuseppe, e da don Mariano.

Nella seconda metà degli anni 90’ del Cinquecento, Flaminio Giancardo, ricopriva il ruolo plurimo di cantore, organista, compositore e maestro di canto per i chierici della Maggior Chiesa di Termini Imerese. La presenza di una schola cantorum, vero e proprio fulcro di ideazione e di propagazione della dottrina musicale, infatti, ben si accorda con le disposizioni del Concilio di Trento sulla preparazione culturale dei chierici, che non poteva affatto prescindere da una appropriata conoscenza della musica, elemento irrinunciabile e distintivo dello status di ecclesiastico nel cattolicesimo controriformistico. Quale fosse però la composizione e quali fossero le qualità vocali dei cantori, allo stato attuale delle ricerche, non è noto. Invece, è certo che Flaminio si dedicava proficuamente, come si evince dalla documentazione archivistica, anche all’attività di insegnante di musica strumentale e di canto, presso facoltosi esponenti della nobiltà locale o dei ceti emergenti. Alcuni rogiti documentano l’uso di strumenti musicali, come cimbali ed affini, particolarmente importanti, nella civiltà e nella letteratura musicale del Rinascimento, fornendoci un interessante spaccato della vivacità culturale della cittadina imerese in questo torno di tempo.

Nel 1596, in notar Matteo de Michele (cfr. ASPT, minute, vol. 13015, 1596-97, f. 30r),  Flaminio Giancardo musicus si obbligò annualmente per un compenso di onze sei, con Mastro Pietro de Arena, mastro d’ascia e paratore, ad insegnare ai figli Gerolamo e Filippo, a cantare di musica e suonare di cìmmalo e d’altri simili istrumenti per anno continuo et completo (cfr. A. Contino, S. Mantia, Vincenzo La Barbera…cit., p. 25). Da notare che Filippo de Arena divenuto sacerdote, fu poi il successore del Giancardo nella carica di musico e cantore presso la Maggior Chiesa di Termini Imerese.

Il 18 Aprile Xa Indizione 1597, Flaminio Iancardo musicus cremone[n]sis, abitante di Termini, si obbligò col sacerdote don Calogero de Michele docere musica de cantandi (cfr. ASPT, notar Tommaso Bertòlo di Termini, vol. 12970, registro, 1596-97,  f. 182). Analogo contratto il Giancardo stipulò il giorno seguente con il Signor Antonio Arnolfini, mercante lucchese (mercator luccensis) stabilitosi a Termini, col compenso di onze 4 e tarì 24 (cfr. A. Contino, S. Mantia, Vincenzo La Barbera…cit., p. 25 nota n. 62, dove per un refuso si legge la data del 10 Aprile).

Il Giancardo, il 21 Novembre XIIa Indizione 1598 (cfr. A. Contino, S. Mantia, Vincenzo La Barbera…cit., p. 26  nota n. 64) sposò nella Maggior Chiesa di Termini, Giacoma de Marino, figlia del fu Ottaviano, alla presenza dell’officiante, il precitato sac. Calogero de Michele, e dei compari Mastro Francesco de Michele, Giuseppe Bertòne e Giovan Forte [cognome illeggibile].

L’origine cremonese del Giancardo è ancora attestata inconfutabilmente da un atto, stipulato presso notar Matteo de Michele di Termini il 28 Settembre XIIIa Indizione 1599, nel quale egli fece procura ai fratelli Giovanni, Nicolò e Bartolomeo Garibaldo di Genova, affinché lo rappresentassero nella divisione ereditaria di tal Giampaolo Muzo da Cremona, suo consanguineo. Flaminio, civis thermarum, è indicato nel rogito come proveniente de Civitate Cremone status mediolanensis. Testimoni al rogito furono Pietro La Mantia, Pietro La Barbera (padre del pittore ed architetto Vincenzo) e Sebastiano Bertòlo (cfr. A. Contino, S. Mantia, Vincenzo La Barbera…cit., pp. 25-26 e nota n. 63 a p. 26).

Il 28 novembre XIIIa Indizione 1599, Flaminio fu testimone, assieme a Gerolamo Empoli (di origini pisane), all’atto stipulato tra il raisi termitano Giovanni Leonardo Salomone ed il suocero Pietro La Barbera (quest’ultimo aveva origini genovesi essendo figlio di Bartolomeo Barbieri che dalla Liguria si trasferì a Termini Imerese sposando una termitana chiamata Lucrezia, cfr. A. Contino, S. Mantia, Vincenzo La Barbera…cit., p. 50).

