Giuseppe Cocchiara, l’etnoantropologo di respiro europeo

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La triade Pitré, Salomone Marino, Giuseppe Cocchiara rappresenta il vanto della cultura siciliana in materia di studi e testimonianze sulle tradizioni popolari siciliane, ma con una variante da considerare a parte per il Cocchiara,

nato a Mistretta (ME) nel 1904 e morto a Palermo nel 1965. Una variante perché quest’ultimo studioso oltre alle sue conclusioni riguardanti la Sicilia ha mirato a una ricerca per evidenziare confronti con tutto un discorso esteso all’Europa. Inoltre le opere di questo geniale siciliano dal precocissimo ingegno (la sua prima pubblicazione dedicata al Pitrè e gli articoli che da poco più che ventenne veniva scrivendo su giornaletti e rivistuole locali avevano convinto il padre a desistere dal proposito di averlo accanto nello studio di avvocato e lasciare che il giovane percorresse la carriera più consona alle sue inclinazioni) aprono a tutta una linea che può dirsi pioneristica rispetto agli studi di antropologia che, sulla traccia che sarà lasciato dello studioso scomparso prematuramente (Cocchiara è stato stroncato da un male incurabile), sono proseguiti e si sono sviluppati. È un discorso fondamentale da tener presente nello stesso momento in cui intraprendendo a ricordare Pitré e Salomone Marino, si è portati ad affiancare loro quanto il Cocchiara ha eleborato, fin da prima del suo rientro in Sicilia. Leggiamo infatti in una sua biografia: “Durante il soggiorno in Inghilterra, Cocchiara maturerà nuove idee e diversi metodi di studio e di ricerca etno-antropologici tipici della scuola inglese di antropologia sociale, che declinerà proficuamente alla sua vocazione giovanile, ovvero le tradizioni popolari e il folklore. È del 1932 il volume The Lore of Folk-Song, in cui, per la prima volta, Cocchiara interpreta le manifestazioni folkloriche non come fenomenologie psicosociali dell’anima di un popolo, aventi una connotazione estetica e spirituale (secondo la linea di pensiero tratteggiata da Pitré), bensì come “sopravvivenze” di un passato ancestrale che continuano a riapparire simbolicamente nel presente (in accordo con le idee di Tylor e Marett). Sarà questa la chiave di volta del metodo di studio storico e di analisi etnologica delle tradizioni popolari e folkloriche che caratterizzerà l’opera di Cocchiara”.  
Nel 1932 al momento del suo rientro in Sicilia, dunque, lo studioso ha già idee chiare indirizzate verso ricerche che saranno pioneristiche e che lo faranno passare alla storia tra gli antesignani degli studi di antropologia. Saranno dal 1933 al 1943 i preparativi per l’incarico di cattedratico fin dagli anni dell’immediato dopoguerra (1944/ 45), incarico che sarà dopo qualche anno raddoppiato e che sarà gestito fino alla morte.
Non possiamo ignorare dello studioso una parentesi poco luminosa da aprire e chiudere prima di entrare a ricordare le distinzioni, le ricerche scientifiche e le intuizione di questo siciliano cresciuto culturalmente a contatto con le più eminenti intelligenze europee del suo tempo, lungo gli anni delle sue permanenze all’estero e particolarmente a Londra, fino agli anni dei prodromi della guerra d’Africa, che sarebbe stata una delle vanterie fasciste in predicato a quanto sarebbe poi maturato verso il conflitto mondiale e della dichiarazione di guerra di Mussolini accanto a Hitler.
Una parentesi del genere che non viene ancora oggi perdonata a Giuseppe Maggiore, che fu rettore dell’Università di Palermo nonché autore di romanzi e saggi pregevoli, firmatario di quel manifesto razzista e antisemita che ha costituito la rimozione del suo valore e dei suoi meriti di intellettuale e di artista, come abbiamo scritto nel medaglione pubblicato in questa rubrica.
