Ignazio Buttitta, ricordo di un poeta che incantava il mondo

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Tra ricordi personali e riflessioni scriviamo questo medaglione per Ignazio Buttitta citando alcuni momenti da noi vissuti con l’amico, il maestro, il poeta. Ma concludendo con un punto di vista, anch’esso personale,

che disapprova la insistente carica di anticlericalismo che sicuramente dalla estemporanea esperienza locale ed epocale, (Palermo, la mafia, il cardinale Ruffini) il poeta ha continuato a trasferire in coloriture sconvenienti allo stesso sincero e imprescindibile bisogno e impegno a favore delle rivendicazioni politiche, sindacali e civili della sua poesia.
Lo diciamo anche per far bilanciare quanto abbiamo scritto nel numero di Sicilia Illustrata, all’indomani dei funerali laici per il Poeta celebrati in piazza, a Bagheria, biasimando la mancanza di umanità e di  sensibilità cristiano-evangelica di chi si era assunta la responsabilità di chiudere il portone ingresso della chiesa sulla cui piazza-sagrato dove si sono svolte le esequie per l’uomo che se ne era andato per sempre. Un segnale greve, odioso, di chi  non aveva saputo opporre il perdono cristiano e verso chi aveva raggiunto la propria ultima ora terrena, anche a costo di dimostrare laicamente quanto suggerisce la perennità e universalità del detto latino: mors omnia solvit. Punti di vista, si potrà dire, ma: “Fate Sommo Iddio che in un momento io possa dire come me la sento”.
Detto questo cominciamo subito con l’affermare che su Ignazio Buttitta, (Bagheria, 19 settembre 1899 – ivi, 5 aprile 1997), bisognerebbe aprire un capitolo a parte per la storia dei poeti italiani nati in Sicilia. Noi che lo abbiamo conosciuto, frequentato per oltre trenta anni, ricorriamo a questo auspicio per aggiungere subito i motivi che ci inducono a dichiararlo. Ignazio è stato un grande poeta, e va bene, l’affermarlo è già un portare vasi a Samo, come si soleva dire una volta. Né occorre parlare della sua poesia, su cui c’è disponibile una bibliografia della critica cui chiunque potrà attingere. Poco invece si potrà trovare sulla singolare personalità dell’uomo Buttitta (Gnazio, per tutti). A cominciare dalle sue doti naturali di mimo per continuare con quelle che Leonardo Sciascia soleva di definire “di pisicologo”, con riferimento alle dediche che scriveva sui libri che acquistavano, amici, conoscenti o sconosciuti.
A proposito delle dediche c’era per Ignazio la consuetudine di aggiungere un disegno, un abbozzo di immagine che spontaneamente ed estemporaneamente tracciava sulla pagina come a completamento della frase, o della “sentenza” che aveva scritto. Noi ricordiamo un particolare rimastoci indelebile: in occasione del Premio letterario “Brancati Zafferana”, edizione 1968, eravamo con Leonardo Sciascia che avevamo accompagnato con la nostra auto e con cui nella serata dovevamo andare ad Acireale, per un incontro con gli amici del “Gruppo Convergenze Ciclope”. Occasione che è documentata da una foto che abbiamo pubblicato in più d’una edizione di libri e riviste letterarie. Fin dalla sera prima era arrivato Buttitta, per incontrare suoi amici vecchi e nuovi, tra quanti erano componenti della giuria del premio e altri, come il professore dell’Università di Palermo, l’italianista Natale Tedesco. Notata la nostra presenza Ignazio venne subito a salutarci e confidarci la nostalgia della moglie, Angelina, che ad Acireale era stata nei primi anni del suo insegnamento di maestra elementare. Quindi ci aveva consegnato il suo nuovo libro, con la dedica e il solito disegno. Questo avveniva in presenza di Leonardo Sciascia, Natale Tedesco e il professore Madonna di Caltanissetta, i quali appena Ignazio si era congedato dal nostro gruppetto, ci chiesero quali prerogative fossero le nostre, e tali da indurre Ignazio a omaggiarci un suo libro. Rimanemmo perplessi da quella corale curiosità, il cui segreto di pulcinella ci venne subito svelato. Ignazio non regalava suoi libri nemmeno ai figli. Come mai giusto per noi l’eccezione?