Flaminio Giancardo cittadino di Termini, organista  della Maggior Chiesa, il giorno 8 gennaio IVa Indizione 1606, finalmente ricevette da don Leonardo Sanguigno, tesoriere di detta chiesa, onze quattro annuali per il suo salario, dal 15 marzo VIa Indizione 1593 sino ad ottobre dell’anno passato (cfr. ASPT, notar Francesco Bertòlo di Termini, vol. 13010, registro, 1605-6,  f. 56r). Il nostro aveva quindi esercitato la carica di organista per dodici anni senza aver ricevuto il salario che gli spettava e, quindi, si era ingegnato ad insegnare privatamente come musicus.

Questo rogito attesta che sin dall’anno indizionale 1592-1593 il Giancardo abitava nella cittadina imerese dove ricopriva, in pianta stabile, la carica di organista con un compenso fisso di onze quattro annuali. Da notare che il termine organista, con il quale era qualificato nei rogiti, potrebbe lasciare intendere che Flaminio non solo fosse in grado di suonare lo strumento, ma anche di occuparsi opportunamente della sua regolazione e manutenzione.

Un altro rogito, sinora inedito, datato 9 giugno IVa Indizione 1606 attesta che Flaminio Giancardo civis thermarum organista majoris ecc[lesie] aveva già ricevuto il compenso per il suo lavoro svolto dal 15 marzo 1593 all’ottobre 1606. Pertanto, Giacoma de Marino e Giancardo, moglie di Flaminio, della città di Termini, in tale contesto, con il consenso del marito, fece una donazione in favore della madre Caterina de Marino, vedova di Ottaviano (cfr. ASPT, notar  Matteo de Michele di Termini, vol. 13032, registro, 1605-6,  f. 59).

Flaminio Giancardo concorse anche a ricoprire delle cariche pubbliche poiché dagli Atti dei Magnifici Giurati della Splendidissima e fedele città di Termini (d’ora in poi AMG, 1607-8 e 1608-9, mss. Biblioteca Comunale Liciniana di Termini Imerese, d’ora in poi BLT), ed in particolare dal ruolo dei Giurati di Termini del 1607-8, risulta che fu ascritto all’elenco degli aspiranti alla carica di giudice illetterato, che poi effettivamente andò a assumere nel successivo anno indizionale 1608-9.

In quegli anni, continuò anche l’attività di insegnante privato di musica. Il 15 giugno VIIIa Indizione 1610, infatti, Flaminio si obbligò con il sac. don Giacomo de Landro ad insegnargli la lettura della carta di musica di canto figurato, con il compenso di onze due (cfr. ASPT, notar Francesco Bertòlo di Termini, vol. 13013, registro, 1609-11  f. 106v).

Un rogito dell’anno successivo, anch’esso sinora inedito, ci informa che Flaminio Giancardo aveva un fratello che risiedeva nella sua città natale, di nome Simone, verso il quale dispose un’apposita procura perché lo rappresentasse, evitando di affrontare il lungo viaggio sino a Cremona.

Il 28 aprile IXa Indizione 1611, Giangiacomo de Sincerio di Termini, dottore in entrambi i diritti, Giudice sostituto delle cause civili della Splendidissima Città di Termini e Giovanni Tommaso Bertòlo, civis thermarum, fanno noto che Flaminio de Giancardis de civ[ita]te cremone, figlio del fu Giacomo, in regno sicilie habit[an]te et istius civi[ta]tis thermarum civis p[ro] ductione uxoris (cioè aveva preso la cittadinanza di Termini per aver sposato una donna del luogo), nominò suo procuratore il fratello Simone de Giancardis, di Cremona, al fine di curare i suoi interessi in questa città (cfr. ASPT, notar Francesco Bertòlo di Termini, vol. 12978, registro, 1609-11,  ff. 127r-128).

Nell’anno Xa Indizione 1611-12, il Giancardo fu governatore della cappella del Santissimo Sacramento nella Maggior Chiesa di Termini, assieme a don Paolo Angelone, al discepolo don Filippo Arena, a Vincenzo Marino, a Giuseppe Satariano ed a Vincenzo Scarpaci, fratello dell’arciprete (cfr. A. Contino, S. Mantia, Vincenzo La Barbera…cit., p. 135, doc. n. 23).

