In contrada Liste la vecchia centrale idroelettrica tra sporcizia e incuria. Lì sotto scorre l’acqua potabile che da Scillato giunge a Palermo

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Arriviamo davanti la porta sgangherata. È aperta. Con noi Giuseppe Biundo, ingegnere ed esperto in tutela e gestione dell’ambiente e bonifica dei siti contaminati, e Salvo Fullone, assessore ai lavori pubblici del comune di Collesano. Una casetta dimessa, ancora ordinata nelle linee essenziali del corpo, giù a valle, in quella contrada Liste che non è nota ai più. È in fondo alla strada: ingresso dalla provinciale per Scillato, in contrada Ferro. L’asfalto tutto sommato tiene ancora bene. Dopo Giambardaro, ecco Liste. Due punti segnati nella mappa del carbone bianco, dove stanno i fantasmi di quelle che furono le gloriose centrali idroelettriche delle Madonie.


Collesano ne vanta ancora tre, compresa quella di contrada Arduino, ma a Liste c’è la struttura migliore. Tutte e tre, gemelle, ottennero, secondo la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 16 ottobre 1933, la concessione “di poter derivare dalla Sorgente di Scillato litri 700 di acqua al minuto secondo e per la durata di 70 anni, occorrente per l’uso potabile, nei comuni di Palermo, Trabia, Casteldaccia, Misilmeri, S. Flavia, Bagheria, Ficarazzi, Villabate e per la produzione di 747 HP. forza motrice” pari a 557 kW. Prima delle centrali si scorgono due casotti, in linea con la sede delle turbine: sono i centri di carico che segnano il “salto”, la differenza d’altezza cioè tra quel punto e la centrale vera e propria. Un dislivello necessario a far prendere all’acqua la giusta rincorsa per esplodere in turbina. C’è un mondo dietro quell’archeologia industriale che sa di bianco e nero e che vola dritto nei libri di storia, in quelle epoche dove l’ingegno manteneva intatta la sobrietà dell’applicazione tecnica.

Quelle centrali, come le restanti nel comprensorio che ne conserva dieci, producevano quantitativi di energia sufficienti al fabbisogno di intere comunità. «Liste, Giambardaro e Arduino a Collesano, Marmaro a Termini Imerese, insieme – ricorda Biundo –, se ripristinate, produrrebbero circa 225 kWe e considerando che ogni famiglia ha una potenza impegnata di 3 kW, sarebbero in grado di soddisfare i bisogni elettrici di 75 famiglie. Immaginarsi tanta produzione in epoche in cui non v’era la voracità energetica delle attuali società deve spingere a metter mano a grossi numeri». A Petralia Sottana c’hanno visto lungo con Catarratti. L’hanno rimessa in sesto e ne è uscito fuori un laboratorio didattico unico nel suo genere all’interno del comprensorio madonita. A Liste il corpo di fabbrica svela i due piani fin dalle finestre divelte. Sopra il custode, che per parecchi anni fu Vincenzo Iachetta, e sotto la turbina della Ansaldo san Giorgio di Genova. Tipo “Francis”, riusciva a sprigionare una potenza di 136 kW grazie al “salto” di 23 metri.

Dentro è una lordura. Cumuli di escrementi di volatili e di topi ammassati in ampie aree del pavimento, con nidi alle pareti tra le travi in ferro ancora intatte. Una colomba taglia l’aria e vola via sopra le nostre teste. Se non fosse per la sporcizia diffusa che oltrepassa i limiti consentiti dall’usura e dall’abbandono, la polvere creerebbe la patina della nostalgia su pezzi d’antiquariato che hanno permesso a intere generazioni di vivere in questo pezzo di Sicilia. La turbina “Francis” è lì, al centro della sala grande, dove un tempo doveva esserci la camera di compensazione e di voltaggio, i comandi e i quadri elettrici e le immense tubature che racchiudono ancora adesso l’acqua che proviene dall’acquedotto di Scillato e che, dritta dritta, scende giù a valle, verso Palermo. E il punto è proprio questo. La storia, lì dentro, non si è fermata. Ancora adesso, in quel pezzo di casa, tra acqua stagnante, escrementi e probabili sversamenti di olio per il raffreddamento dei trasformatori elettrici, scorre acqua potabile. «Questo olio – precisa Biundo – in base all’anno di fabbricazione, poteva contenere PCB, policlorobifenili. Un olio per trasformatore che andava eliminato dal suo interno. Ce ne dovevano essere 113 kg come si legge dalla targa e la presenza di possibile inquinamento da tali sostanze andava indicata dall’Enel stessa fuori dalle cabine elettriche con un apposito cartello. Ad oggi, un cartello del genere, nel comprensorio l’ho visto solo a Gangi». E aggiunge: «Che fine abbia fatto non saprei. Può essere stato asportato, anche se l’Enel poteva bonificare il cassone dall’olio e utilizzarlo nuovamente inserendo un nuovo olio dielettrico perché un trasformatore ha una lunga vita utile. Quello che abbiamo visto, probabilmente, è stato solo oggetto di furto del rame interno. E l’olio è possibile quindi che sia rimasto e sia stato sversato sul pavimento. Togliere l’olio e lasciare il cassone non avrebbe avuto granché senso».