Non sapremmo spiegarcelo nemmeno adesso a distanza di mezzo e passa secolo, infatti il primo dono dal Maestro lo avevamo avuto nel 1959, quando avendo confessato che non eravamo riusciti a trovare nelle librerie Lu trenu di lu suli, in edizione Avanti!, Ignazio, ci trovavamo a casa sua, ad Aspra, andò a prendere una copia  dl prezioso libro e ce lo donò. Curiosità che non vanno oltre la esibizione narcisica nostra.
Ma ecco altri ricordi: la figlia di un nostro amico docente messinese, alunna di terza  liceale nella città dello Stretto, avendo appreso dal padre della nostra frequentazione con Ignazio Buttitta, decise di svolgere una tesina intervistandoci. Allorché raccontammo alla giovane la consuetudine di Ignazio nel personalizzare le dediche, la intervistatrice cambiò di proposito: avrebbe svolto la tesina sulla traccia delle dediche che il Poeta aveva scritto, in altrettante occasioni, nei libri che puntualmente aveva continuato a donarmi. Infine una dichiarazione inconsueta di Ignazio che in occasione di un convegno di poeti siciliani (ospitato presso un albergo sul mare a  Mazzarò, cfr. Carte siciliane n.2) generosamente si manifesta lettore delle nostre poesie e non si perita di affermare che l’endecasillabo di tutta l’antologia della poesia italiana curata da Giovanni Tesio e Mario Chiesa era quello nostro.
A questo punto i lettori si staranno chiedendo se questo “medaglione” noi lo abbiamo scritto per dare a noi stessi l’occasione di esaltare momenti pregressi di vita e frequentazioni. Può darsi sia vero, ma per noi, pensare e parlare di Ignazio non può essere disgiunto dalle occasioni in cui abbiamo ricevuto segni particolare e umanamente significativi, che da soli possono contribuire ad aggiungere sfumature al modo di relazionarsi dell’uomo e del Poeta su cui si continuano a narrare vere e proprie leggende metropolitane, persino esagerate ma in coerenza con il modulo di vita che caratterizzava Ignazio. Modulo di vita che molti poco generosamente e molto maliziosamente associano a vere e proprie insinuazioni gratuite, come quella della parte che avrebbe avuto, nel successo del Poeta, la militanza nel PCI di quegli anni. E dico di quegli anni per alludere alla incisività che procuravano nella emotività  dei consensi popolari oltre che nell’attenzione di persone tutt’altro che emotive, le annuali feste dell’Unità, in tutta Italia. Feste in seno alle quali la presenza di Ignazio, da Bologna a Milano, come da Palermo a Ragusa, non mancava.
Ignazio leggeva le proprie poesie e incantava l’uditorio perché le sue “strofe cantabili” in dialetto siciliano il “mimo” Buttitta le traduceva in una sua lingua di comunicazione universale, trasmettendo la tensione della scrittura rievocatrice di vicende umane, politiche, sindacali, amorose note, con  magica intonazione e sobria, efficace gestualità. Nell’autunno del 1980, ospiti a Taranto di una associazione culturale che ruotava attorno al giovane poeta locale Angelo Lippo, avevamo accompagnato Ignazio, reduce da un infarto che lo aveva fermato per alcuni mesi. In quella occasione, in un teatro gremito da spettatori di tutte le età, Ignazio raccontò la vicenda che gli aveva ispirato la poesia “Mamma tedesca”. Poi passò alla lettura destando applausi e commozione. Ecco chi non ha avuto la ventura di assistere a un recital in cui Buttitta leggeva le sue poesie, non potrà comprendere alcun resoconto, alcuna cronaca per fedele che possa essere stata. No, non sono state il PCI e le Feste dell’Unità a lanciare la poesia di Ignazio nel mondo. Sono state la sincerità delle sue scritture da aedo della sua contemporaneità, l’impegno e il coraggio, come  fil rouge dei contenuti delle sue poesie e non ultima la sonorità di un dialetto colorato e cantato dal Poeta del popolo. O, se si vuole, di quella parte di popolo che negli anni della maturità di Ignazio e degli esordi di Rosa Balistreri, (di cui Ignazio fu indiscutibile mentore quando le consigliò di imparare a suonare la chitarra per accompagnare l’effetto straordinario della voce)  che si continuava a sentire rivendicato nelle più intime istanze di denuncia e di ambizione legittima alla equità sociale e alla giustizia.