Il 24 agosto IXa Indizione 1611, don Mario Romano e Ventimiglia affittò, ovvero sublocò a Flaminio Giancardo, suo concittadino, una casa con solaio (solerata), con più stanze (corpi), di proprietà del dottore in legge (in entrambi i diritti) Pietro Vallelonga. Il Giancardo, a sua volta, subaffittò l’immobile ad un certo Vincenzo Manueli o Manuele (cfr. ASPT, notar Francesco La Magione di Termini, vol. 13131, registro, 1611-12 f. 98v. e f. 101r).

Il 19 agosto XIIa Indizione 1614, il Giancardo prese in affitto dal muratore Mastro Giovanni Alzatore un’altra casa raddoppiata da un solaio (solerata), posta nella parte bassa di Termini Imerese e, in particolare, nel quartiere delle Botteghelle (cfr. ASPT, notar Francesco Vassallo di Termini, vol. 13141, registro, 1614-15  f. 56r).

Il 27 dicembre XIIIa Indizione 1614, il Giancardo, infermo di corpo, ma sano di mente, volle dettare le sue ultime volontà al notar Francesco Vassallo di Termini, stabilendo che tutti i suoi beni, alla sua morte, sarebbero spettati alla moglie Giacoma (cfr. ASPT, notar Francesco Vassallo…cit.,  f. 127r).

L’organista Flaminio Giancardo si spense a Termini il giorno seguente e fu sepolto nella chiesa di S. Maria di Gesù-La Gancia dell’Ordine dei Frati Minori dell’Osservanza (cfr. A. Contino, S. Mantia, Vincenzo La Barbera…cit., p. 26 nota n. 65).

Morto il Giancardo, la carica di Maestro di Cappella della Maggior Chiesa ed Organista passò al suo discepolo prediletto il sac. don Filippo de Arena, il quale è ricordato sia in un atto dell’undici aprile XIVa Indizione 1616 come organista et magister musice (cfr. ASPT, notar Matteo De Michele di Termini Imerese, vol. 1501, bastardello, 1613-16, spezzone del 1616, numerazione illeggibile). Ancora in un mandato del 26 giugno XVa Indizione 1617, l’Arena ricevette la somma, ammontante a 4 onze, come organista et musico per havere cossj luj come  altrj auntantj solennizzato la festa di esso S[antis]s[i]mo Sacramento et sua ottava celebrata a 25 del passato et cossj per tutte le 3e domeniche incominciando dal mese di magio prox[im]o futuro (cfr. A. Contino, S. Mantia,  Architetti e Pittori…cit., p. 129).

Concludiamo la nostra ricerca con alcune notizie relative all’organo della Maggior Chiesa di Termini Imerese che, come abbiamo visto, doveva già essere esistente nel 1591 e del quale si fa esplicita menzione in un mandato del 30 giugno Ia Indizione 1603, inserito nel Libro d’Esito della Cappella del SS. Sacramento della Maggior Chiesa di Termini, redatto dal tesoriere, il genovese Aloisio di Negro (cfr. A. Contino, S. Mantia, in B. Romano, Notizie storiche.. cit.  nota in calce a p. 50).

Baldassarre Romano, a tal proposito ebbe a scrivere che «L’uso d’un organo in detta chiesa è anche antichissimo; nel 16… se ne costruì un altro migliore ch’è un de’ due grandi e belli che oggi [1838] ivi esistono» (cfr. B. Romano, Notizie storiche….cit., p. 50).

Un rogito notarile, stipulato nel 1669, da noi scoperto, ci permette ora di riempire la lacuna nell’opera manoscritta del Romano, e di distinguere un organo designato come vecchio e che, pertanto, doveva essere molto più antico degli inizi del Seicento o della fine del Cinquecento. Il documento, peraltro, fornisce alcune preziose indicazioni di massima sulla struttura dell’organo vecchio che era della tipologia a canne e doveva certamente avere un notevole valore storico e musicologico.