Quello di Liste, «che manca degli avvolgimenti interni – intercala Biundo – poteva essere uno dei 14 trasformatori elettrici contenenti PCB e attivi nel territorio di Collesano». Un trasformatore del genere «serviva a collegare – spiega Biundo – la rete di trasmissione elettrica ad alta e altissima tensione a quella di media e bassa tensione che, a loro volta, collegavano le centrali elettriche di produzione con le utenze finali, sia industriali che domestiche. Il processo di trasformazione – continua Biundo – produce calore e ciò determina un aumento di temperatura nel trasformatore risultando quindi necessario raffreddarlo. Ed ecco l’olio isolante. Fino a qualche tempo fa si utilizzava un tipo di olio sintetico non infiammabile (nome commerciale “askarel”) contenente policlorobifenili (PCB) appunto. La tossicità e la limitata biodegradabilità ne hanno però consigliato il ritiro dal mercato. Numerosi sono però i trasformatori ancora in servizio contenenti olio con PCB».

Il trasformatore a Liste risale al 1987 e, lì accanto, lo squarcio nel pavimento fa cantare l’acqua. Si sente ed è quella potabile che scorre nella condotta che passa sotto e che un tempo serviva anche a produrre energia mentre oggi serve solo per l’approvvigionamento idrico di Palermo e di alcuni comuni della provincia sotto la gestione dell’Amap di via Volturno. Che è proprietaria della centrale nella contrada collesanese. Le tubature registrano parecchi anni di vita ormai, ma l’obiezione che siano ancora perfettamente sigillate e che la depurazione a valle sia sufficiente ad eliminare ogni possibile infiltrazione, non lascia tranquilli. «Sotto il profilo igienico, certamente, è tutto da rivedere – precisa l’assessore Fullone – e occorrono urgenti interventi di pulizia e di sigillatura degli accessi. Tocco con mano lo stato di abbandono in cui riversa la struttura: occorre che l’ente proprietario, non essendo il comune di Collesano, intervenga tempestivamente per bonificare l’area e isolare la condotta dato il passaggio di acqua potabile».

Il manufatto è censito, insieme ad altri, nell’elenco patrimoniale dell’Amap come “manufatto ex centralina”: un’officina elettrica insomma, un fabbricato industriale adibito alla produzione di energia elettrica. «Ecco perché – precisa Biundo – ad un certo punto è subentrata l’Enel che non ne ha modificato la destinazione d’uso, posto che una rete elettrica passava comunque dentro il fabbricato». Ci sono, infatti, i cavi che dal palo di sostegno dei conduttori esterni arrivano fin dentro il fabbricato, attraversando il pavimento e raggiungendo una parete attrezzata con il trasformatore, i sezionatori, gli interruttori, i fusibili. Il manufatto, in azione già dai primi del ‘900, è asservito all’acquedotto Scillato, «meglio noto come “Vecchio Scillato” – aggiunge Biundo – e proviene dal patrimonio della Saap, la Società Anonima Acquedotto Palermo, la società – sottolinea ancora Biundo – che gestiva l’acquedotto di Palermo prima che nascesse la municipalizzata Amap».

Il mondo dell’idroelettrico nelle Madonie è tutto da riscoprire, rivalutando, sotto il profilo energetico, turistico e didattico, un patrimonio che non può essere disperso. «Gli esempi in Sicilia sono pochissimi – chiosa Biundo – mentre al nord, tra officine idroelettriche e mulini ad acqua, si è messo su un business ecocompatibile e dalla forte valenza didattica che registra ogni anno cifre considerevoli». Per l’Amap si tratta di vecchi ruderi, dal valore quasi nullo: un peso per il suo bilancio, sotto certi aspetti. Le comunità madonite potrebbero acquisire i manufatti, accedere ai finanziamenti relativi per la messa a regime, metterli in rete e dare ad essi, finalmente, una seconda esistenza. Non è peregrino, tanto più che il mondo delle rinnovabili non ha alternative. I combustibili fossili si esauriranno e già ora è tempo di cambiare passo; accanto al sole e al vento c’è anche l’acqua.