Altri tempi. Si direbbe altra epoca, quasi a riferire di un mondo che è stato consegnato all’archivio della storia; archivio che non è sempre illuminato da condizioni di equità, nemmeno nelle condizioni civili più dotate di trasparenze e di adeguate collocazioni di meriti. La figura e la vita di Ignazio Buttitta, malgrado ogni buona volontà, non risulta ancora ben documentata nella sua parte depurata dalle leggende metropolitane e da chi non ha avuto la ventura di assistere ai suoi recital quando gli era sufficiente un tavolo su cui salire e una sedia e niente microfono per la sua voce come grido della coscienza di un popolo abituato alla sottomissione in alternativa al pecoreccio, e nel migliore dei casi alla superficialità.
Concludiamo con una riflessione che a suo tempo non abbiamo esitato a confidare a Ignazio: un errore suo grave è stato, a nostro parere, quello di insistere con la verve dell’anticlericalismo facendo, come si suol dire, di tutta l’erba un fascio. La definiremo una occasione mancata quella di non rimuovere l’indignazione verso episodi e presenze di contingenze locali al momento di eleggerle a denominatore comune di una civiltà, quella cristiana, la cui luce non può essere messa in forse da alcuno. Ignazio era un passionale in tutto ma la sua straordinaria sensibilità umana ha mostrato il tallone scoperto di chi, proprio per dimostrare che la perfezione non è di questo mondo, ha lasciato di sé un momento attinente la religiosità che non coincide con alcun obiettivo tratto della sua stessa non breve vita.
Dalla scheda su Buttitta poeta in Wikipedia estrapoliamo la parte riguardante le opere: “La poesia di Buttitta è fatta per essere recitata e cantata. Sono state numerosissime le sue recite in Sicilia e nel mondo. Nel 1956, in occasione del III Congresso Nazionale di Cultura Popolare, viene pubblicato il Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali, noto anche per l’interpretazione che ne ha dato il cantastorie Ciccio Busacca, e nel 1963 la raccolta Lu trenu di lu suli, contenente anche il poemetto La vera storia di Salvatore Giuliano. Nel 1963 comincia la sua collaborazione con la casa editrice Feltrinelli. Per i tipi dell’editrice milanese saranno date alle stampe le raccolte La peddi nova (1963), La paglia bruciata (1968), Io faccio il poeta (1972), Il poeta in piazza (1974), Pietre nere (1983). Nel 1982 compare il volume Prime e nuovissime, che raccoglie molti dei suoi primi componimenti. Buttitta si è dedicato anche al teatro. Ha realizzato insieme a Giorgio Strehler lo spettacolo Pupi e cantastorie di Sicilia, rappresentato a Milano nel 1956. Ha scritto Portella della Ginestra e Il Patriarca (1958). Successivamente ha rielaborato la «vastasata» in tre atti di autore ignoto Lu curtigghiu di li Raunisi (1975), e composto nel 1986 Colapesce. Nel 1972 gli è stato assegnato il Premio Viareggio. Nel 1980 gli è stata conferita, presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Palermo, la Laurea honoris causa in materie letterarie. Le poesie di Buttitta sono state tradotte in Francia, Spagna, Grecia, Romania, Cina, Russia. In sua memoria, il figlio Antonino diede vita alla Fondazione “Ignazio Buttitta”, tuttora attiva”.
Mario Grasso

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  1. Ciò che rende unici questi medaglioni tutti targati Mario Grasso, è la leggiadra e al contempo ricca componente di lacerti di vita e di esperienza poetica e letteraria che si intramano, tutti elementi che arricchiscono la stesura e lasciano un segno di inconfondibile incisione nel lavoro proposto dall’autore.
    Il lettore viene preso per mano e accompagnato attraverso una lettura avvincente e al contempo esilarante. Mentre viene erudito su accadimenti e informazioni letterarie di prim’ordine, che solo l’autore può fornire.
    E’ un vortice come danza, che avvince, appassiona e finisce troppo presto.
    E’ il caso in cui l’esperienza diventa storia della letteratura.
    E’ il caso esclusivo del poeta/scrittore Mario Grasso.

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