Negli anni 60’ del Seicento, infatti, completati i lavori di ampliamento e di rifacimento per la nuova fabbrica della Maggior Chiesa di Termini Imerese, divenne improcrastinabile il rifacimento dell’organo della Maggior chiesa, evidentemente perché, con le nuove dimensioni dell’edificio di culto, la strumentazione in dotazione era divenuta insufficiente per avere una buona acustica all’interno del vasto edificio. In proposito, dopo lunghe e laboriose richerche, abbiamo rintracciato presso la sezione termitana dell’Archivio di Stato di Palermo, un rogito in notar Leonardo Iacino di Termini (cfr. ASPT, vol. 130403, 1668-69, ff. 380v – 381v), qui pubblicato per la prima volta, che attesta l’incarico dato il 31 marzo VII Indizione 1669, a Magister Joseph Sperandeo organarius Urbis Panormi. Ricordiamo che il palermitano Giuseppe Sperandeo (n. c. 1625; m. 12  Maggio 1680), appartenne ad una famiglia di valenti costruttori di organi ed è ben noto alla critica per essere stato attivo anche nel settore orientale dell’attuale provincia di Palermo, nei centri del comprensorio termitano e madonita. Grazie alle dettagliate ricerche di Giuseppe Dispensa Zaccaria, ad esempio, sappiamo che Sperandeo ricevette la somma di 30 onze a conto dei lavori di riparazione dell’organo della chiesa di S. Domenico a Palermo (cfr. G. Dispensa Zaccaria, Organi e organari in Sicilia dal ‘400 al ‘900, Accademia nazionale di scienze, lettere e arti di Palermo, Palermo 1988, 326 pp., in  particolare, p. 158, 225 e 314). Nel 1655, sempre nell’ambito dei padri predicatori, Sperandeo realizzò un nuovo organo destinato al convento di S. Domenico di Polizzi Generosa (cfr. R. Termotto, Nuove ricerche sull’attività degli organari La Gala, Andronico e altri maestri presenti nelle Madonie, in G. Marino, R. Termotto, a cura di, Arte e storia delle Madonie. Studi per Nico Marino, Voll. IV–V, Atti della quarta e quinta edizione, Cefalù e Castelbuono, 18–19 ottobre 2014, Gibilmanna, 17 ottobre 2015, Associazione Culturale “Nico Marino”, Cefalù 2016, pp. 419-437, in particolare, p. 430). Nel 1703-04, un Mastro Antonino Sperandeo eseguì diversi lavori di riparazione nell’organo della chiesa madre di Collesano che vennero ricompensati con la somma di onze 3 e tarì 15 (cfr. R. Termotto, Organi e organari a Collesano (1599-1758) in “Maron pagine collesanesi”, II, 17, dicembre 1984, pp. 7-8). Nella seconda metà del Settecento, è attestato l’organaro palermitano Francesco Sperandeo, noto anche come costruttore di cembali (cfr. G. P. Di Stefano, I «clavicembali singolari» di Donato del Piano. Fonti documentarie e contesto storico, in L. Buono, G. P. Di Stefano, a cura di, Donato del Piano e l’organo dei benedettini di Catania, Associazione Serassi, Guastalla  2012, pp. 49-86). Per ulteriori ragguagli sulle botteghe siciliane  costruttrici di organi musicali rimandiamo a F. Paradiso, P. S. Bevinetto, a cura di, «Per Attratto e Mastria». Organari Siciliani fra XVI e XIX secolo, “L’arte del suono. La storia dell’organo dalle origini all’Ottocento”,  Associazione Culturale e di Volontariato dei Padri Benedettini, Festival Organistico San Martino delle Scale, Palermo 1998, 192 pp.; D. Cannizzaro, Cinquecento anni di arte organaria italiana, Gli organi della Diocesi di Cefalù, Via Pulchritudinis, Cefalù 2005, 158 pp., Idem, La musica organistica in Sicilia nei secoli XVI e XVII, in “L’organo. Rivista di cultura organaria e organistica”,  38, 2005-2006, pp. 245-275).

