Per una città della bellezza. Un documento dalle donne e dagli uomini di Termini Imerese

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Circa un mese fa veniva pubblicata su Facebook una “Lettera aperta alle Donne e agli Uomini di Termini Imerese”, che in poco tempo è stato firmata da diverse centinaia di persone. In quella dichiarazione c’era il desiderio di qualcosa di nuovo.

Adesso i promotori sperando di aver dato voce a ciò che ha spinto a firmare la prima lettera, chiedono di condividere il documento pubblicato di seguito.

In un ordinario sabato di Luglio, veniva pubblicato su Facebook un documento. Una lettera, senza troppo clamore. Destinatari gli uomini e le donne di Termini Imerese. Non ci siamo sbagliati, perché in poche è diventata il Manifesto della Città, offrendo all’indignazione, alla delusione e allo sconforto di tutti, parole che pensavamo di non potere pronunciare più – «Desideriamo solo l’inizio di qualcosa di nuovo»-, tanto che ancora oggi chi la incrocia scorrendo l’affollata e rumorosa bacheca di Facebook scrive: «Grazie, bellissima sensazione di libertà».
Per questo oggi ci permettiamo di scrivere non più alle donne e agli uomini di Termini Imerese, ma a loro nome. A nome di quelli che la lettera l’hanno firmata, di tutti quelli che leggendola hanno avvertito una sensazione di libertà.
In tanti ci hanno chiesto di impegnarci e hanno offerto il loro sostegno ad una proposta di candidatura. Occupare spazi è più semplice e immediato che avviare processi e per questo ci si può facilmente ingannare e credere che sia la soluzione ai problemi. Ma “metterci la faccia” non è tutto, e non sempre e non necessariamente è l’atto di responsabilità che ci è chiesto. Per chi è già in campo, all’opera per il bene comune nonostante tutti i limiti posti dalla macchina politico amministrativa, esprimere il proprio esserci non coincide con la necessità di allocarsi in una squadra.
Tuttavia siamo ben lungi da registrare una sconfitta. Nonostante il rancore diffuso, abbiamo scoperto in noi l’irriducibile attesa che qualcosa di radicalmente nuovo accada. Affermarlo ha voluto dire prendere coscienza che noi siamo più del degrado da cui siamo avvolti; che siamo nel deserto, ma nessuno di noi gli appartiene. Tentare di rimanere fedeli a questa scoperta deve essere l’impegno di tutti, perché in questo riconoscimento vi è già l’inizio del cambiamento che attendiamo: siamo convinti infatti che «Tornare a desiderare» è la virtù civile necessaria per riattivare una società sfiduciata, appiattita, dimentica di sé stessa, della propria dignità (44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010).
Ma chi o che cosa può mantenere vivo e prendersi cura del nostro desiderio? Il desiderio non si alimenta di belle parole, ma del fascino di chi, nel suo piccolo e nonostante tutto, testimonia una diversità umana impegnata in un tentativo di risposta, come di fronte ad un’ultima positività. Di tutti i progetti abbiamo visto il fallimento, cosi come sappiamo che “di buone intenzioni è lastricata la strada per l’inferno”.
La risposta alla crisi dunque non è di carattere ideologico, né strettamente politico. La vera sfida che ci attende è di carattere culturale, poiché la risposta alla crisi richiede un orizzonte antropologico: «In un mondo senza bellezza anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover essere adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché piuttosto non debba preferire il male» (H. U. Von Balthasar, Gloria I, Milano 2005, p.11).
Il nostro primo dovere, in special modo per coloro che si assumono liberamente la responsabilità di offrire un contributo (partiti, associazioni, sindacati, educatori), è puntare sulla testimonianza che emerge da esperienze, già in atto, di un impegno con la realtà che non si è fermato di fronte all’incertezza, ma che proprio dall’incertezza ha trovato nuovo vigore. La soluzione al problema del degrado della vita socio politica non può esaurirsi in un nuovo programma elettorale, né nell’attuarsi di uno “Stato etico”. Sarebbe come pretendere di curare la polmonite con la Tachipirina. E’ la testimonianza di una “vita” personale e sociale giocata nella ricerca della verità che può far ripartire il desiderio della persona e insieme l’affezione a quella dimensione della vita personale e comunitaria che deve ritornare ad essere la politica. Solo la testimonianza può far saltare la querelle fra politica e antipolitica, e riconsegnarci alla vera questione: interrogarsi sul significato dell’azione pubblica. Su questo vogliamo solo suggerire due spunti di lavoro: chi pensa di salvare la città senza la città o è vittima di un sogno utopico, che può reggere per la fascinazione del momento, o è colpevole di una disistima per la persona che non è degna neanche di essere descritta, perché funzionale ad interessi altri e non al bene comune. Conseguentemente, la politica deve ritrovare il suo compito: essere strumento per aiutare i singoli e le realtà sociali a costruire risposte adeguate ai loro bisogni e problemi reali.
Desideriamo comprendere se ci sia l’intenzione di strutturarsi nella direzione di una sussidiarietà reale, che favorisca la responsabilità di ciascuno (persone, gruppi sociali, comunità), sdoganando il consenso elettorale dall’assistenzialismo ed evitando di alimentare l’illusione che le risposte vengano sempre e comunque dall’alto.
Se si intende, e come, dar vita a processi di generatività sociale, che costruiscano un Popolo, più che mirare a risultati immediati su cui poggiare la propria rendita politica, ma che non potranno mai rendere onore alla propria e altrui pienezza umana. Anche questo nostro tempo sarà giudicato dalla storia con quel criterio che Romano Guardini enunciava in La fine dell’epoca moderna e che Papa Francesco cita in Evangeli Gaudium: «L’unico modello per valutare con successo un’epoca è domandare fino a che punto si sviluppa in essa e raggiunge un’autentica ragion d’essere la pienezza dell’esistenza umana,in accordo con il carattere peculiare e le possibilità della medesima epoca» (La fine dell’epoca moderna, Würzburg, 1965, 30-31). Per cui ribadiamo con forza a ciascuno dei quattro Candidati a Sindaco della Città di misurarsi con questa sfida, di condividere la loro visione e il loro modo di vivere, che è più di un programma elettorale. Di esprimere con chiarezza da chi saranno idealmente sostenuti in questa assunzione di responsabilità e perché. A quali risorse, non solo materiali, intendono attingere. E per chi ha già contribuito al governo della città, chiediamo una chiarezza maggiore perché è ragionevole e non pretestuoso chiedere loro il perché del degrado in cui viviamo e quale sia stato il loro contributo, anche piccolo, nel tentativo di arginarlo. A Voi Signore e Signori Candidati l’onere della prova, a noi la responsabilità del giudizio. Confortati dal fatto che nel buio se c’è qualche luce viene vista meglio, cioè a dire che è più facile intercettare quelle presenze che possono costituire una risposta. A tutti, l’onere della partecipazione responsabile ad un cammino di consapevolezza e condivisione, ricordando che «Nell’arte di camminare, quello che importa non è di non cadere, ma di non rimanere caduti» (Papa Francesco agli studenti delle scuole dei Gesuiti, 7/6/2013).