Bullismo: rischiano il carcere per stalking i bulli che perseguitano il compagno di classe costringendolo a cambiare scuola

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I membri del branco, dopo aggressioni fisiche e ripetute molestie, causano nel compagno un perdurante stato ansia che, dopo un’iniziale tentativo di ribellione, lo porta alla fine a lasciare l’istituto. La Corte di Cassazione ha censurato anche il «clima di connivenza e l’insipienza» pure di chi doveva vigilare e non l’ha fatto.

Il bullismo è un fenomeno attualissimo e che va combattuto anche al costo di portare conseguenze esemplari per i ragazzi autori di questi comportamenti. È l’orientamento durissimo della Cassazione in materia, confermato da una significativa sentenza, la 28623/17 depositata ieri, 8 giugno, dalla V sezione penale.

Per la Suprema Corte, infatti, è applicabile il reato di “stalking” anche per coloro che con aggressioni fisiche e psicologiche, costringono il compagno di classe a cambiare scuola non prima di averlo sopraffatto al punto da “accettare” passivamente tali condotte. Nella fattispecie, i giudici di legittimità hanno dichiarato inammissibile il ricorso di alcuni ragazzi contro la decisione della Corte di appello di Napoli che li aveva condannati per atti persecutori di cui all’articolo 612-bis del codice penale (meglio noto, per l’appunto, anche come “stalking”), ai danni di un loro compagno di classe.

La vicenda è una storia di “ordinario bullismo” come tante ne sono accadute e ne accadono, ma non vengono denunciate. Nel caso in questione, invece, un ragazzo, preso di mira da un gruppo di bulli con comportamenti ripetuti che andavano dalla semplice denigrazione per il modo di portare i capelli o per il modo in cui si comportava, sino a vere e proprie aggressioni fisiche, grazie anche a un filmato acqusito agli atti, aveva deciso, alla fine, di denunciare.

A farvi da cornice, il clima accertato di «connivenza» e «insipienza» (sono queste le parole degli ermellini) in capo a coloro che «dovendo vigilare sul funzionamento dell’istituzione non hanno fatto nulla». I giudici di legittimità, quindi, hanno confermato la condanna per stalking: le condotte reiterate, e non isolate come, al contrario, lamentato dalla difesa degli imputati, avevano generato nel ragazzo uno stato di perdurante ansia e timore la cui prova «deve essere ancorata a elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente e anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata».

Punto significativo della decisione della Corte napoletana, ritenuto altrattanto valido dai giudici romani, sono le dichiarazioni della vittima che aveva riferito come «ormai succube della violenza, dopo un’iniziale tentativo di ribellione, aveva accettato con rassegnazione condotte di sopraffazione, “per evitare altre botte”». Rileva, ancora, il collegio: «Che il ragazzo abbia continuato a frequentare la scuola, nonostante il timore di ulteriori molestie (come anche l’assenza di iniziali denunce e di certificati medici), è privo di decisività, alla luce dello stato di soggezione psicologica, sul quale i giudici di merito hanno ampiamente argomentato, e comunque va letto alla luce del finale abbandono dell’istituto teatro delle vicende».

In collaborazione con www.sportellodeidiritti.org