A Giuseppe Cocchiara non è stato perdonato dalla storia in senso generale in quanto ciò che è stato resta per la documentazione dei posteri, ma come “dimenticato” da tutta la realtà di incarichi istituzionali che gli sono stati affidati nell’Università di Palermo. E non da compiacenze o consorterie locali ma proprio a cominciare dagli Alleati, i quali non ignoravano sicuramente il contenuto dei sui studi e delle pubblicazioni a sfondo razzista e contro gli ebrei. Studi che aveva pubblicato quale collaboratore della rivista Critica fascista di Bottai, come viene annotato nelle sue biografie: “Cocchiara è stato tra le personalità che aderiscono al Manifesto della razza in appoggio alla promulgazione delle leggi razziali fasciste del 1938. L’adesione convinta di Cocchiara al razzismo scientifico fascista è testimoniata anche dai suoi contributi al periodico La difesa della razza, inclusi alcuni scritti di carattere antisemita”.
Detto questo si potrà aggiungere, per onorare un confronto tra i tre giganti delle ricerche sulle tradizioni popolari, uno scrimolo che vale per distinguere ciascuno nel proprio ruolo e nella propria personalità. Pitré che non è uscito mai dalla Sicilia e che dalla sua residenza palermitana di medico ha avuto il merito di creare una rete di corrispondenti provenienti da tutti i centri della Sicilia comprendendovi il Vigo e il barone Serafino Amabile Guastella. Corrispondenze che gli consentirono l’opera monumentale a cui si continua ad attingere in materie di tradizioni siciliane. Diverso il lavoro di  Salomone Marino che con Pitré ha collaborato in vari momenti e con reale vicinanza, ma che non si serviva di corrispondenze ma di ricerche personali in archivi e biblioteche. Tutt’altro Giuseppe Cocchiara che aveva scelto lo stesso filone delle tradizioni praticato dei due maestri precursori fin da quando era poco più che diciottenne ma che va a consolidare la propria preparazione prima a Firenze e poi a Londra, alle scuole di quanto di meglio offriva la contemporaneità. Un Cocchiara che costruisce su basi di altro tipo di indagine tutta la sua opera vasta e varia e sempre ruotante sul tema della etnoantropologia. Sarà corretto e imprescindibile il ricordare che Cocchiara inaugura la propria presenza di docente e di modello di studioso, con il gesto di valorizzare immediatamente i preziosi lasciti culturali del Pitrè, provvedendo a far restaurare il museo lasciato dal maestro, a ristrutturarne la sede e a riordinarne i materiali salvandone la caduta nell’oblio e dando nuovi impulsi e significati ai valori additati dal suo precursore. Ma siamo già a cavallo di una nuova epoca e di conseguenti nuove istanze, motivi che la geniale intuizione del Cocchiara coglie e sviluppa fino a creare quella che in Sicilia sarà subito una “Scuola” che dopo la sua morte, da Messina a Catania, alla stessa Palermo sarà la fioritura di presenze di cattedre e di studiosi, come Carmelina Naselli e poi  Santi Correnti a Catania e  Aurelio Rigoli, con Antonino Buttitta a Palermo, per non dire di altri studiosi e  ricercatori che hanno affiancato nelle ricerche i suddetti studiosi.
Quanto alle opere del Cocchiara si può dire che sono state ristampate quasi tutte e sono quindi di facile reperibilità, anche quelle risalenti agli esordi che qui citiamo: Popolo e canti nella Sicilia d’oggi. Girando Val Demone (1923); Le vastasate (1924); Folklore (1927); Federico II legislatore e il Regno di Sicilia (1927); Studi delle tradizioni popolari in Sicilia; L’anima del popolo italiano nei suoi canti (1929); Il linguaggio del gesto (1932);La leggenda di Re Lear (1932): Il 1932 è stato l’anno del suo rientro in Sicilia dopo le permanenze prima a Firenze e poi per tre anni a Londra. Giuseppe Cocchiara è nel pieno delle sue attività, studi e produzione di quanto continuava a costituire tema delle sue ricerche scientifiche. Saranno pubblicazioni i cui titoli potrà esibire nel 1943, al momento di candidarsi alla cattedra di Storia delle tradizioni popolari. Ricordiamo quindi tra altre: Storia del folklore in Europa; Il diavolo nella tradizione popolare; Prerogative della comunicazione umana; L’eterno selvaggio, Il mondo alla rovescia. Non tutta la sua produzione di circa cento titoli qui citeremo, ma rinviamo ai luoghi deputati a tali documentazioni per una completa informazione. Qui ci fermiamo citando il titolo del libro per il quale il Cocchiara negli ultimi mesi di vita aveva confidato di avere in mente il titolo che voleva dare all’opera ideata: L’uomo narra se stesso.
Mario Grasso