Tornando ai lavori di Giuseppe Sperandeo nella cittadina imerese, egli si obbligò con i deputati della fabbriceria (maragmerijs) della chiesa madre di Termini, il sac. Don Nicolò Marsiglione e don Giacomo Bonafede barone della Vanella, a realizzare a tutti spesi di d[ett]o di Sperandeo novi canni di piombo di basci, cioè nove canne d’organo di piombo, con funzione di basso, del medesimo modo e forma conforme è lo principale d’organo di d[ett]a maggior chiesa come ancora altri novi canni di ligname tundi conformi a quelli fatti per d[ett]o mastro Giuseppe nell’organo di san martino, cioé l’organo dell’abbazia benedettina di S. Martino delle Scale (oggi frazione del comune di Monreale), che dovevano esplicitamente essere di legname venetiana cioe [sic] di contrababasci [sic], con funzione quindi di contrabbasso, conforme richiede il sono [suono] di d[ett]o organo di d[ett]a mag[gio]r chiesa. Il detto Sperandeo si obbligò a fare anche tre mantici nuovi (mantaci novi), vestiti [rivestiti] di cuoio (coijro) di vacchetta siciliana, quali devono essere di longecza [sic] e largecza [sic] per quanto richiede di dar vento a tutto il [sic] organo vecchio e novo, cioè di dimensioni tali da poter far funzionare agevolmente entrambi gli organi, sia quello antico che quello nuovo. L’opera, doveva essere fatta con maestria, esibendo appropriate sonorità (quali tutti habbiano d’essere magistrabilmente [sic] boni et atti a sonare concernente con l’accento dell’organo) ed andava consegnata a Termini Imerese, a spese dell’organaro (quali si obliga à [sic] sue spese consegnarli qui in Termine), totalmente completa e collocata nella maggior chiesa, entro  il quindici di luglio p. v. Il lavoro veniva ricompensato con la somma di 45 onze, distribuite in più rate (un acconto di onze 4 alla stipula; altrettante decorsi dieci giorni; onze sei il primo giugno; altrettante il primo luglio; il saldo alla consegna dell’organo). L’opera doveva essere completata entro la data di scadenza e priva di qualsiasi difetto, altrimenti mancando sia lecito a d[et]ti maragmeri farli fare ad interesse e spese di d[ett]o mastro Giuseppe per quelli peczi et altri conforme ritroveranno, delli quali danni et interesse si sia critto [sic] il semplice ditto con giuramento di d[et]ti maragmeri, cioè per far ciò sarà sufficiente la semplice parola con giuramento da parte degli addetti alla fabbriceria, senza l’occorrenza di ulteriori disposizioni scritte. Alla stipula furono presenti come testimoni il sac. Don Paolo Romano ed Urbano Marsiglione.

Fu così che l’organo della Maggior Chiesa di Termini Imerese fu adattato alle nuove esigenze del luogo di culto. Il Giancardo fu, senza dubbio alcuno, l’iniziatore di una vera e propria schola thermitana musicale che, sia pure a grandi linee, siamo riusciti a ricostruire, almeno sino agli anni 60’ del Seicento, come attesta il regesto che riportiamo in appendice.

Patrizia Bova e Antonio Contino

Appendice

Regesto dei Maestri di Cappella, Organisti e Musici della Maggior Chiesa di Termini Imerese dal 1593 al 1660.

  • Flaminio Giancardo (Biancardo, Biancardi), di Giacomo, da Cremona. Maestro di Cappella ed Organista, doc. (1591?) 1593-1614.
  • don Filippo de Arena, di Pietro, da Termini Imerese. Organista et Magister Musice ovvero Maestro di Cappella, doc. 1614-1617.
  • don Giacomo Alferi da Termini Imerese. Maestro di Cappella, doc. 1623-24 (cfr. AME, Libro di Esito della Cappella del SS. Sacramento, f. 5)
  • don Filippo Rotondo da Termini Imerese. Maestro di Cappella, doc. 1624-25 (cfr. AME, Libro di Esito della Cappella del SS. Sacramento, f. 5)
  • don Biagio Granata da Termini Imerese. Musico in Collegiata, doc. 1648.
  • don Leonardo Alongi (o Alonge) da Termini Imerese. Mastro di Cappella di musica dal 21 febbraio 1650 (AMG, 1649-50 ms. BLT ai segni III 10 b 18, f. 166).
  • don Nicola Cirillo da Termini Imerese. Maestro di Cappella ed Organista, doc. 1650-51.

Nell’anno indizionale 1657-58, il maestro di cappella ed i musici, non avendo ricevuto il salario di onze sei annuali, si erano rifiutati di fare musica nelle solennità festive, ed il consiglio civico fu costretto a deliberare di effettuare il pagamento sui fondi della fabbriceria della Maggior Chiesa (cfr. G. Corrieri, Fatto intorno la fabbrica della Maggior Chiesa della Splendidissima città di Termini Imerese e sua dote, 1604-1761, Edizioni del Cancro, Teramo 1997 s. n. p., docc. 11 e 12).

  • don Antonino de Stefano da Termini Imerese. Maestro di Cappella, 20-11-1659; Francesco Maltese da Termini Imerese. Organista, 1659.